Al momento della partenza per l’Iran, nell’agosto 2018, ero preoccupata per molte cose: il governo repressivo, le regole speciali per le donne (non solo il velo, o hijab, ma gambe e braccia sempre coperte), la censura dell’informazione e l’oscuramento di molti media occidentali. Non sapevo cosa mettere in valigia, se avrei potuto fumare, telefonare a casa…
Mi sono ispirata alla Persia (la lingua, i miti antichi, la religione zoroastriana) per uno dei miei romanzi. Come spesso mi accade, l’esito delle ricerche mi ha così affascinata che ho voluto vedere quei luoghi dal vivo. Ho scelto un viaggio organizzato, che in due settimane mi avrebbe permesso di vedere buona parte del Paese.
Il grosso del gruppo è partito da Milano, ma io ho preferito Venezia, insieme a una coppia di Verona, Fabio e Daria. Dopo un lungo scalo a Istanbul e un discreto ritardo, atterriamo a Teheran alle 3 di notte.
Il primo impatto con Teheran
Prima di scendere tutte le donne mettono il velo. Io copro anche la canotta con una camicia a maniche lunghe, e ho subito caldo. L’aeroporto è pressoché deserto. Ci fanno problemi col visto, né noi né l’addetto parliamo bene inglese. In pratica non ha capito che avevamo già tutto a posto e ci fa pagare un extra di 20 euro.
Dopo mezz’ora di discussioni, pur di andarcene a dormire, paghiamo. Mentre aspettiamo in fila per uscire, un altro addetto arriva di corsa e ci fa tornare in ufficio per restituirci i soldi. Insomma, abbiamo perso un’ora, ma mi ha favorevolmente colpita che appena accortisi dell’errore siano stati onesti. L’addetto al controllo in uscita è un ragazzo simpatico, che quando ce ne andiamo ci dice “ciao” in italiano. Io me ne rendo conto solo quando siamo già usciti (dopo quasi 20 ore di viaggio non sai più in che lingua stai parlando).
L’impressione positiva si rafforza con l’autista che è venuto a prenderci (poveretto, aspetta da quasi tre ore). Mentre sfreccia sull’autostrada parliamo un po’ in inglese. Ha una guida molto sportiva: sorpassiamo tutti e se non ci fanno strada suona. Arrivati in città ci troviamo davanti un’auto della polizia, suoniamo anche a loro e, incredibilmente, ci lasciano strada!
Arriviamo all’hotel Ferdowsi in meno di mezz’ora (sono 40 km dall’aeroporto). L’autista mi dà la mano e io la stringo in automatico. Solo dopo Fabio mi fa notare che non si usa dare la mano alle donne. In realtà l’avevo letto anch’io, ma si vede che non tutti sono così rigidi, specie coi turisti.
Alla reception sono un po’ scocciati per il ritardo, neanche l’aereo lo guidassimo noi. Qui le stanze singole non vanno di moda, quindi per tutto il viaggio avrò solo doppie uso singola. Per fortuna si può fumare (a Istanbul non ho trovato la saletta fumatori, l’aeroporto era immenso). L’aria condizionata è accesa, non so come spegnerla quindi dormo col piumone. La sveglia è prevista alle 8, fra meno di tre ore.
I compagni di viaggio
La mattina dopo, per prima cosa collego il wi-fi e mando un messaggio whatsapp a casa per dire che sono arrivata (fare un abbonamento telefonico apposito era costoso e ho rinunciato). Aggiorno anche il meteo, che per la prima volta da che lo uso dice “sole splendente”. Mi piace quel splendente, come se l’app si fosse adeguata al mio umore vacanziero. La temperatura mi piace già meno, dà una massima di 38°.
Scendo a fare colazione e a conoscere il resto del gruppo (siamo in 16), che mi piace subito. In media sono tutte persone di una certa età, tutti viaggiatori abituali e tutti molto simpatici. La colazione è quella internazionale che si trova negli hotel in tutto il mondo. Ci sono cappuccino, pane fresco, marmellata, frutta, oltre a un sacco di altre cose che mangiano i locali, soprattutto verdura e carne.
Nella hall dell’hotel conosco finalmente la nostra guida, Alireza, detto Alì. Parla italiano benissimo (ha studiato in Italia), con solo un accento farsi di sottofondo molto suggestivo. La lingua farsi è diversa dall’arabo, condivide con esso l’alfabeto e alcuni termini (dovuti all’invasione araba). È una lingua indoeuropea, imparentata con il sanscrito, il suono — morbido, rotondo e musicale — ricorda molto il francese. Quindi, per carità, non definite loro o la loro lingua arabi (è la prima cosa che la guida ha messo in chiaro).
