Quarta puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran.
Circa un’ora più tardi (dopo la visita delle rovine di Kangavar, ndr) siamo al sito Unesco di Bisotun, sull’antica via reale che univa Ecbatana a Babilonia. Le iscrizioni sulla roccia, del VI secolo a.C., in tre lingue, hanno permesso agli archeologi di decifrare la scrittura cuneiforme; sono importanti quanto la stele di Rosetta, per capirci.
Sono però molto rovinate e in alto sulla montagna. Il bassorilievo meglio conservato è semicoperto da un ponteggio, e per quanto Alì e gli altri lo indichino, non lo vedo proprio. Per di più la luce è accecante e ho lasciato gli occhiali da sole sul pullman.
In compenso c’è un pannello illustrativo col bassorilievo, così riesco a vederlo meglio. Sulla montagna c’è anche una curiosa statua di Eracle seduto con in mano una coppa: pare abbia perso ben due volte la testa, nonché gli attributi (la vita dei monumenti persiani è piuttosto travagliata).
Nonostante le scarpe da ginnastica, le rocce assolate scottano sotto i piedi, rendendo fastidioso stare fermi troppo a lungo. È ormai l’una passata, il caldo quasi insopportabile. Accanto al sito c’è un laghetto, dove l’acqua è blu, limpida e sembra freddissima, e la tentazione di buttarsi dentro vestiti è davvero forte.
Nell’aria risuona il richiamo alla preghiera (o asan). È la prima volta che lo sentiamo e ci guardiamo intorno incuriositi. Alì ci ha spiegato la differenza tra musulmani sunniti e sciiti (ed è forse la prima volta che la capisco). L’Iran è a maggioranza sciita, e sono più aperti. Gli altri pregano cinque volte al giorno, loro solo tre, quindi sentiremo il richiamo solo di tanto in tanto, quando in quegli orari ci troveremo vicino a una città.
Ha anche spiegato che nessuno considera pregare un obbligo, chi sta lavorando non si ferma, magari va solo il venerdì alla moschea; ci sono anche molti iraniani atei, almeno secondo Alì. Molti, soprattutto le nuove generazioni, vanno in moschea solo in occasione di funerali o altri eventi familiari.
L’antico caravanserraglio
Il sentiero erboso fiancheggiato da prati insolitamente verdi e alberi – soprattutto cipressi e acacie – ci porta verso il ristorante, un antico caravanserraglio restaurato che è anche hotel.
Si staglia in lontananza con le sue mura rettangolari color sabbia, in mezzo alla distesa verde del prato e sullo sfondo delle montagne polverose. Il cortile interno è davvero pittoresco, con i quattro archi d’ingresso fiancheggiati da quattro file di archi più piccoli, ognuno con la sua porta di legno. Un tempo servivano da ripari per i viaggiatori o magazzini per le merci, ora sono per lo più chiusi, o portano alle cucine e ai bagni. Al centro del cortile c’è una vasca d’acqua azzurra con dentro un vecchio pozzo, intorno quattro piccole aiuole di bassi cespugli, e dei divani rivestiti di tappeti, ora inutilizzati (troppo caldo per mangiare fuori).
Dentro, accanto ai tavoli normali, noto delle nicchie nella parete di mattoni con dei tavolini bassi disposti a ferro di cavallo e dei cuscini disposti attorno. Sarebbe bello mangiare lì, ma ormai ci hanno sistemati, senza contare che sarebbe un po’ scomodo farci stare tutto.
Usciamo che sono circa le 3 del pomeriggio e il caldo è al suo culmine; al sole non si riesce a stare, sembra di essere davanti a un forno aperto. È un bel sollievo salire sul pullman, con l’aria condizionata che ti soffia in faccia e il frigo pieno di acqua gelata.
L’hotel Jamshid
Della città di Kermanshah vediamo poco o nulla, la lunga via principale la attraversa tutta e ci porta diretti al Jamshid Hotel. Lo riconosco dalla facciata, molto particolare. Ha un’enorme arcata centrale, dei merli in cima e il faravahar, il simbolo zoroastriano del cerchio alato, sopra il nome in lettere d’oro. L’interno è un po’ pacchiano, ma in modo stranamente non sgradevole, anzi un po’ di stile orientale, vero o fasullo che sia, dà colore al tutto.
Abbiamo un paio d’ore per rilassarci, così cerco di collegare il wi-fi, ma dopo mezz’ora di tentativi mi rassegno a scendere alla reception. L’impiegato è molto gentile e me lo collega in un attimo; mentre sono lì però c’è un altro signore appoggiato al bancone, gli chiede qualcosa e nella risposta sorridente dell’impiegato colgo la parola “Italian”. Scopro poi che non sono l’unica ad aver avuto problemi col wi-fi, quindi forse l’ironia non era diretta solo a me, ma agli Italiani in generale.
