Alle porte di Vicenza, nella zona di San Bastian, un principe erige un palazzo protetto da un’alta recinzione per isolarlo dalla realtà esterna. Il motivo è molto semplice: ha una figlia di nome Jana, dal volto carino ma di bassissima statura.
Molti cavalieri si recano a corte per chiedere la mano della fanciulla, ma quando scoprono la microsomia della ragazza inventano qualsiasi pretesto e si dileguano. Quindi, per evitarle delusioni a catena, è preferibile che la giovane viva in un mondo artificiale, ricostruito a sua immagine e somiglianza, con tutta la servitù di misure analoghe a lei.
Un giorno però un gentiluomo con un candido destriero e animato dalle più nobili intenzioni riesce a eludere la ferrea sorveglianza e a entrare. Non appena lo vede, la donzella s’invaghisce perdutamente. Ma l’altro, scoperto il segreto nascosto dentro la dimora, rimane allibito e fugge via. L’infelice innamorata s’affaccia allora al balcone che guarda verso la strada e, in preda alla disperazione, si getta nel vuoto. I minuscoli quanto fedeli domestici s’arrampicano trafelati per vedere che cosa stia accadendo. E, di fronte alla terribile disgrazia, rimangono impietriti dal dolore.
È in questo modo fantasioso che la leggenda spiega una delle caratteristiche di villa Valmarana ai Nani, così chiamata per la presenza di ben 17 gnomi sulla sommità della cerchia muraria. Più prosaicamente, la storia dice che la fabbrica nasce nella seconda metà del Seicento come residenza signorile del giurista Giovanni Maria Bertolo.
Non si conosce con precisione il nome dell’architetto, anche se le guide parlano d’un certo Antonio Muttoni, che gli studiosi odierni tendono a considerare del tutto fittizio. Viene acquisita ai primi del XVIII secolo dal nobile casato che le dà il nome e che alla palazzina originaria aggiunge la foresteria, le scuderie, un giardino all’italiana con carpini e una nicchia a tempietto con la statua del “Gigante”.
Nel 1757 il conte Giustino incarica Giambattista Tiepolo di affrescare gli interni. L’uomo è un inguaribile cultore dei classici, tra cui predilige in particolare Omero, Virgilio, Ariosto e Tasso, ossia i grandi narratori di imprese epiche. Chiede quindi al celebre pittore di eternare alcuni episodi tratti dalle loro opere in versi.
L’artista veneziano ha ormai più di 60 anni e giunge in compagnia del figlio Giandomenico, al quale affida il compito di istoriare l’edificio riservato agli ospiti, non senza qualche intrusione estemporanea negli spaccati che celebrano il mondo cavalleresco. Del giovane rampollo sarebbero anche i disegni dei folletti, poi tradotti in pietra da Francesco Iliaco.
La prima sala
Subito dopo l’ingresso, nell’aula centrale campeggia “Il sacrificio di Ifigenia”. Il mitico evento figura già nel poema che narra la decennale guerra di Troia, anche se il grosso del racconto ruota intorno alle ultimissime fasi del conflitto. Le navi greche partono infatti per vendicare il rapimento di Elena, ma appena uscite dall’area portuale di Aulide incontrano un’improvvisa bonaccia. L’indovino Calcante spiega che, per consentire la ripresa del viaggio, Artemide pretende in dono il sangue della figlia di Agamennone.
Il dramma del genitore, che presenta vistose analogie con l’episodio biblico di Abramo e Isacco, viene sondato a fondo nella tragedia di Euripide e ripreso in età moderna da Jean Racine e José de Canizares. Iconograficamente vanta invece molti meno interpreti. L’unico precedente di rilievo è un antico quadro visibile nel museo nazionale di Napoli, forse scaturito dalla rielaborazione romana di vari prototipi classici o ispirato a un originale greco del pittore Timante.
Nel capolavoro tiepolesco la scena, come del resto tutte le altre, si colloca tra le architetture del rinomato quadraturista Mengozzi Colonna, che collabora con il maestro fin dal 1720, allorché appronta le decorazioni di villa Baglioni, a Massanzago, ideando false prospettive in grado di moltiplicare gli spazi e ricorrendo a cornici che sembrano tridimensionali.
