Questa settimana l’editoriale “L’ALIBI della domenica” è dedicato all’eccesso di offerta in tempi di quarantena da Coronavirus.
Immagino che anche voi siate subissati di newsletter e mail con offerte e proposte: cosa leggere, ascoltare, vedere e fare in questi tempi di quarantena da Coronavirus. Ci troviamo di fronte a un eccesso di offerta e l’effetto è paralizzante.
Qualche giorno fa ho letto su El País, il quotidiano spagnolo a cui sono abbonato ormai da anni, che i telespettatori americani spendono in media più di 7 minuti al giorno per decidere quale programma seguire sulle piattaforme di streaming (ma i giovani sotto i 34 anni sfiorano i 10 minuti). Detto così forse fa poco effetto, ma se moltiplichiamo il dato per i giorni dell’anno significa poco meno di 2 giorni sprecati con il telecomando o con il mouse in mano. Non siamo ai livelli dell’asino di Buridano, ma questa titubanza dice molto di come siamo (diventati?).
C’è da essere titubanti e indecisi anche solo nello scegliere quale seguire tra i tanti diari e cronache del Coronavirus che riempiono le pagine dei giornali e dei siti web. Ho visto che anche il grande viaggiatore Paolo Rumiz sta tenendo un “Diario dalla quarantena” su La Repubblica. Io leggo il “Diario viral” di Iñigo Domínguez su El País.
Per il resto ho cercato di dare un minimo di senso alla settimana che si conclude oggi riempiendo in qualche modo le lunghe giornate trascorse in casa.
Ecco cos’ho fatto.
Hamlet
Sul canale YouTube del Teatre Lliure di Barcellona ho visto “Hamlet” diretto da Pau Carrió, con uno strepitoso Pol López nel ruolo del protagonista (ma mi è piaciuto molto anche Eduard Farelo come Claudio). Del catalano in cui è recitato ho compreso solo una manciata di parole né posso dire di aver capito tutti i sottotitoli in castigliano, tuttavia mi ha colpito la forza espressiva dello spettacolo.

Una curiosità: mentre dialoga con Polonio, Amleto – López tiene in mano l’edizione tascabile dei “Saggi” di Montaigne (in francese).
Franceschini a Broadchurch
Ho guardato su Netflix la serie “Broadchurch”. Al momento sono a metà della terza e ultima stagione.
Se si riesce a superare lo scoglio psicologico dell’identificazione del protagonista maschile, l’ispettore Alec Hardy interpretato da David Tennant, con Dario Franceschini (ma è difficilissimo, tanto che a me continua a venire in mente il velenoso consiglio “Stai sereno”), si apprezza la solidità della narrazione e della recitazione (bravissima è Olivia Colman nel ruolo del sergente Ellie Miller).
Ma più di tutto mi piace la fotografia, curata da Matt Gray. Nella voce inglese della serie su Wikipedia ho letto che il direttore della fotografia si è “approcciato a Broadchurch come se fosse un documentario piuttosto che un dramma televisivo”.
Doppio Simenon
Ho iniziato “Il primogenito dei Ferchaux” di Georges Simenon (Adelphi). Avevo preso il libro molti mesi fa nella cesta del BookCrossing della mia pizzeria preferita.

Poi mi è capitata sotto gli occhi la pubblicità di un’iniziativa editoriale con la segnalazione de “I clienti di Avrenos” dello stesso Simenon: un romanzo breve ambientato a Istanbul. L’ho trovato con il prestito digitale delle Biblioteche di Milano.
Per un paio di giorni ho vagato con la mente per le vie di Pera, in crociera sul Bosforo, nei caffè dove si fumava l’hashish. Ve lo consiglio (il libro, non l’hashish). Io intanto torno alla storia dei Ferchaux.
Morrissey scatenato
Mi sono lasciato convincere dalla recensione di Xavi Sancho sul País di ieri e ho ascoltato su Spotify il nuovo album di Morrissey: “I Am Not A Dog On A Chain” (Sony / BMG). Concordo con il critico musicale: si tratta del lavoro migliore di Moz da molti anni a questa parte. Lo riascolterò nei prossimi giorni, ma so già che vorrò intervallarlo con i vecchi pezzi degli Smiths (su YouTube ho già visto alcune esibizioni dal vivo: nostalgia canaglia!).
Le Sonate di Pollini
Ho invece capito poco della recensione che Angelo Foletto ha dedicato su “Robinson” de La Repubblica a “The Last Three Sonatas opp. 109-111” di Beethoven suonate da Maurizio Pollini (Deutsche Grammophon), ma solo perché la mia cultura musicale è piuttosto rozza, per usare un eufemismo.

Però sono una persona curiosa. Ricordo di aver assistito a un concerto di Pollini al Teatro Lirico di Cagliari, nell’ormai lontano 2009. Ho ascoltato – e apprezzato – la nuova registrazione del pianista che torna alle Sonate di Beethoven dopo 45 anni.
E io tornerò ad ascoltarle, anche per cercare di capire le righe di Foletto: “i chiaroscuri scolpiscono l’utopia musicale e concettuale delle ultime tre Sonate. Il virtuosismo è ragionato e sofisticato; non cerca attenzioni ma veridicità”.
Il catalogo (non) è questo
Nei primi giorni della quarantena, quando c’era un grande fervore di attività e in rete giravano consigli su come impiegare il tempo, una mia amica ha segnalato un’APP per catalogare i libri. Si chiama “My Library” (ma ne esistono tantissime altre).
L’ho subito scaricata e mi sono messo a “bippare” il codice a barre dei volumi della mia biblioteca. Mi sono fermato a nove libri, dopo aver constatato che aveva ragione l’utente critico con la poca accuratezza del programma. Non è infatti in grado di distinguere con precisione perfetta il nome dal cognome dell’autore, né sempre riconosce l’editore. A volte, dunque, i dati vanno inseriti o modificati a mano. Su pochi libri si può fare, su migliaia no: non è il caso.
Un viaggio nell’archivio
Ci ho già provato mille volte in passato e mille volte ho fallito. Ma quale migliore occasione di questa quarantena per mettere in ordine il disco fisso? (Anche se più correttamente dovrei usare il plurale…).
Ho iniziato l’opera titanica di accorpamento, selezione, eliminazione, razionalizzazione delle migliaia di file archiviati sul disco fisso esterno che attualmente è collegato al computer su cui scrivo (quello interno è dedicato quasi in esclusiva alle foto e ai documenti più recenti). È come fare un viaggio nel tempo, tra progetti, spunti, bollette e fatture.
Ho ritrovato un file datato 08.08.08 (non casualmente) con la lista delle “Dieci cose da fare prima dei quarant’anni”. L’ho aperta con curiosità e l’ho richiusa con scoramento. Non ne ho fatta neanche una e meno di un anno mi separa ormai dalla boa dei cinquanta…
E ora? Mi metto a leggere “Il destino di Roma” di Kyle Harper (Einaudi) per scoprire come il clima e le epidemie hanno contribuito alla fine dell’impero romano. O causato?
Saul Stucchi