In quella galleria di bravi attori sprecati che è il film The tourist, Steven Berkoff ha la parte del boss della mala circondato da sgherri russi (pur essendo inglese), disposto a tutto pur di recuperare quanto gli è stato rubato, persino di sfregiare il viso angelico della Jolie. Ma la carriera di Berkoff è piena di ruoli di cattivone, dal tenente che imprigiona Rambo (II) al gallerista che mette nei guai il protagonista di Beverly Hills Cop. Quello che presenta al Piccolo Teatro Studio di Milano un’intrigante rassegna di malvagi nelle opere di Shakespeare (Shakespeare’s villains è il titolo dello spettacolo, in cartellone fino al 31 marzo) è uno Steven un po’ appesantito ma dallo sguardo magnetico e dalla gestualità incontenibile.
Esordisce spiegando che esistono vari tipi di cattivo nei drammi del Bardo, perché a spingerli ci sono differenti motivazioni, a cominciare dalla gelosia che prova Iago per l’amore tra Otello e Desdemona, mentre Riccardo III è un mediocre ambizioso. “La mediocrità non è un crimine: la maggior parte di voi è mediocre” dice rivolgendosi al pubblico che accoglie con una risata, per poi stemperare aggiungendo con falsa modestia “come lo sono io” e gettarsi a capofitto nella critica del politically correct. Bisogna forse essere scozzesi per recitare Macbeth o vergini per interpretare il ruolo di Giulietta? E come mai si potrebbero tenere le audizioni per quest’ultima parte? Ce l’ha anche con i critici teatrali, che però vanno un po’ compresi perché nessuno davvero li ama (ma gli attori li leggono con attenzione quando parlano male dei colleghi…).
Recitare uno dei protagonisti delle opere scespiriane è come rimanere vittima di un incidente stradale, provoca lo stesso shock, solo che capita sei giorni alla settimana, col rischio di andare al ristorante dopo la recita senza ancora essere usciti dal personaggio, tanto da ordinare la cena con l’alterigia di un re, infierendo sul malcapitato cameriere come se fosse un vile fellone. Un altro inconveniente che capita a un attore quando recita i monologhi più celebri è che qualche spettatore sicuramente pensa tra sé e sé: “io preferisco come lo fa Laurence Olivier!”. Così Berkoff spinge via a fatica l’ingombrante modello, supplicandolo: “dammi un’opportunità, Laurie!”, tra le risa del pubblico. Io stesso non ho potuto fare a meno di confrontare mentalmente la sua versione del monologo iniziale del Riccardo III (Now is the winter of our discontent Made glorious summer by this sun of York…) con quella di Kevin Spacey nello spettacolo a cui ho assistito l’anno scorso a Napoli (in assoluto uno dei più belli visti in vita mia), senza però arrivare a stilare una classifica, limitandomi ad ammirare l’immensa bravura dei due attori e la potenza delle parole di Shakespeare.
Berkoff ci tiene a sottolineare l’universalità dell’autore che ha permesso ai suoi capolavori di reggere bene gli adattamenti di centinaia di registi, compresi quelli che hanno voluto trasportare nell’epoca contemporanea le sue trame (come il Riccardo III di Richard Loncraine, ambientato negli anni Venti del Novecento) e più volte lo definisce un “pittore di parole”, capace di descrivere situazioni e sentimenti con una frase, senza la necessità di ricorrere a effetti speciali (è ridicolo tutto quel fumo che accompagna sempre l’apparizione del fantasma del re morto nell’Amleto!). Fornisce anche informazioni storiche, come quando rievoca l’espulsione degli Ebrei dall’Inghilterra per ordine di Edoardo I nel 1290, il loro trasferimento in Spagna fino alla cacciata di Isabella e l’approdo a Venezia, fino all’invito a tornare da parte di Oliver Cromwell. Non c’erano dunque ebrei in Inghilterra quando Shakespeare compose il Mercante di Venezia e allora perché inventarsi il personaggio di Shylock? Per ragioni di botteghino! Shakespeare aveva bisogno di un “good villain” per stimolare l’audience, così come faranno i registi dei film hollywoodiani dopo di lui, adeguandosi alle paure (e agli stereotipi) degli spettatori contemporanei. Oggi nessuno utilizza più il russo come cattivo (tranne forse Sylvester Stallone!): adesso è il momento dell’arabo musulmano. Tra mille smorfie e gesticolando come un mimo, Berkoff diventa Shylock che, sordido e meschino, conta e riconta con visibile piacere le banconote davanti al povero Antonio.
Alla ripresa fa il suo ingresso accennando al celeberrimo monologo “To be or not to be” per poi raccontare che tutti gli attori amano recitarlo perché Amleto è intelligente e loro credono di diventarlo per proprietà transitiva, da personaggio ad attore. Eppure anche Amleto è un cattivo. Come, come?! Ma se è biondo ed è la quintessenza dell’uomo civilizzato, faro contro la barbarie! Invece è proprio un cattivo, anzi: un serial killer che abbandona i panni dello studente per ammazzare cinque o sei persone in poco tempo. Cattivo sì, ma pur sempre divertente, soprattutto se a impersonarlo è un grande come Steven Berkoff che in un secondo passa dal principe alla madre Gertrude e poi a Polonio. Da applausi.
Saul Stucchi
SHAKESPEARE’S VILLAINS
scritto, diretto e interpretato da Steven Berkoff
Dal 28 marzo all’1 aprile 2012 ore 20.30
Spettacolo in inglese
Durata: 2 ore con intervallo
Piccolo Teatro Studio
Via Rivoli 6
Milano
Biglietto
Platea: intero 40 €; ridotto 23 €
Balconata: intero 32 €; ridotto 20 €
Informazioni e prenotazioni
Tel. 848.800.304