Il pugnale del sacerdote addetto al macabro rito sta per affondare nelle carni della fanciulla, secondo una prassi che già Lucrezio nel De rerum natura condanna come frutto di superstiziosa empietà. Ma dall’alto giunge provvidenziale l’intervento di Diana, che invia una cerbiatta accompagnata da due amorini perché sia immolata al posto della giovane. Tra due colonne l’Atride si copre il volto con il mantello rifiutandosi d’assistere allo scempio. Sull’altra parete i soldati in primo piano sono muti testimoni dell’esecuzione, mentre dallo sfondo spuntano gli alberi delle imbarcazioni che non possono salpare per mancanza di vento.
La seconda sala
La seconda sala è espressamente dedicata all’Iliade. Il magico pennello si sofferma a descrivere il dissidio tra il capo degli Achei e il più valoroso dei soldati greci, ossia Achille. È una lotta intestina che porta allo sciopero dell’eroe, il quale torna a combattere soltanto per vendicare l’uccisione dell’amico Patroclo. La contesa comincia quando Agamennone ottiene come bottino personale di guerra la figlia di Crise, ministro di Apollo.
Il dio, per ritorsione, sparge una terribile pestilenza nell’accampamento ellenico minacciando una recrudescenza dell’epidemia se la giovane non sarà restituita al padre. Il “pié veloce”, grazie all’ascendenza conquistata con il suo valore, impone al re di obbedire. Ma poco dopo l’altro si vendica sottraendo al guerriero la diletta schiava Briseide.
La sequenza pittorica si apre con la giovane che viene accompagnata al cospetto del sovrano da due guardie. Con le trecce bionde e vestita di bianco, la donna vorrebbe ribellarsi, ma dinnanzi al volere supremo china mestamente la testa in segno di sottomissione. La successiva ritrae il Pelìde che sta per sguainare la spada, sfidando l’autore dell’insopportabile sgarro.
Nel momento cruciale, a evitare uno scontro dalle conseguenze irreparabili, Minerva afferra per i capelli l’inferocito figlio di Teti e gli impedisce di duellare. Infine viene rappresentata la disperazione dell’orgoglioso armigero, che per amore abbandona i simboli bellici, ossia l’elmo e lo scudo, mentre dalle acque esce per consolarlo sua madre, accompagnata da un’altra figura mitologica.
La terza sala
La terza stanza riassume con una serie di flash le intricatissime vicende dell’Orlando furioso, ricchissimo di personaggi e di trame che s’intersecano. Compare Angelica, la splendida principessa del Catai, incatenata alla rupe e prigioniera d’un mostro marino.
Al galoppo sul famoso ippogrifo giunge il cavaliere Ruggero, che riesce a liberarla. La giovane è oggetto dell’amore di Orlando, però l’imprevedibile Cupido scocca le sue frecce verso il giovane pagano Medoro, che la fanciulla incontra ferito durante le sue interminabili fughe. Ella provvede a curarlo con delle erbe mediche, dopo di che la coppia trova rifugio presso una casa colonica.
Il Tiepolo raffigura proprio il momento in cui il ragazzo dona un anello ai due anziani agricoltori in segno di riconoscenza per la loro insperata ospitalità. Qui comunque si ravvisa anche il talento del debuttante Giandomenico, riscontrabile in particolare nelle figure dei due contadini e nella cesta poggiata per terra. L’ultima immagine ritrae la bella protagonista che incide il nome dell’amato sulla corteccia dell’albero mentre il giovane la contempla estatico.
La quarta sala
Le pareti del penultimo ambiente parlano invece dell’Eneide. Anzi, per la precisione, più che alla saga virgiliana si ispirano alla Didone abbandonata seguendo il libretto di Pietro Metastasio musicato da Domenico Sarro. Il figlio di Anchise, sopravvissuto all’incendio di Ilio e fuggito con un gruppo di seguaci, approda sulle coste africane dopo una tempesta e ringrazia la madre Venere, che gli appare per rincuorarlo.
