Il caso – che non esiste – ha voluto che il neo costituito gruppo di lettura della Biblioteca di Mezzago, a cui ho subito aderito, decidesse un paio di settimane fa di esordire con il romanzo “Giobbe. Storia di un uomo semplice” di Joseph Roth proprio in concomitanza con la rappresentazione al Teatro Franco Parenti di Milano dello spettacolo che Francesco Niccolini ha tratto dal libro.
Niccolini, che si è avvalso della consulenza letteraria e storica di Jacopo Manna, ne firma anche la regia, mentre a interpretare il monologo è l’attore Roberto Anglisani. Lo spettacolo ha vinto l’edizione 2017 del Festival “Teatri del Sacro” di Ascoli Piceno.

Insieme ad altri partecipanti del gruppo di lettura ho approfittato della coincidenza. Non certo per risparmiarmi le poco meno di 200 pagine del libro (nell’edizione Adelphi con la traduzione di Laura Terreni, che ha per titolo – per essere precisi – “Giobbe. Romanzo di un uomo semplice”), quanto piuttosto per verificare affinità e divergenze tra l’originale – per quanto possa definirsi originale una traduzione… – e l’adattamento teatrale. Ne è valsa la pena. Il monologo è intenso e commovente fino alle lacrime, grazie alla bravura di Anglisani che sa emozionare (ed emozionarsi) senza scadere nel patetico.
Alla prova
Naturalmente la versione scenica non è la riproposizione letterale del romanzo, ché altrimenti servirebbero diverse ore e non i circa 70 minuti della recita. Eppure lo spirito rimane inalterato, anzi ne esce potenziato dalla voce dell’interprete che vivifica il racconto dello scrittore austriaco.
Semplici i suoi gesti. A quelli delle mani, che parlano da sole per commentare e sottolineare gli eventi e che stringono e sgualciscono il cappello, si aggiunge l’incessante alzarsi e sedersi sulla sedia, unico oggetto di scena. Il continuo movimento è come il dondolio (shokelin) della preghiera. I mattoni a nudo della piccola sala restituiscono la povertà dello Shtetl, il villaggio ebraico.

Ma incessante è anche il lavorio dell’opera divina. Per vederne i risultati non occorre tanto la pazienza (come vuole la vulgata, nel senso dell’opinione comune), quanto la fede. È su questa che si fonda la prova a cui sono messi tutti i personaggi del libro e con loro noi tutti, non soltanto Mendel Singer, lo “stupido maestro di stupidi bambini”. Lo sono i due primogeniti Jonas e Schemarjah, la moglie Deborah e la figlia Mirjam che ha un debole per i cosacchi, al di qua e al di là dell’Oceano.
Alla prova è messo anche Menuchim, l’ultimo figlio, nato deforme e gracile, tanto da gettare nello sconforto i genitori. Deborah andrà dal rabbi per presentargli l’ultimogenito e chiedere per lui l’intercessione del santo.
Menuchim, figlio di Mendel, guarirà. Pari a lui non ce ne saranno molti in Israele. Il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l’amarezza mite e la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie limpide e piene di risonanza. La sua bocca tacerà ma le labbra, quando si apriranno, annunceranno il bene. Non temere e va’ a casa!”.
Ri-Scrittura di Giobbe
Il caso – già lo sapete: non esiste – ha voluto che proprio al “Giobbe” di Roth sia dedicato l’ultimo capitolo di “Rifare la Bibbia. Ri-Scritture letterarie” di Piero Boitani, pubblicato da il Mulino. L’autore, professore emerito di Letterature comparate alla Sapienza Università di Roma, aprirà il breve ciclo di incontri “Riscritture delle Scritture” che il sottoscritto (perdonate il calembour) ha organizzato in collaborazione con la Biblioteca di Vimercate (MB) e la concittadina Libreria Il Gabbiano che ospiterà la presentazione martedì 10 maggio alle ore 21.00.

Mendel Singer è per Boitani il protagonista di uno dei “romanzi più belli e commoventi” del Novecento. Le pagine che il professore dedica a questa Ri-Scrittura sono tra le più intense del libro (le mie preferite sono quelle che si concentrano su “Giuseppe e i suoi fratelli” di Thomas Mann). Ne traggo soltanto un breve brano, più che altro per invogliarvi a proseguire la lettura:
Come non è possibile uccidere Menuchim, così non è possibile bruciare Dio: carne della carne e spirito dello spirito, essi marchiano ed eleggono Mendel che a sua volta li sceglie. Bene e male stanno, per chi li osserva, in ambedue: Dio è «mano benigna» e crudele «isprawnik». Menuchim e Dio costituiscono i due lati estremi, opposti e complementari di ciò che è inscrutabile, dell’insondabilità ultima dell’essere. Abbandonare l’uno significa perdere la fede nell’Altro, voler bruciare il Primo vuol dire considerare il secondo per sempre morto. Essi sono legati dall’attesa che destano e tengono viva in quelli che sono a loro vicini — dall’attesa finora vana del «Wunder», del miracolo.
“Giobbe. Storia di un uomo semplice” sarà in cartellone al Teatro Franco Parenti, nella Sala Treno Blu, fino a domenica 8 maggio. Non perdetevelo. E leggetevi il romanzo di Roth, prima o dopo lo spettacolo, da soli o con un gruppo di lettura. Quello della Biblioteca di Mezzago è aperto a tutti.
Saul Stucchi
Giobbe. Storia di un uomo semplice
dal romanzo di Joseph Rothadattamento Francesco Niccolini
consulenza letteraria e storica Jacopo Manna
con Roberto Anglisani
regia Francesco Niccolini
produzione Teatro Franco Parenti / CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia
Informazioni sullo spettacolo
Dove
Teatro Franco ParentiVia Pier Lombardo 14, Milano
Quando
Dal 19 aprile all’8 maggio 2022Orari e prezzi
Orari: consultare il sito del teatroDurata: 1 ora e 10 minuti senza intervallo
Biglietti: intero 15 €; ridotto 12 €
Tutti i prezzi sono da intendersi + prevendita