Terza puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran.
La magia del paesaggio montuoso in cui sorge infonde immediatamente anche Hamadan, e non ne avrebbe bisogno perché è già di suo una città affascinante, nonostante sia moderna. A differenza di Teheran è ordinata, l’aria è pulita, la temperatura accettabile, le persone rilassate.
Posta a 1800 metri, si dice sia la più antica città iraniana. Qui sorgeva l’antica Ecbatana, la capitale estiva dei re di Persia, e da qui passò anche Alessandro Magno.
La prima tappa è il mausoleo di Avicenna, e scopro ora che è persiano (era nato nell’attuale Uzbekistan), anche se scriveva in arabo (un po’ come i nostri studiosi scrivevano in greco o latino); molti dei medici e filosofi antichi che consideriamo arabi sono in realtà persiani.
Il mausoleo ha una cupola particolare sostenuta da dodici colonne, a simboleggiare le dodici scienze in cui era versato.
Fuori c’è un grande giardino, e la gente fa un picnic serale all’ombra degli alberi, con tappeti stesi sull’erba; scoprirò poi che è un’usanza comune, anche perché le case sono quasi tutte prive di balconi o di aria condizionata, e con queste temperature meglio mangiare fuori.
L’ampia via centrale è una sorta di parco giochi, le famiglie passeggiano, una macchina d’epoca va avanti e indietro coi turisti locali, passano moto con a bordo intere famiglie, si vendono palloncini, gelati; ne sono incantata, prima di svoltare un angolo e rendermi conto che era tutto lì.
Il mausoleo di Ester e Mordecai
In una viuzza laterale anonima si trova il mausoleo di Ester e Mordecai. Non è segnalato da alcun cartello, solo una vecchia porta che si apre in un muro. È il maggior sito di pellegrinaggio per gli ebrei in Iran, anche se quella di Ester e dello zio Mordecai è una leggenda, e quindi non può esserci alcun corpo nei sarcofagi decorati.
Ascoltiamo comunque con attenzione il vecchio custode ebreo, piccolo e un po’ rinsecchito ma con un sorriso disarmante, le cui parole ci vengono prontamente tradotte da Alì. Poi entriamo nella sala del santuario, ancora più piccola e col soffitto basso, c’è appena lo spazio per disporsi intorno ai due sarcofagi.
Non c’è comunque granché da vedere, il custode ci invita a lasciare un’offerta e io la lascio, perché l’uomo è simpatico e presumo che l’ingresso non sia a pagamento, quindi mi sembra corretto lasciare qualcosa. Maria invece dà al custode una penna, e vengo a sapere che fa collezione di penne di metallo straniere.
Ripercorriamo la via principale, suscitando come sempre la curiosità dei locali; molti del gruppo si fermano a parlare (quasi tutti nelle città in Iran parlano bene l’inglese); molti vogliono fare una foto coi variopinti stranieri.
Qui le donne sono tutte eleganti, con pantaloni stretti, una sorta di miniabito sopra e hijab in tinta; noi, con pantaloni larghi, camicioni a fiori (o copricostume riadattati) e foulard colorati messi un po’ a casaccio (qualcuna ne ha fatto un turbante), non passiamo inosservate; spesso i bambini ridono.
Al luna park
Torniamo sul pullman per recarci all’hotel, un po’ fuori dalla città. Il Parsian Azadi non dice molto visto da fuori: la facciata è rettangolare e moderna, le finestre in fila tutte uguali. Dentro però è molto bello, lussuoso ma semplice, privo delle esagerazioni orientaleggianti pacchiane che troveremo in altri.
In camera c’è tutto, dal frigobar al bollitore, tutti i prodotti da bagno, incluse le ciabatte. C’è anche un Corano e un tappetino da preghiera. Noto ora che sul soffitto c’è disegnata una piccola freccia che indica la direzione della Mecca.
Il panorama dalla finestra stavolta è spettacolare: dà sul luna park pieno di luci di là dalla strada, che sta aprendo proprio ora; la città e le montagne rimangono sullo sfondo. Collego il wi-fi e ho una sorpresa: ci sono notifiche di Messenger. Sarà l’unico posto dove funzionerà (Facebook è oscurato), chissà poi perché.
A cena imparo un nuovo termine: noush-e jan (buon appetito). Ho detto ad Alì che vorrei imparare un po’ di farsi, quindi di tanto in tanto mi insegna una parola.
