Mercoledì 8 luglio 2015. Dopo la consueta, gustosa colazione (prugne e pesche del frutteto di casa, un croissant caldo, marmellata sia di pesche che di ciliegie – pure casalinga: la signora Dominique la prepara nel “laboratorio” sotto il portico – spalmata su una croccante baguette, latte con cacao…) presa al tavolo di legno grigio nel cortile del Castello, mentre la bionda cagna Iris chiede e ottiene la sua razione quotidiana di coccole, mi metto in macchina e parto.
Il vento, apparso nel primo mattino, rende più tollerabile la temperatura, ma il sole mantiene tutta la sua forza ardente. Raggiungo Alleins e da lì prendo verso ovest, passando Lamanon, Eyguières, Mouriès, Massane-les-Alpilles, dove lavori di lenta scarifica dell’asfalto, che si avvolgono a spirale attorno una rotonda, arrestano per parecchio tempo una duplice colonna di veicoli. Oltrepasso l’incrocio per i vicini Baux e, proseguendo attraverso gli ammassi di roccia grigiastra delle Alpilles, mi ritrovo a transitare fra l’arco e il mausoleo delle Antiques e le rovine di Glanum. In pochi minuti arrivo a Saint-Rémy da sud; appena superata la cappella di Nostra Signora della Pietà, parcheggio faticosamente (oggi è giorno di mercato) in Piazza Jean Jaurès – al sole, perché l’ombra nei parcheggi è un bene rarissimo. Mi avvio a piedi verso il centro, passando attraverso la Porta di San Paolo.
Arrivo nella Piazza del Municipio, piena, come le vie che la circondano, di bancarelle dei più svariati generi e colori e di una fitta folla che le esplora. Mi aggiro anch’io nel poco spazio che rimane, acquisto due CD di Leo Ferré (La violence et l’ennui, Les années toscanes), chiedendo invano qualcosa del canadese Georges Dor (“Ho venduto un suo vinile qualche tempo fa” mi dice il commerciante).
Vado ad est, verso il viale di circonvallazione a senso unico, diversamente denominato a seconda dei tratti (Boulevard Victor Hugo, Boulevard Mirabeau, Boulevard Gambetta, Boulevard Marceau). Ritrovo, nel punto in cui Mirabeau diventa Gambetta, il laboratorio-museo sulla produzione del sapone in cui ero stato anni or sono, e acquisto un paio di saponette molto aromatiche (lavanda e verbena).
Mi reinfilo nello zoccolo centrale alla (breve) ricerca di Piazza Favier e del Museo delle Alpilles. Ogni angolo, ogni saletta dei tre piani del sobrio edificio trova ottimale impiego per esporre strumenti del lavoro e della vita tradizionali, manufatti dell’artigianato, fossili, materiale sulla corrida camarghese, miniature, incisioni, ex voto. Al pian terreno, la notevole esposizione multimediale “Paesaggi sensibili – fotografie di un territorio abitato”, di Sylvain Duffard e Alice Freytet, la cui apertura è stata prolungata fino al 31 dicembre. Nel prezzo del biglietto d’ingresso al museo è compresa la visita, un centinaio di metri più in là, nel massiccio e appositamente riaperto Palazzo De Sade (apparteneva a Balthazar, nonno del “divino marchese”), alla mostra archeologica Dall’antichità al rinascimento – Collezioni del sito di Glanum.
Mi colpiscono, soprattutto, i resti del complesso termale e le monete con incisa la testa degli imperatori, in particolare Adriano, trasformato in personaggio complesso e attuale dalla superba scrittura della Yourcenar. Passeggio ancora un po’ tra i vicoli e mi siedo a mangiare una pesca, appena oltre la casa natale di Nostradamus, sugli scalini dell’antica porta dell’Ospedale Saint Jacques, in Rue Hoche.
Torno sul Boulevard Mirabeau. Quasi all’angolo con la provinciale per Cavaillon, nel grande negozio Saint Rémy Presse, sfoglio il tomo della Pléiade con le opere di Virgilio, ma poi finisco per venire attratto dal volume di Jacques Lacarrière Méditerranée, una raccolta di testi sulla Grecia pubblicata dall’editore Robert Laffont.
A piedi raggiungo quindi l’area di Glanum lungo il percorso vangoghiano, scattando qualche foto agli scorci inclusi nei dipinti le cui riproduzioni sono scaglionate lungo il marciapiede. Ipotizzo che il nome dell’antica città possa derivare dalla stessa radice celtica che ha generato, in francese, il verbo glaner, “spigolare”. Entro nel sito e, prima della visita, mi fermo a mangiare un piatto leggero ad un tavolino sulla terrazza della caffetteria interna, dove una volta era in funzione il ristorante “Taberna Romana”. Le cicale continuano a strepitare con forza, come nel celebre verso del libro III delle Georgiche virgiliane, ripreso e commentato da Carducci, che già mi era venuto in mente durante la mia precedente visita, 17 anni fa:
“Et cantu querulae rumpunt arbusta cicadae”
“e le stridule cicale romperanno gli arbusti col loro canto”. Ma sfogliando il libro di Lacarrière che ho appena comprato, nelle pagine di Passeggiate nella Grecia antica dedicate all’Acropoli, trovo un riferimento più complesso e forse più congruo:
“È, nel cuore stesso di Atene, il primo di quei paesaggi antichi, quasi campestri, che ritroveremo in tutti i siti greci: marmi e pietre fra le erbacce e i pini. Le cicale vi cantano forte come altrove, e vi si incontra ancora, piuttosto spesso, qualche vecchio ateniese venuto a prendere il fresco, all’alba, fra le rovine. I marmi e le colonne sono, in Grecia, quel che le statue sono nei nostri giardini pubblici: dei compagni familiari che l’occhio finisce per non notare più”.
Comincio a visitare le vestigia. Il sole picchia, e il suo riverbero su tutte le superfici quasi abbaglia, ma l’aria è assolutamente asciutta, tersa come cristallo. Seguo lentamente la via principale che ricopre ancora la cloaca dalla sezione squadrata, in lastroni di pietra. Osservo la struttura urbana da entrambi i lati, leggendo le targhette con le didascalie.
Le rovine appaiono costituite dallo stesso sasso grigiastro delle rocce circostanti. I muri degli edifici sono stati “restituiti” fino all’altezza di diversi decimetri dal suolo, tranne che per le prominenze rappresentate dalle pareti della Curia, dalle colonne residue di uno dei templi gemelli, dalla Fontana trionfale e, più in là, dalla Fonte sacra (i tre tronchi di colonna con inciso, alla base, il nome di Menenio Agrippa: la vertigine di poter toccare il passato studiato a scuola!), dalla scala dei Salluvi, dal Foro, sotto il quale gli scavi hanno reso accessibile la struttura ellenistica del pozzo a dromos (corridoio)…
Salendo ai due belvedere si riesce a cogliere, nell’insieme, l’intero disegno dell’abitato, come in una planimetria tridimensionale. Uscendo, acquisto al negozio-biglietteria una medaglia commemorativa del sito coniata, in lega metallica gialla, dalla Banque de Paris: regalo per mia figlia, che colleziona monete.
(prima parte – segue)
Marco Grassano
Didascalie:
– La cappella di Nostra Signora della Pietà
– Il Museo delle Alpilles
– Paesaggio vangoghiano
– Glanum dal belvedere
– Un giorno a Saint-Rémy-de-Provence tra Virgilio e Van Gogh – 2