Un colpo di scena abilmente (e lungamente) preparato, non c’è che dire. E perfettamente riuscito, se il suo scopo era quello di stupire e fare notizia.
Solo il tempo e ulteriori indagini potranno però dimostrare la validità della nuova e rivoluzionaria interpretazione della Flagellazione di Piero della Francesca – o eventualmente smentirla.
Che la tavola nasconda un enigma, anzi che la tavola sia un enigma è l’unica cosa sulla quale si possa ottenere un unanime consenso. E allora perché non rivolgersi a chi di mestiere svolge indagini per risolvere questo mistero?
Ma è bene partire dall’inizio. Per il secondo anno di seguito il Centro Tedesco di Studi Veneziani, con sede a Palazzo Barbarigo alla Terrazza – prospiciente il Canal Grande – ha organizzato un incontro pubblico dedicato alla celebre opera di Piero, esposta alla Galleria Nazionale delle Marche di Palazzo Ducale a Urbino.
Titolo dell’appuntamento dello scorso venerdì 15 gennaio: L’enigma della Flagellazione di Piero della Francesca e il suo identikit tra metodi storici e di investigazione criminale.
Poco prima si è svolta una conferenza stampa durante la quale il dottor Silio Bozzi, capo della Polizia Scientifica di Ancona, ha spiegato ai giornalisti i procedimenti attraverso i quali è giunto a dimostrare la fondatezza della sua tesi interpretativa, senza però svelare l’identificazione dei vari personaggi raffigurati (i tre in primo piano e i cinque sullo sfondo) e del luogo in cui si svolge la scena.
Sollecitato dal corrispondente della radio tedesca, Bozzi ha preferito mantenere ancora per qualche minuto il segreto, limitandosi a comunicare la presunta data della realizzazione dell’opera.
Secondo le analisi che la polizia ha effettuato sulla tavola Piero avrebbe dipinto la Flagellazione nel 1542, subito dopo la realizzazione del ciclo di Rimini, con il quale avrebbe una strettissima contiguità strutturale. Il professor Bernd Roeck ha però fatto notare che questa datazione, di per sé, non apporta alcun elemento di novità e non inficerebbe la sua teoria, secondo la quale la tavola sarebbe un atto d’accusa contro Federico da Montefeltro, mandante dell’assassinio del fratellastro Oddantonio (da identificarsi nel giovane biondo).
Davanti al folto pubblico che ha riempito la sala delle conferenze, il dottor Bozzi ha illustrato su due schermi i risultati della sua lunga ricerca, partita da uno spunto di Duccio Alessandri. Il poliziotto ha voluto verificare l’ipotesi secondo cui dietro il ritratto del giovane biondo in primo piano si celerebbe Marsilio Ficino.
Senza rivelare questa intuizione, chiese a un suo collega esperto nella tecnica di invecchiare artificialmente il volto dei ricercati, di applicare lo stesso processo all’efebico biondo di Piero. Invecchiato di una ventina d’anni il suo volto è stato confrontato con i ritratti che sicuramente si riferiscono al filosofo (si tratta per lo più di miniature) e l’accostamento – dobbiamo ammetterlo – pare confermare l’identificazione.
Servendosi della terminologia specifica, il dottor Bozzi ha messo in evidenza la coerenza fisioniomica: dagli occhi “color miele” (riscontrabili soltanto in un caso su oltre diecimila), al modiolo diretto obliquamente verso il basso, al lieve gibbo osseo al livello del dosso del naso.
Ha poi richiamato la descrizione letteraria fatta dal biografo di Ficino, Giovanni Corsi, che nel 1506 ne tracciò, per così dire, un ritratto anatomico e ortopedico. Bene, secondo Bozzi, questa descrizione coincide pienamente con l’identikit del biondino della Flagellazione. Il poliziotto ha messo in evidenza le mani particolarmente lunghe del giovane, le sue caviglie grosse e l’aspetto triste. Ha passato queste informazioni a un medico che ha potuto tracciare un quadro clinico: il giovane Ficino era ipotiroideo e aveva poco testosterone (il che forse lo spinse a farsi prete, ha aggiunto Bozzi con una battuta).
