Da Delacroix a Kandinsky. L’Orientalismo in Europa è una mostra ricca di spunti e di fascinazioni, emendabile solo nel titolo che “sfrutta” il nome del pittore russo per far da richiamo al grande pubblico, anche se di lui è presente un’unica tela. Quando si ha l’ambizione di raccontare il variopinto universo artistico che va sotto il nome di Orientalismo e si vince la scommessa squadernando centinaia di opere tutte da ammirare, si potrebbe benissimo fare a meno di ricorrere a un “trucchetto” così facile. Il percorso espositivo è un lungo viaggio nel tempo e nei luoghi dell’Oriente, da intendersi nel suo significato più ampio, dimenticando per una volta le rigide delimitazioni della geografia. L’area di interesse finisce così per abbracciare tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, compresa la Spagna, situata geograficamente nella parte occidentale dell’Europa, ma ancora pregna di testimonianze della civiltà araba, tanto da costituire per gli artisti di diverse generazioni un Oriente alle porte di casa. Ma è senza dubbio l’Egitto ad aver avuto un ruolo di primissimo piano nella diffusione dell’arte orientalista, soprattutto grazie alla campagna napoleonica a cavaliere del XIX secolo che segnò uno spartiacque epocale, con conseguenze percepibili, seppure diluite, ancora oggi. E giustamente il paese dei faraoni fa un po’ da ospite d’onore in mostra, con numerose opere che ne ritraggono i paesaggi. Nella tela Israele in Egitto di Poynter (1867) fa da sfondo a quello che sembra un set hollywoodiano, per esempio quello di Antonio e Cleopatra con gli indimenticabili Richard Burton e Liz Taylor, mentre in due teche sono esposti due volumi della Description de l’Egypte, l’opera enciclopedica (è proprio il caso di dire!) che ha stretto in un legame indissolubile i nomi di Napoleone e dell’Egitto.
Poco più avanti troviamo uno dei quadri più intensi, a mio avviso, ovvero la Morte del primogenito del Faraone di Lawrence Alma Tadema. Di Makart è invece esposta La morte di Cleopatra e lo stesso tema ricorre in altre due opere lì accanto. L’illuminazione purtroppo non è sempre impeccabile, tanto che in alcuni casi i dipinti a olio riflettono la luce dei faretti, rendendo difficile la visione dei quadri. Impossibile non soffermarsi però davanti al Riposo durante la fuga in Egitto di Merson e non commuoversi per questa scena di intimità familiare al sicuro tra le zampe di una sfinge, con il volto di Maria illuminato dall’aureola del Bambino (il mio pensiero intanto correva alle rappresentazioni dello stesso tema date da Cranach e dai suoi contemporanei, che ho potuto vedere nella mostra che il Bozar ha dedicato al maestro tedesco).
Se l’Egitto fa spesso da cornice per scene di genere, lo vediamo però anche come palcoscenico di avvenimenti drammatici (è il caso della Battaglia di Eliopoli di Cogniet) o dal forte sapore propagandistico: ecco il generale Bonaparte che perdona i rivoltosi del Cairo, mentre sullo sfondo si alza ancora il fumo di un edificio bombardato, forse la celebre moschea di Al Aqsa fatta cannoneggiare da lui stesso.
Tra i tanti temi attorno ai quali è possibile raggruppare almeno mentalmente le opere c’è il forte richiamo alla potenza della luce, esaminata in tutte le sue gradazioni; non dimentichiamo che i pittori orientalisti provenivano spesso dai paesi nord-europei e che per loro l’arrivo al Mediterraneo rappresentava prima di tutto un “bagno” nella sua luce (la stessa cosa valeva ancora per Chagall, come abbiamo visto nella mostra a Pisa). Ma le tele raccontano anche di popolazioni socialmente arretrate, spesso rappresentate come masse anonime, implicitamente opposte all’individuo-artista europeo. Comincia anche a far capolino il turismo, non ancora di massa: Frère ha immortalato il viaggio dell’imperatrice Eugenia in Egitto in cui vediamo delle gentildonne cavalcare per nulla impacciate su cammelli e asini, con tanto di ombrellino per ripararsi dal sole (la moda dell’abbronzatura a tutti costi era ancora, quella sì, di là da venire e la pelle chiara distingueva le signore dalle popolane, come nelle pitture cretesi di due millenni e mezzo prima). A sua volta il tema delle rovine archeologiche permette di fare il confronto con la fotografia appena nata e di osservare come si esprimano le sensibilità dei diversi pittori di fronte agli stessi monumenti.
