Mari con acque cristalline, souvlaki accompagnati da birrette (tra cui quella che ha per motto pubblicitario Μία χώρα, μία μπύρα, ovvero “Un Paese, una birra”) e un buon numero di musei e siti archeologici, anche se – forse – in numero minore rispetto ai miei standard, ma solo perché il tempo passa anche per me e i ritmi si fanno di anno in anno più blandi e mediterranei.
Ecco riassunta in estrema sintesi la quindicina di giorni trascorsi tra Macedonia centrale e orientale, nella Grecia settentrionale, da Katerini sul Golfo Termaico a Kavàla che ha di fronte a sé l’isola di Taso, passando per Salonicco che un tempo fu una “piccola Gerusalemme” per la popolosa comunità ebraica.
Nelle prossime righe vorrei raccontare di cinque piccole grandi scoperte culturali (“scoperte” per me, s’intende, mentre a lettori e viaggiatori più preparati potrebbero non apparire come tali).
Il centro di Kavàla – e in particolare il quartiere del castello – era ed è tutt’ora tappezzato da manifesti dedicati al Festival Cosmopolis che si srotola dal 19 luglio al 29 agosto, ricco di eventi, soprattutto musicali. Passeggiando dopo cena, per esempio, abbiamo assistito a una parte del concerto del trombettista serbo Siniša Stanković con la sua band, sul palco principale della manifestazione, allestito nella piazza intitolata a Mehmet Ali, il mamelucco considerato il fondatore dell’Egitto moderno, nato proprio qui.
Per la strada ci siamo soffermati – sia all’andata, sia al ritorno – ad ascoltare l’esibizione di un trio che ho poi saputo chiamarsi Acid Plato. A dirmelo è stato l’account Facebook del Festival, da me interrogato in proposito. Un brano in particolare mi ha stregato…
Un altro festival è quello che si tiene per due mesi – dal 7 luglio al 7 settembre – al teatro di Filippi (sì, proprio la località fissata dal fantasma di Cesare per l’appuntamento finale con il suo assassino Bruto). Giunto alla sessantasettesima edizione, presenta un programma che mescola autori tragici come Eschilo (Supplici) e Sofocle (Aiace) a Shakespeare (Amleto). Noi ci siamo stati per assistere alla commedia Pluto di Aristofane, rappresentata davanti a un teatro gremito la notte di sabato 3 agosto.
Rientrati nell’appartamento affittato per il soggiorno a Kavàla, mi sono seduto sul piccolo balcone per aggiornare il diario della vacanza. Il bar nella via sottostante stava per chiudere e i camerieri sistemavano i tavolini ascoltando musica greca e non quella internazionale sparata ad alto volume durante gli orari d’apertura. Le canzoni mi piacevano e così le ho individuate utilizzando un’app del cellulare. Due erano interpretate da Sokratis Malamas, cantante di cui non sapevo nulla (ecco la terza scoperta).
Tornato in Italia ho chiesto ai musicisti di Acid Plato il nome del brano che avevo ascoltato e filmato mentre scendevamo dalla città alta. Si trattava di Diafanos di Malamas (il testo è stato scritto da Thanasis Papakonstantinou).
Altra coincidenza che ho scoperto solo in un secondo tempo: Malamas, classe 1957, è originario di Sykia, nella gamba centrale della penisola Calcidica, Sitonia, proprio dove abbiamo trascorso alcuni giorni al mare (nella frazione Paralìa) prima di arrivare a Kavàla. Abbiamo anche sfiorato – senza saperlo – il concerto del cantante che si è esibito al Festival Cosmpolis il 29 luglio, il giorno precedente al nostro arrivo (il concerto era comunque sold out). Tra parentesi: nella canzone Diafanos viene menzionato il poeta peruviano César Vallejo, ma questa è una sesta scoperta che mi porterebbe troppo lontano…
È invece di una poetessa che voglio parlare, la mia quarta scoperta. Si tratta di Maria Poliduri (Polydouri), nel cui nome e storia non mi ero mai imbattuto finché non abbiamo bevuto il caffè in un locale di Kavàla. Le ultime pagine del menu riportano poesie – ovviamente in greco.
Ho riconosciuto la celeberrima Itaca di Kavafis, ho visto componimenti di Nazim Hikmet tradotti da Ghiannis Ritsos e poi l’occhio mi è caduto su Ο τρελλός (Il pazzo) della Poliduri. Ne ho cercato la traduzione in rete e poi ho letto la storia della sua vita breve ma particolarmente intensa. È morta a ventotto anni di tubercolosi, dopo alcune iniezioni di morfina fattegli da un amico. Purtroppo in italiano mi pare che non si trovi nulla della sua opera (due raccolte di poesie).
Un’altra esistenza spentasi prematuramente è stata quella dell’architetto Kyriakos Krosos (1941-1998), autore del Museo della cultura bizantina di Salonicco: una delle mete imperdibili per chi voglia conoscere la lunga storia della città. Un angolo dell’articolato percorso è dedicato a Krosos, mia quinta scoperta: un pannello cronologico ne sintetizza le tappe della carriera, mentre una foto lo ritrae pensoso. Sopra scorre una citazione che tradotta suona più o meno così:
Non pensavo esattamente ad un museo d’arte bizantina. Cercavo di avvicinarmi al concetto, all’idea che viene sempre “da lontano”. Volevo uno spazio attraverso il quale il movimento desse una sensazione di libertà e stimolasse i sensi. Ogni mostra sarebbe una sorpresa in movimento…”
C’è anche una maquette del Museo, davvero uno scrigno di sorprese. Magari ne riparlerò.
Saul Stucchi