Il sito archeologico di Taq-e Bostan
Alle 19, quando il caldo si è un po’ stemperato – da forno all’aperto a semplicemente torrido – partiamo a piedi. L’hotel è a meno di dieci minuti dal sito archeologico, la passeggiata è piacevole, in una stradina pedonale (il che non esclude che ci passino le moto) fiancheggiata da ristoranti e banchi dove si griglia carne o si friggono cose di cui non si capisce la forma originale o la natura.
Ci sono anche uomini con strani strumenti musicali, uno somiglia a un flauto di legno, un altro a una minuscola chitarra, credo un setaar. La stradina piena di buche conduce dritto al sito archeologico di Taq-e Bostan.
La prima impressione è spettacolare: c’è un laghetto e sullo sfondo una nuda parete rocciosa con due grotte ad arco. All’interno degli archi ci sono bassorilievi, e un paio anche all’esterno. Accanto c’è un’enorme quercia, sullo sfondo alcuni sempreverdi.
I bassorilievi sono di epoca sasanide, III-IV secolo a.C. e sono molto ben conservati. Raffigurano al solito re a cavallo che fanno sfoggio della loro forza e importanza.
Molto interessanti per me sono le due figure alate sopra quello centrale, che sembrano angeli (in realtà sono yazata, spiriti elementali del mazdeismo) e rendono chiaro, se mai ce ne fosse bisogno, da dove deriva l’iconografia degli angeli. Le figure portano un disco raggiato, simbolo della luce e dell’autorità divina concessa al re, del tutto identiche alle aureole dei nostri santi.
Il posto è pieno di gente, soprattutto turisti locali, e come sempre il nostro gruppo non passa inosservato. Sono circa le 19 e 30, il sole sta tramontando e la luce è fantastica. Fuori dal cancello c’è un vecchietto, che vende da un cestino delle cose bianche e rotonde. Qualcuno chiede cosa sono e Alì spiega che è come il chewing-gum ma fatto con gomma naturale e resina. Un paio di noi le comprano e ce ne faranno assaggiare un pezzettino più tardi. Sono proprio come gomme, solo che sanno di resina, sono strane ma non male.
Passeggiata serale
Torniamo in hotel per la cena, lungo il percorso sbirciamo i ristoranti che aprono le porte. Ce ne sono molti in stile locale, con divani bassi e ampi, tappeti per sedersi a mangiare e lanterne appese al soffitto. La sala dove ceniamo noi è più kitsch del resto dell’hotel: c’è una lunga vasca centrale che imita un torrente e attraversa per lungo tutta la sala, con un paio di ponticelli per attraversarla. Il torrente parte da una parete di roccia artificiale che è una miniatura delle grotte che abbiamo appena visto.
Per il resto la sala è tutto un luccicare di marmi e luci moderne nel controsoffitto di plastica. Il contrasto è bizzarro, ma il suono dell’acqua è molto piacevole e rinfresca anche l’ambiente. Accanto alla vasca ci sono altre stranezze, come un manichino, la miniatura di una porta appesa, e la più vistosa: una grande aquila di bronzo. Non capisco bene che c’entrino, anche se l’aquila è legata a Jamshid, l’eroe epico che ha dato il nome all’hotel. Alì ci consiglia come al solito le specialità locali, e le proviamo sempre volentieri (anche perché l’alternativa è il solito kebab e riso).
Dopo cena decidiamo di fare una passeggiata serale, tornando per la stradina di prima. Stavolta i venditori di cibo sono molti di più, l’aria è satura di carne grigliata e del kerosene usato per cucinare. Quel mercatino improvvisato è chiaramente destinato ai turisti, anche se più locali che stranieri, a giudicare dalla curiosità che suscitiamo. Di tanto in tanto qualcuno ci mette in mano qualcosa di fritto da assaggiare: carne, formaggio o dolci, a sorpresa.
Alla fine della strada c’è una bancarella di profumi. Io sono tentata di comprarne uno, ma faccio fatica a capire se vuole 100.000 rial o 100.000 toman, che valgono ognuno 10 rial e sarebbero quindi 10 euro. Spesso nel commercio si usa il toman e non il rial. Sulle etichette però non è specificato, e anche le cifre sono diverse dalle nostre, perciò di solito è meglio chiedere. Siamo un po’ fuori dal centro città e siamo tutti stanchi, quindi ben presto rientriamo.
Laura Baldo
Quarta puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Bisotun: bassorilievi (a sinistra, sopra il ponteggio, c’è quello meglio conservato)
- Bisotun: statua di Eracle
- Antico caravanserraglio, ora ristorante
- Interno del ristorante
- Kermanshah, sito di Taq-e Bostan
- Facciata del Jamshid hotel all’alba
- Taq-e Bostan, bassorilievi