Non sembra tanto un guerriero alla ricerca d’una nuova patria. Ha invece il piglio d’un tenore pronto per il “do di petto”, con il braccio alzato, la bocca semiaperta e il ventre gonfio d’aria. La regina Didone, seduta sul trono, osserva il profugo che le presenta il figlioletto Ascanio, anche se in realtà è Eros sotto le sembianze del ragazzo, come si nota dalle ali, dalle frecce e dal cuore d’oro.
Incerto se corrispondere ai sentimenti della donna o riprendere il viaggio, non sa bene quale decisione prendere. L’atroce dilemma viene espresso da un lato con l’arrivo di Mercurio, che lo sollecita a proseguire la missione voluta dal fato, e dall’altro con gli emblemi del dovere abbandonati al suolo.
L’ultima sala è un inno alla Gerusalemme Liberata. In questo caso non si tratta d’una tematica del tutto nuova.
Negli anni fra il 1744 e 1745 il Tiepolo esegue infatti una serie di opere per un palazzo della Serenissima non meglio identificato. Si tratta di otto tele che immortalano le gesta dei crociati per la riconquista del Santo Sepolcro. Ora metà dei quadri in questione si trova alla National Gallery di Londra. Gli altri, per tortuose vie difficili da ricostruire, sono finiti al di là dell’Atlantico, e precisamente a Chicago.
Nei riquadri vicentini l’artista si limita a inseguire la parabola della passione tra Rinaldo e Armida, la fascinosa maga pagana che tiene il cavaliere imprigionato tra le delizie del suo giardino nelle isole Fortunate. Novella Circe o reincarnazione di Calipso, dapprima è narcisisticamente invaghita soltanto di sé, come induce a credere lo specchio che ha accanto.
Poi diviene vittima del suo stesso potere e si ritrova sedotta e abbandonata alla stregua di Didone. L’epilogo delle due eroine è però completamente diverso: tragico per la seconda e di salvezza per la prima, il cui tentato suicidio è sventato dallo stesso uomo che ama, il quale riesce persino a convertirla alla fede e dunque salvarla in senso completo.
Ospiti illustri
Molti sono i letterati illustri transitati sotto il tetto di questo gioiello vicentino. Il 26 di settembre del 1786 è la volta di Johann Wolfgang Goethe. L’autore del Faust, pur senza sapere che gli affreschi sono di due mani diverse, sembra quasi intuirlo e così trascrive le sue impressioni: “Oggi ho visitato la villa che il Tiepolo ha decorato, lasciando libero corso a tutte le sue virtù e ai suoi difetti. Lo stile sublime non gli è riuscito come il naturale, ma in questo vi sono cose deliziose”. Addirittura di casa è Antonio Fogazzaro, marito di Margherita Valmarana.
Egli tratteggia in maniera puntuale il complesso architettonico nel romanzo Piccolo mondo moderno, raccontando l’infelice matrimonio di Piero Maironi e l’incontro con la bella Jeanne Dessalle. In più passi allude al tipo di vegetazione del sito e descrive minuziosamente la sala rettangolare con il tentato olocausto di Ifigenia e gli equipaggi achei pronti a riprendere il mare.
Non è da meno Guido Piovene, figlio d’una delle proprietarie, che in diversi saggi ricorda l’habitat della nostalgica stagione infantile. E proprio qui Goffredo Parise stende molte pagine del suo libro Il prete bello.
Testo e foto di Lorenzo Iseppi
Villa Valmarana ai Nani
Via dei Nani 8
Vicenza
Tel. 0444.321803
Sito web www.villavalmarana.com
Orari:
Dal 10 marzo all’8 novembre 2009: dal martedì alla domenica 10.00-12.00; 15.00-18.00
Biglietto: singolo 8,00 €; gruppi (min. 15 persone) 6,00 €; studenti in comitiva 4,00 €
Didascalie:
- Villa Valmarana ai Nani
- Alcuni degli gnomi sul muro di cinta
- La nicchia con il Gigante
- Il sacrificio di Ifigenia
- Briseide accompagnata al cospetto di Agamennone
- Angelica cura con le erbe Medoro ferito
- Enea ringrazia la madre Venere dopo lo sbarco sul suolo africano
- Enea presenta a Didone il figlioletto Ascanio
- Rinaldo abbandona Armida