Durante il XIX secolo il soggiorno in Italia e/o in Grecia costituiva una tappa fondamentale nella formazione degli artisti europei che in questi paesi potevano ammirare le vestigia della classicità. Ma già Delacroix sosteneva in una lettera a un amico che “Roma non è più a Roma”, a significare che le rovine dell’antichità meglio conservate si trovavano nei paesi del Vicino Oriente e del Nord Africa. Per questo motivo il viaggio in questi luoghi era da considerarsi un viaggio nel tempo, in una storia ancora viva e palpitante. Il pittore francese fu tra i pochi ad avere il privilegio di poter visitare il gineceo di una casa araba e ne ebbe una profonda impressione. Vide le donne intente al lavoro tradizionale della tessitura, circondate dai bambini “come ai tempi d’Omero”, e non esitò a riconoscervi il suo ideale di donna “C’est la femme comme je la comprends”. La Francia giocò un ruolo molto importante nella diffusione della “maniera” orientalista, grazie all’infrastruttura artistica molto sviluppata, basata sulle accademie d’arte, sui premi, i saloni, le commissioni e ovviamente le mostre aperte al pubblico. Eppure l’Orientalismo non può essere catalogato come fenomeno artistico esclusivamente francese perché tutti i paesi europei vi hanno partecipato. Si è trattato infatti di un movimento transnazionale, vissuto e interpretato come superamento di ogni genere di confine: territoriale, politico, religioso e sociale.
Si arriva alle ultime sale forse un po’ stremati, di certo con gli occhi carichi di colori e la mente di pensieri e sollecitazioni. L’ultimo tratto è dedicato alla sguardo moderno e che sguardo! Ci sono la Festa araba di Renoir, l’Improvvisazione III di Kandinsky (che gli vale la presenza nel titolo dell’esposizione) e l’affascinante Città araba di Klee, dipinta nel 1922, l’anno in cui l’archeologo inglese Howard Carter rinverdiva i mai appassiti fasti dell’egittomania, scoprendo la tomba del giovane faraone Tutankhamon.
Saul Stucchi
Da Delacroix a Kandinsky. L’Orientalismo in Europa
Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique
Musée Art moderne
Rue de la Régence 3
Bruxelles
Fino al 9 gennaio 2011
Orari: 10.00-17.00
Chiuso il lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio
Biglietto: intero 9 €; ridotto 6,5 €
Informazioni:
www.expo-orientalisme.be
Didascalie:
Pierre Narcisse Guérin
Bonaparte perdona i rivoltosi del Cairo, sulla pizza di Elbekir (1806 ca)
Olio su carta incollata su tela, 50×75 cm
Musée des Beaux-Arts, Caen
© Musée des Beaux-Arts, Caen
Edward Poynter
Israele in Egitto (1867)
Olio su tela, 137,2×317,5 cm
Guildhall Art Gallery, Londres
© Guildhall Art Gallery, Londres
Gustav Bauernfeind
Le rovine del tempio di Baalbek (1882)
Olio su tela, 85×53 cm
Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Neue Pinakothek, Munich
© ARTOTHEK, Blauel/Gnamm
Wassily Kandinsky
Improvvisazione III (1909)
Olio su tela, 94×30 cm
Legs Nina Kandinsky
Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art Moderne, Paris
© ADAGP; © Collection Centre Pompidou, Dist. RMN/Adam Rzepka
INFORMAZIONI
Turismo Fiandre
Tel. 199 442111
www.turismofiandre.it