South Beach non è un luogo da sottovalutare se si vuole parlare di storia, anche se questo aspetto viene trascurato da chi considera Miami soltanto la città del mare e del sole e ci viene in cerca di glamour e night life. Forse non tutti sanno, e io ero una di loro, che a Miami esiste la più numerosa comunità di sopravvissuti alla Shoah in America. La città possiede un grandioso memoriale inaugurato nel 1990, situato tra Dade Boulevard e Meridian Avenue, non molto lontano dalle Lamborghini che sfilano su Ocean Drive e i baywacht sulla spiaggia caraibica. Ricorda i 6 milioni di vittime che perirono negli anni del regime nazista in Europa e assieme garantisce che questa tragedia non svanisca nella memoria delle generazioni future. Impressionante e imperdibile, questo luogo è continuamente sorprendente, continuamente emozionante, una visita che si trasforma passo dopo passo tra curiosità, suggestione, sentimento e dolore.
Progettato dall’architetto e scultore Kenneth Treister, iniziato a metà degli anni’80, è costituito per la maggior parte da pietre rosate di Gerusalemme e circondato da un laghetto che crea riflessi molto suggestivi. Al centro dello specchio d’acqua, anche da lontano si vede una mano di bronzo che si erge con i suoi 13 metri, imponente, reale, il palmo aperto come per cercare un contatto con il cielo.
Nell’avvicinarsi al limite del laghetto si viene attirati a un cammino interpretativo che conduce a un muro semicircolare di granito e una serie di pannelli sui quali vengono spiegate le varie tappe che portarono a questa immane tragedia, dall’ascesa di Hitler nel 1933 fino al suo suicidio a Berlino dodici anni dopo.
Seguendo questi eventi, colpiti dalle immagini impresse sulla pietra, si è attirati in uno spazio chiuso, un tunnel, le cui pareti vanno a mano a mano a stringersi mentre il soffitto si abbassa in un cammino angusto. L’intento dell’architetto è quello di simboleggiare il senso di diminuzione di sé provato dalle vittime nel loro cammino verso e attraverso i campi di concentramento, Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen e altri, dei quali si leggono i nomi sulle pareti. Con questo percorso si è voluto far vivere in modo metaforico quella che è stata per questi uomini la perdita delle proprie cose, degli affetti, della libertà, del proprio mondo e per finire della vita stessa.
Da questo tetro percorso, nel quale si è sempre accompagnati da un triste canto di bambini, si sbuca in una piazza circolare e si ritrova quella mano di bronzo che si notava dal laghetto all’esterno. Da così vicino si può ammirare il fregio di circa 100 persone ammassate e contorte che definisce l’avambraccio, gruppi disperati che si avvinghiano, e poco più sopra inciso il numero che fu d’inchiostro blu sulla pelle vera.
Si è avvolti da una sensazione di assoluto rapimento, quasi ipnotizzati a guardare quegli arti che si contraggono, quegli occhi svuotati, la sofferenza espressa nel verde bronzeo della scultura. Tutto attorno, come a creare una quinta ancora più significativa, un altro muro granitico con incisi i nomi delle vittime, presentati da chi non li vuole dimenticare, legati a chi ancora vive.
Il monumento è ad accesso libero e sempre aperto, notte e giorno, e merita una visita a qualunque ora, anche di ritorno dal ristorante più cool della città prima di buttarsi nel club del momento o prima di fare un salto in spiaggia, magari abbinandola a quella del Jewish Musem of Florida, in Washington avenue poco lontano.
Testo e foto di Alessia Montanari