I Microgrammi Adelphi, piccolissimi volumi nati come collana digitale nel 2020, passano ora anche su carta. Tascabili veri si può dire, da portarsi in giro ovunque per crearsi piccoli squarci di alterità fra gli oneri del quotidiano. Fra le prime uscite ne abbiamo scelti due (osando trascurare Gadda e Borges e Naipaul, ben rappresentati del resto dalle edizioni adelphiane in collane varie).
L’Uomo Elefante
Il primo librino racconta la vera storia di un uomo ahilui singolare, Joseph Carey Merrick, noto al tempo come John (e anche l’autore lo chiama così) ma soprattutto (e ancora oggi agli amanti del cinema) come L’Uomo Elefante.

David Lynch del resto ne venne a conoscenza proprio imbattendosi in queste brevi memorie, a cura del medico Frederick Treves che si incuriosì quando lesse sulla facciata di un negozio londinese che lì dentro si sarebbe potuto vedere quella strana creatura, tenuta come uno schiavo da un tipo d’impresario all’epoca non così raro – il povero Merrick infatti veniva mostrato al pubblico nei “freak show”, come molti altri poveri cristi colpiti alla nascita da terribili deformità perciò condannati a esistenze penose e tragiche.
Se ne faceva spettacolo per truci divertimenti anche perché – era il caso di Merrick – era il solo modo per sopravvivere. John era stato cacciato di casa dalla matrigna e dal padre – costretto a scegliere fra lei e lui – e nessun lavoro tranne quella schiavitù da baraccone gli era consentito, per strada non poteva vivere senza essere quotidianamente deriso e pestato. In chiunque suscitava avversione e disgusto. Non riusciva a parlare.
Era un giorno di novembre nel 1884, quando Treves conobbe l'”omino (…) dalla testa enorme e deforme, dalla cui fronte sporgeva una grande massa ossea simile a una pagnotta, mentre dalla nuca pendeva una sacca di epidermide spugnosa a forma di fungo” etc. La descrizione fu poi trascritta nel bianco e nero di Lynch – Treves non ci dice che la sola cosa normale di quel corpo straziato (“la cui epidermide emanava un fetore insopportabile”) erano un braccio e i genitali.
Treves decise di prendersene cura e Merrick conobbe la sola fortuna della propria tragica vita potendo vivere il resto dei suoi giorni in due stanze s’ospedale allestite per lui.
Va detto che anche per chi conosce la storia attraverso il film questa lettura ha un senso in virtù di un’assoluta asciuttezza del dettato; l’affetto del medico per Joseph non indulge mai al patetico o al melenso ma quando arriva lascia il segno.
Succede per esempio quando Treves confessa che all’inizio credeva – e soprattutto sperava – che Merrick “fosse un imbecille”, ossia che non si rendesse conto della sua situazione. Fu assai doloroso scoprire che non solo non era così, che “era intelligentissimo e straordinariamente sensibile”, anche se “molto incline alle fantasie, specie di carattere sentimentale”. Il resto lo scoprirà il lettore.
Perché non eravamo pronti
Quanto a Quammen, del quale si attende il libro sul Covid-19 – chi, se non lui – qui si ripercorrono alcuni incontri decisivi con scienziati che hanno lavorato e lavorano intorno alla questione (epocale si può dire senza apparire enfatici o posticci?) delle pandemie, in specie Ali Khan del NCZVED (avamposto scientifico degli studi sui virus e la zoonosi nei pressi di Atlanta) e ora di stanza in una università del Nebraska, che alla domanda impressa nel titolo, “Perché non eravamo pronti” (vale a dire, perché abbiamo sottovalutato, “perché la maggior parte dei paesi – USA in testa – era così impreparata?”) risponde secco “per mancanza di immaginazione”.

Così il Covid-19 ha potuto dilagare, fra sottovalutazioni, omissioni di interventi necessari e persino sberleffi e alzate di spalle. Ci sarebbe stato il monito della SARS ma non gli si è dato ascolto, in generale “nelle alte sfere di governo non c’è la capacità di comprendere la gravità e l’immediatezza della minaccia pandemica”.
La politica pensa all’immediato, e lo sappiamo – meno riflettiamo sul fatto che ragionare sulle pandemie e intervenire su ciò che chiamiamo distrattamente “ambiente” è proprio ciò che chi il mondo lo ha in mano non intende fare, ché vorrebbe dire ripensare i dogmi che lo governano (economici – fine). Questo Quammen bene lo aveva spiegato in quel libro a suo modo fortemente politico (ma chi se n’è accorto?) che resta “Spillover”.
Ali Khan ripercorre nelle sue fasi essenziali la vicenda della SARS, soffermandosi sull’efficienza straordinaria con cui fu affrontata a Singapore, e sulla pessima gestione invece della MERS (nata o passata dai dromedari dei deserti arabi) in Corea del Sud, dove all’inizio furono proprio i nosocomi a favorirne la diffusione incontrollata (lo stesso paese è però uno di quelli che meglio ha imparato la lezione e si è visto nel modo durissimo in cui ha affrontato il Covd-19).
L’unica strada percorribile per affrontare le pandemie, concordano Quammen e Khan è quella di investire nella prevenzione, spendere per la ricerca, monitorare le zoonosi, pianificare interventi fra Stati, educare la cittadinanza ad affrontare queste tragedie attraverso un esercizio di autodisciplina etc.
Rispetto al testo originario in digitale qui l’editore ha aggiunto una breve descrizione di Quammen del pangolino, bestiola timida e fra le più indifese al mondo, che però quasi se la gioca con i pipistrelli per capacità di trasmettere virus per noi umani micidiali.
In alcune zone dell’Africa se li mangiano, in Cina e in altre terre del sud-est asiatico li commerciano per le pelli o le squame, ritenute utili per varie affezioni. E negli USA ci si fabbricano cinture, guanti e lussuosi stivali da cowboys.
Ora, molte ricerche – benché controverse – tendono a concludere che il Covid-19 dai pipistrelli prima di arrivare a noi abbia trovato proprio nei pangolini l’intermediario giusto. Fate voi.
Michele Lupo
- Frederick Treves
L’Uomo Elefante
Traduzione di Matteo Codignola
Adelphi Microgrammi
2021, pp. 57
5 € - David Quammen
Perché non eravamo pronti
Traduzione di Milena Zemira Ciccimarra
Adelphi Microgrammi
2021, pp. 100
5 €