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Voi siete qui: Biblioteca » “La morte a Venezia” sul treno verso Genova

30 Gennaio 2022

“La morte a Venezia” sul treno verso Genova

“L’ALIBI della domenica” è dedicato all’audiolibro de “La morte a Venezia” di Thomas Mann.

Ho trascorso tre intense settimane ascoltando – un’ora al giorno – la lettura de “Il nome della rosa” di Umberto Eco fatta dall’attore Tommaso Ragno. Faceva freddo nello scriptorium giovedì sera, a conclusione del lungo racconto di Adso da Melk. Ma nulla al confronto con la carrozza del treno Regionale Veloce 3017 di venerdì mattina, partito puntuale da Milano Centrale, con direzione Genova Piazza Principe. L’impianto di riscaldamento aveva evidentemente qualche problema.

Mi avrebbe accompagnato nel viaggio Massimo Popolizio. Non di persona, purtroppo, ma con la sua inconfondibile voce, prestata per leggere “La morte a Venezia” di Thomas Mann, un’opera che ho letto e di cui ho visto la versione cinematografica diretta da Luchino Visconti e quella operistica composta da Benjamin Britten (rimando alla mia recensione “Death in Venice” al Teatro Real di Madrid: c’è la morte, manca Venezia).

"La morte a Venezia" di Thomas Mann letto da Massimo Popolizio (audiolibro)

Voglia di viaggiare

Il treno si è fermato alla stazione di Rogoredo quando il protagonista, lo scrittore Aschenbach, fa uno strano incontro al cimitero di Monaco e prova un intenso desiderio di cambiare aria. “Era voglia di viaggiare, null’altro; ma, in realtà, sopravvenuta con la violenza di un accesso, spinto al parossismo, all’allucinazione”. E poco più avanti: “Per lo meno da quando aveva avuto i mezzi di godere a proprio talento il piacere di correre il mondo, i viaggi per lui non erano stati altro che una misura igienica, di quando in quando necessaria anche se presa a malincuore”.

Negli appunti che ho preso durante il viaggio – mi accorgerò poi – ho annotato il nome Auerbach per Aschenbach, lapsus spiegato dalla lettura che sto facendo in questi giorni di “Tre anelli” di Daniel Mandelsohn.

Sono molto interessanti queste prime pagine in cui Mann racconta il metodo di lavoro e le idiosincrasie di Aschenbach, dietro le quali ci sono le sue, tra svogliatezza, rigore, forza di volontà e incontentabilità.

“Viaggiare, dunque: d’accordo. Oh, non molto lontano, non proprio fino al paese delle tigri: una notte in vagone letto”… Guardavo fuori dal finestrino: foschia sui campi brinati sui quali si alzava il pallido sole di fine gennaio (ma poi sarebbe stata una giornata spettacolare, tanto a Milano quanto a Genova).

Tra due fiumi

La foschia si infittiva e diventava nebbia a Pavia. Mentre il treno era fermo in stazione, Mann raccontava i riti quotidiani di Aschenbach, la cui giornata si apriva con abluzioni di acqua fredda al petto e alla schiena. Le chiappe mi si stavano congelando. Non era il potere della letteratura: era l’aria siberiana che spazzava la carrozza.

L’attraversamento dei due fiumi – prima il Ticino e poi il Po – coincideva con la descrizione dello stile di Aschenbach e del suo aspetto esteriore, fino alla stazione di Voghera. Una passeggera dai tratti orientali (credo cinese) ha tentato di scendere quando il treno ormai si era rimesso in moto e intanto Ascenbach era partito con il treno notturno per Trieste. A Pola studiava gli itinerari dei piroscafi, mentre la passeggera cercava di capire cosa fare, andando avanti e indietro per il vagone.

Dal finestrino del treno regionale veloce 3017

Il piroscafo su cui si era imbarcato lo scrittore lasciava la banchina di Pola e noi veleggiavamo a una cinquantina di chilometri orari per affrontare gli ultimi lembi di pianura, al confine tra Lombardia e Piemonte. Ascenbach si era addormentato, mentre io resistevo, a dispetto dell’invitante dondolio del treno.

Venezia e Genova

Mentre scendevamo verso Serravalle Scrivia, lo scrittore rivedeva – ma questa volta dal mare – l’indescrivibile scenografia di Piazza San Marco. Eccolo poi sulla gondola, dilaniato tra la volontà di imporsi sul sinistro nocchiero e il piacere di abbandonarsi al piacevolissimo viaggio. “Un’accidiosa malia sembrava emanare dal suo sedile, da quel basso divanetto morbido e nero, che ondeggiava mollemente ai colpi di remo del dispotico gondoliere, ritto dietro di lui”. Io invece ero costretto a cambiare posizione ogni tre secondi per non congelare.

Prima di toccare riva con il suo barcaiolo (e di scoprirlo abusivo), Ascenbach ha incontrato una barca piena di suonatori girovaghi. Noi invece siamo entrati a Ronco Scrivia, mentre una passeggera sudamericana ascoltava musica o guardava un video sul suo smartphone a volume molto alto. Due “rider” di una società di consegna pasti – entrambi di colore – hanno attraversato i binari portando in spalla le bici.

Eravamo in una lunga galleria quando lo scrittore ha visto per la prima volta il giovane Tadzio e ne è rimasto soggiogato. A Venezia il tempo “non prometteva bene”, a Genova, invece era bello. Aschenbach si è accomodato sulla sua sedia a sdraio portata avanti sull’arenile del Lido quando il treno è arrivato alla stazione di Genova Porta Principe.

PS: Massimo Popolizio e Tommaso Ragno saranno in scena nei prossimi giorni al Piccolo Teatro Strehler di Milano con “M Il figlio del secolo” di Antonio Scurati.

Saul Stucchi

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