Dilungatosi troppo nella prima parte della presentazione, Bozzi si è trovato a corto di tempo quando è entrato nel vivo della sua interpretazione della tavola e ha dovuto sintetizzare al massimo i risultati dell’indagine (ai quali è giunto, ha ribadito diverse volte, con l’aiuto dei “ragazzi” che compongono il suo team). L’analisi del contesto simbolico di quella che secondo Bozzi è la scena di un delitto, ma solo in senso figurato (è la morte del Gotico che dà vita al Rinascimento) è stata portata avanti senza perdere di vista la convinzione che l’insieme sia più importante delle singole parti, perché dà loro significato.
A volo d’aquila il poliziotto ha fatto una carrellata sugli altri personaggi della tavola, anticipando più che motivando che l’uomo barbuto sarebbe Bessarione, Pilato andrebbe identificato nell’imperatore Giovanni VIII Paleologo ma solo come incarnazione del potere bizantino e che la scena si svolgerebbe a Firenze: il palazzo rosa sulla destra sarebbe infatti il Palazzo dell’Arte della Seta (si veda la slide qui sotto).
Ma, al di là dell’identificazione con Marsilio Ficino, è l’insieme della nuova interpretazione proposta a Venezia a essere interessante. Bozzi infatti ritiene che Piero abbia dipinto una scena d’iniziazione pitagorica, alla quale alluderebbero numerosi elementi: dai capelli bagnati del giovane biondo (che richiamerebbero la pratica della lustratio), alla pianta dell’alloro, all’insolita postura dello stesso giovane (colto in un gesto che ricorda quello di Ecate, divinità dei supremi passaggi), mentre l’idolo d’oro alla sommità della colonna rimanderebbe, per la presenza dei tre elementi del bastone, della sfera e della colonna, a Pitagora.
Conclusa la presentazione, la parola è passata agli altri “sfidanti” che hanno avuto a disposizione una decina di minuti ciascuno per replicare. Nel filmato qui sotto abbiamo colto un momento della replica della professoressa Silvia Ronchey che si è detta soddisfatta per la parte relativa alla conferma dell’influsso determinante del platonismo bizantino: l’esoterismo rinascimentale avrebbe infatti radici bizantine. Ha invece messo in dubbio, tra l’altro, la validità della diagnosi medica del “Ficino biondo” e si è chiesta, data la contiguità stilistica tra Cézanne e Piero, se tutti i personaggi rappresentati dal pittore francese soffrissero anch’essi di ipogonadismo…
Dal canto suo il professor Roeck (qui sotto un breve stralcio del suo intervento) ha ribadito l’importanza delle fonti come punti di partenza ed elementi di prova delle varie interpretazioni, facendo notare che quella avanzata da Bozzi si fonda esclusivamente su somiglianze, ma è priva di punti d’appoggio documentali.
Enrico Londei ha invece ribadito la sua teoria, secondo la quale la scena si svolgerebbe a Urbino, ricordando il recente ritrovamento del basamento del campanile che Piero avrebbe raffigurato nella Flagellazione. “E cosa ci fa Ficino a Urbino?” si è domandato, facendo notare che in tutti i dipinti di Piero compare sui tetti la tegola romana, mentre in questa tavola troviamo il coppo che rimanderebbe al mesoclima adriatico.
L’appassionante incontro si è chiuso con i brevi interventi del filologo classico Luciano Canfora e della storica dell’arte Urte Krass, a cui sono seguite le parole di saluto del direttore del Centro, Uwe Israel. A questo punto non resta che aspettare la terza puntata della saga.
Saul Stucchi
Didascalia:
- Piero della Francesca
- La flagellazione di Cristo
- Tempera su tavola, ca. 60 × 80 cm
- (Urbino, Palazzo Ducale, Galleria Nazionale delle Marche)