Si dice spesso – tanto da essere diventato un luogo comune – che la poesia non si legge, non attira il pubblico né tantomeno vende. E invece ieri sera lo Studio di Lucia Crespi a Milano era gremito per il ventiduesimo appuntamento di Lampi. Duetti culturali, il sesto dell’edizione 2025.
Senza che qualcuno potesse prevederlo (forse nemmeno Marco Pesatori, ospite a maggio dell’anno scorso), l’incontro è coinciso con la proclamazione del nuovo pontefice. Giusto all’inizio è stata diffusa la notizia della fumata bianca, mentre nel corso della serata qualcuno tra il pubblico era già stato informato dai siti online dell’elezione di Leone XIV, lo statunitense Robert Francis Prevost.

Ma lasciamo un attimo da parte la religione per tornare alla letteratura. Ospite dell’incontro era il poeta Antonio Prete che ha ripercorso la propria carriera dialogando con il critico e anch’egli poeta, nonché amico da quasi mezzo secolo, Enzo Di Mauro. In oltre un’ora di chiacchierata i due hanno rievocato il fermento culturale che caratterizzò gli anni Settanta e buona parte della decade successiva. Nelle università e nelle scuole, ma anche nei circoli e nelle redazioni si viveva un clima di grande dibattito culturale, fatto di confronti e critiche. Studio e ricerca erano contaminati dai movimenti intellettuali.
Prete, nato nel 1939 a Copertino nel Salento, esordì poco più che trentenne nel 1970 con due libri di peso: La distanza da Croce e Il realismo di De Sanctis. Critico è colui che legge e propone al pubblico la propria lettura critica – ha detto l’autore – propugnatore di una critica che mette al centro il lettore e non di quella classificatorie e ordinatrice (mi è tornata in mente una celebre scena del film L’attimo fuggente, con la hit parade dei poeti…). Fare critica – ha sottolineato Prete – significa scrivere, impegnarsi nella scrittura.

Di Mauro ha messo in luce che Prete, nel suo percorso culturale, ha un po’ frantumato i generi, contro la miopia tutta italiana che considera la scrittura per categorie separate: i poeti non devono cimentarsi con la prosa, né i prosatori con la poesia, pena il venir bersagliati dagli strali dei colleghi dalle vedute ristrette.
Più che di poesia, ieri sera si è parlato soprattutto di cultura: di maestri e di incontri – magari soltanto sfiorati o riusciti in parte – come quelli con Pasolini, Mario Luzi, Caproni, Yves Bonnefoy. E poi di libri, in particolare delle opere di Prete dedicate a Leopardi e a Baudelaire. “Traducevo e regalavo due o tre Fiori del male” all’anno, ha confessato l’ospite sorridendo, prima di dedicarsi alla traduzione sistematica dell’intera raccolta del poeta francese.
Ma come è stato possibile che da quella ricchezza culturale si sia precipitati nell’abisso in cui ci ritroviamo oggi? Chi sono gli intellettuali di riferimento? Chi i maestri in un’epoca in cui il proscenio è occupato da divulgatori e influencer? Anche di questo si è parlato.
L’intensa serata si è chiusa con la lettura della poesia Passi d’ombra, compresa nella raccolta
Convito delle stagioni pubblicata da Einaudi l’anno scorso. E chi, come il sottoscritto, vede metamorfosi dovunque non si stupisce nello scoprire che proprio questo è il titolo del primo componimento, da cui prendo questi versi, invitandovi a leggere l’intero libro (e gli altri suoi, anche in prosa, come Torre saracena. Viaggio sentimentale nel Salento, uscito da Manni nel 2018):
Nello schiudersi del fiore,
o nel formarsi di una stella,
quel che accade ha lo stesso respiro
del tuo desiderio.
Niente muore davvero.
Il prossimo appuntamento di Lampi. Duetti culturali cadrà eccezionalmente di martedì: il 20 maggio, sempre alle 18.30, Giampaolo Prearo sarà “Il principe degli editori d’arte” intervistato dal giornalista e critico d’arte Mimmo Di Marzio.
Saul Stucchi