Ho trascorso gli ultimi giorni del 2007 nella capitale spagnola. Mancavo da oltre quindici anni e ho notato notevoli cambiamenti, a cominciare dal traffico. Nella zona del mio hotel, dalle parti del Museo del Prado, ci sono vialoni larghissimi a scorrimento veloce che da una parte riducono il rischio di code, dall’altra amplificano al massimo il rumore del traffico che finisce per fare da assordante sottofondo di ogni spostamento. Bisogna inoltrarsi nelle zone più interne e tranquille del Parque del Retiro per lasciarsi alle spalle il caos, se non le polveri sottili che inquinano la città.

Nella prima visita non ricordo di aver preso la metropolitana, mentre quest’anno mi sono servito di questo mezzo di trasporto soprattutto nei primi due giorni. Sono rimasto impressionato dalla sporcizia che regnava in tutte le stazioni; leggendo i giornali ho scoperto che era in atto la huelga della bassura, ovvero lo sciopero della spazzatura: gli addetti delle pulizie erano in sciopero contro le rispettive aziende. I gradini erano ricoperti da un folto strato di cartaccia, mentre la presenza dei cestini si intuiva nei pressi di montagnole di rifiuti.
Per il resto la città era in festa. C’era fermento, numerosi madrileni sciamavano per le vie del centro con vistose parrucche colorate e tutti i locali erano gremiti a qualsiasi ora del giorno (e immagino della notte).

In alcune strade e piazze era quasi impossibile muoversi, tanta era la calca. Per esempio nella centralissima piazza di Puerta del Sol, dove stavano montando la struttura per i festeggiamenti di Capodanno. Anche in Plaza Mayor l’assembramento umano era notevole, con madrileni e turisti attirati dalle bancarelle delle feste. L’unica cosa ferma era la statua di Filippo III (iniziata dal Giambologna e terminata dal Tacca); si poteva sfuggire alla calca soltanto alzando gli occhi e ammirando la scenografia del luogo. Per mangiare c’era solo l’imbarazzo della scelta. Noi abbiamo seguito un richiamo originale: un ironico cartello che recitava “Hemingway non ha mai mangiato qui!”. Lo scrittore americano si è perso degli ottimi piatti messicani.
Saul Stucchi