Nei giorni del 19 e 20 febbraio nei cinema d’Italia e del resto del mondo è “andato in scena” l’Amleto di Shakespeare del National Theatre di Londra, parte della campagna Shakespeare Lives organizzata per rendere omaggio al sommo drammaturgo inglese. Il verbo in questo caso si merita le virgolette perché si è trattato di una rappresentazione ibrida, che mescola appunto il cinema con il teatro.
Comunque e qualunque cosa fosse, è stata un’ottima occasione per celebrare il Bardo di Stratford-upon-Avon a 400 anni dalla sua morte. Avevamo già avvisato i lettori di ALIBI Online che questo sarebbe stato l’anno di Shakespeare (e di Cervantes!): dal Macbeth di Justin Kurzel al Macbeth di Luca Radaelli (senza tralasciare il Macbeth di Lenz Fondazione), dal Misura per misura di Alessandro Veronese, al Sugnu o non sugnu. Una notte insonne in casa Shakespeare, di e con Francesca Vitale. E non siamo ancora a metà anno: sono numerosi gli spettacoli in programma, a cominciare da quelli dell’Estate Teatrale Veronese (segnatevi in agenda almeno il Giulio Cesare).
Ma come è stato questo Amleto, recitato naturalmente in inglese (con i sottotitoli in italiano)? Per prima cosa molto intenso. Efficacemente diretto da Lyndsey Turner, è innegabile che debba il suo successo principalmente alla presenza di Benedict Cumberbatch nel ruolo del principe di Danimarca.
In patria lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito e la proiezione della tragedia sul grande schermo ha avuto migliaia di spettatori: un seguito da evento sportivo o da megaconcerto, invece del tutto inusuale per il teatro.
Tutto bene, dunque? Da appassionato e assiduo (diciamo) frequentatore di teatro mi pare che la componente cinematografica s’imponga su quella teatrale. Va presa come una considerazione neutra: né positiva, né negativa in sé.
Cinema o teatro? Questo è il dilemma
Il velocissimo cambio di inquadratura, le panoramiche e le sottolineature dei dettagli appartengono al “linguaggio” del cinema, non del teatro, dove lo spettatore non ha la possibilità di zoomare a piacimento (se non col binocolo personale), ma di contro ha la libertà di posare lo sguardo sul personaggio o l’elemento della scenografia che vuole. Non è detto che durante il celeberrimo monologo “Essere o non essere” si concentri sul volto e sulla figura di Amleto…
Gli effetti speciali e la sontuosa scenografia (di Es Devlin) sono quelli di una grandissima produzione e danno il loro contributo alla riuscita dello spettacolo. Ma lodevoli sono soprattutto gli attori: da Siân Brooke nel ruolo di Ofelia a Ciarán Hinds in quello del perfido Claudio, senza trascurare quelli a cui sono affidate le parti “minori”, come Matthew Steer e Rudi Dharmalingam nella coppia Rosencrantz e Guildenstern.
Benedetto Cumberbatch!
Su tutti c’è lui, Benedict Cumberbatch. Un Amleto fisico (corre su e giù e salta dalla tavola imbandita della reggia), sarcastico e irresoluto a tutto, un bel soldatino con ambizioni da adulto e volontà da bambino o viceversa, ma il risultato non cambia. Se la prende con quel cattivone dello zio, ma arriverà all’azione soltanto troppo tardi. E sarà, letteralmente, una tragedia.
Quel “villain” su cui insiste Amleto mi ha richiamato alla mente lo spettacolo sui cattivi di Shakespeare di Steven Berkoff….
O villain, villain, smiling, damned villain!
My tables— meet it is I set it down,
That one may smile, and smile, and be a villain;
At least I’m sure it may be so in DenmarkO furfante, furfante, sorridente, dannato furfante!
Il mio taccuino – io ci voglio scrivere sopra
che un uomo può sorridere, e sorridere, ed essere un furfante in Danimarca
(Traduzione di Marco Vignolo Gargini).
Ancora una volta colpiscono i veri “effetti speciali” di Shakespeare: l’abilissimo mescolamento di tragedia e commedia (nelle scene del giuramento e nel dialogo col becchino, per esempio), il gioco raffinatissimo del teatro nel teatro (metateatro), la costruzione di dialoghi serrati e insieme profondissimi, i monologhi da mandare a memoria. Tanti superlativi ma tutti meritati.
Saul Stucchi
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