Dopo cena si fa un giro al luna park. È grande e molto carino, c’è musica locale e un sacco di giostre (una sale lungo un palo che sarà almeno 50 metri). Nessuno però vuole salire con me, quindi un po’ delusa seguo le ragazze in un negozio di vestiti. Cerco qualcosa di carino in stile locale, ma non c’è niente che mi piace e rinuncio.
Accanto al luna park c’è un grande giardino, e anche qui è pieno di famiglie col tappeto, che finita la cena restano a godersi l’aria più fresca, mentre i bambini giocano. Molti giochi sono in realtà attrezzi ginnici, di altri non capiamo nemmeno l’utilizzo.
Lungo la strada per tornare ci sono bancarelle di cose fritte — qui stanno sempre friggendo qualcosa da qualche parte — e c’è anche un’enorme statua di cartapesta di una capra in piedi vestita con il frac. Mi è rimasta la curiosità di cosa rappresentasse…
Tappa a Ganjnameh
Lasciamo Hamadan in un’alba magnifica, con l’orizzonte sfumato di rosa e di arancio. La nostra prima tappa è a pochi chilometri, la strada si inerpica in salita sulla montagna. Il sito si chiama Ganjnameh, e Alì ci spiega che ganj significa tesoro e nameh libro, perché si pensava che le iscrizioni contenessero un messaggio nascosto per trovare il tesoro dei re.
Ci sono due bassorilievi nella roccia con iscrizioni dei re Achemenidi (Dario I e Serse). La loro importanza sta nel fatto che sono state redatte in tre lingue: neobabilonese, elamita e persiano antico.
Facciamo un bel selfie di gruppo sotto le iscrizioni. Dopo attenta valutazione, il braccio più lungo appartiene a Franco, che d’ora in poi sarà il nostro selfie-man.
Non lontano dalla parete con le iscrizioni c’è una cascata, alta una decina di metri. Qui ci sono un sacco di turisti locali, comprese delle scolaresche, e ci dobbiamo fare largo tra la folla per avvicinarci. Il posto comunque è molto bello, dopo la cascata il torrente scende dolcemente a valle, lì a fianco c’è il bosco e in mezzo ai pini ci sono delle tende. A quanto pare qui in molti parchi pubblici si può fare campeggio.
In pullmann per fortuna si può togliere il velo, con l’esortazione a rimetterlo se entrassimo in una città, e di nuovo mi chiedo se davvero è permesso o no. In ogni caso, preferiamo direttamente tenerlo, e ormai ci siamo abituate. L’impressione è che Alì cerchi di minimizzare le leggi repressive del suo Paese, l’importanza della religione e le proibizioni (pare che quando c’è una festa l’alcol salti sempre fuori). Insomma, a sentir lui, gli iraniani hanno una doppia vita.
Le rovine di Kangavar
A metà mattina ci fermiamo per una sosta in un autogrill, squallido come al solito. Il posto però è spettacolare: siamo quasi in cima alla montagna e sotto di noi si apre un’ampia valle, circondata di altre montagne lontane, velate di polvere. Il colore bruciato dell’erba e della terra, anziché farlo sembrare desolato, accentua la bellezza selvaggia e misteriosa del paesaggio. Il sole come al solito splende implacabile su ogni cosa.
Più tardi faremo una seconda sosta, accanto a un bar-negozietto che ha una macchina del caffè e una tabella dei gelati, dove figurano molti che ci sono anche da noi, anche se con nomi diversi. Ci sono il Cornetto, il Magnum e perfino il Calippo.
La prossima tappa è Kangavar, con i resti di vari templi, tra cui uno più antico dedicato alla dea della fertilità Anahita, e altri di epoca seleucide. A parte qualche troncone di colonna, rimane molto poco da vedere, ma il posto è suggestivo: le colonne doriche, le morbide collinette ricoperte di erba gialla e cespugli spinosi sotto il cielo azzurro e il sole a picco mi ricordano in modo prepotente la Grecia.
Mentre poso i piedi con attenzione tra i sassi e le spine, mi pare quasi di sentire le cicale (che qui non ci sono, troppo caldo anche per loro).
Laura Baldo
Terza puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Hamadan: la cupola della tomba di Avicenna
- Hamadan: vista all’alba
- Ganjnameh: le iscrizioni sulla roccia
- Ganjnameh: la cascata
- Kangavar: resti del tempio di Anahita
- Kangavar: resti di altri templi