Il Palazzo Golestan
Partiamo a piedi, perché la prima meta è a due passi: palazzo Golestan. Lungo la strada avvicino Alì per togliermi il dubbio che mi preoccupa di più, quello sul fumare. Sì, si può fumare per strada, anche le donne, mi pare anzi di aver fatto una domanda cretina, dalla sua espressione; tra l’altro fuma anche lui, ma si guarda bene dal dirlo ora. Detto ciò, non ho visto nessuna donna iraniana fumare per strada, quindi il dubbio che siano solo più permissivi con le turiste mi è rimasto.
Palazzo Golestan risale al ‘500 ed era la residenza della dinastia reale Qajar. Si tratta del più antico monumento della città, in uso per le cerimonie ufficiali fino all’epoca Pahlavi, qualche decennio fa. È stato ristrutturato più volte, e ha assorbito anche influenze europee nello stile. È molto bello, soprattutto i giardini, che qui vanno di moda: lunghissime fontane d’acqua blu (quando è pulita), simili a basse piscine, e aiuole fiorite a contornarle. Vista la stagione torrida i fiori purtroppo sono un po’ patiti.
La facciata del palazzo è decorata di maioliche colorate, sui toni del giallo e dell’azzurro. Le logge e i soffitti all’interno sono rivestiti d’oro o di frammenti di specchi, che sono spettacolari ma dopo un po’ fanno male agli occhi. Nell’arredo soprattutto si notano le influenze europee, perché è simile a quello di alcuni palazzi visti qui. Fuori, sul tetto, ci sono due Torri del vento (o Badgir), di cui parlerò meglio quando arriveremo a Yazd.
Dopo il palazzo facciamo un rapido giro del bazar. Purtroppo oggi è quasi tutto chiuso (qui chiudono il venerdì, ma hanno un’infinità di feste dedicate a imam o martiri locali), e quindi non ci fermiamo.
Il Museo Archeologico
Le strade sono molto trafficate, e in giro c’è un sacco di polizia, e non posso fare a meno di controllare di continuo se il mio velo è a posto. Ho la paranoia che ci fissino, anche se in realtà nessuno fa caso a noi. Solo una volta colgo lo sguardo di una donna di mezza età, una di quelle velate di nero dalla testa ai piedi, che ci scruta uno per uno con disapprovazione. Mi immagino che sarà frequente, invece credo sia stata l’unica volta che ho colto questo tipo di sguardi.
La tappa successiva è il Museo archeologico. Mi aspettavo qualcosa di enorme, invece è un unico piano, due grandi sale disposte a L. Non c’è moltissimo, ma vale comunque la pena perché ci sono alcuni resti che vengono da Persepoli e da altri siti antichi di millenni: bassorilievi, statue di animali, tavolette in cuneiforme, vasi, collane d’oro.
Pranziamo al ristorante del museo, dove prendo solo la verdura e il riso (pensando che sia come il nostro risotto allo zafferano, invece c’è solo una manciata di chicchi gialli sopra, il resto è riso bollito); qualcuno mi dà un pezzo del suo kebab di pollo, ed è buonissimo, tanto che mi pento di non averlo preso.
L’alcol qui è vietato, ma ci portano delle bottigliette verdi e panciute di acqua di rose e menta (qualcuno dice scherzando che sembrano collutorio), la menta è tanto dolce da essere imbevibile se non diluita. Il costo totale è irrisorio: 200000 rial, circa 2 euro, al cambio attuale. Il cambio è raddoppiato il giorno prima del nostro arrivo, quindi ci troveremo a spendere pochissimo (solo il pranzo, tutto il resto è compreso nella quota).
Una cosa importante (che potrebbe però cambiare nei prossimi anni) è che i bancomat europei non funzionano, quindi ci siamo dovuti portare i contanti da casa. Alla fine però fra pranzi e acquisti in due settimane ho speso sì e no 100 euro. I negozianti di articoli più costosi, come i tappeti o i gioielli, accettano quasi tutti carte di credito. Finito il pranzo, saliamo sul pullman per andare al Museo dei gioielli.
Laura Baldo
Prima puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Palazzo Golestan: i giardini
- Palazzo Golestan: loggia decorata
- Palazzo Golestan: parte della facciata
- Le Torri del vento
- Museo Archeologico: collana d’oro lavorata a sbalzo