Recensione di “Tempi moderni” di Charlie Chaplin (1936).
Un altro mostro sacro. Un altro degli autori (e interpreti) che hanno fatto la storia del cinema. Diciamo subito che Chaplin non è uno degli artisti che conosco di più. Sia perché i suoi lavori sono anteriori alle mie frequentazioni cinematografiche, sia perché quando passava per televisione, non mi appassionava granché.
Aggiungo che, invece, era uno dei preferiti di mio padre che amava vederne e rivederne i film. Mi viene da pensare che sia successo come con il genere western, altra predilezione di mio padre: vuoi vedere che il rapporto con i miei genitori potrebbe essere una spiegazione per la mia trascuratezza?

Per documentarmi meglio su sir Charles, oltre al film che ho scelto, ho anche visto altre sue pellicole e un film di Richard Attenborough (Charlot) del 1992. E parto proprio da questo lungometraggio per dire qualcosa sulla straordinaria vita dell’attore-regista inglese. Charlot è tratto da due libri di Chaplin (La mia autobiografia e Autobiografia) e da Chaplin, la vita e l’arte del critico David Robinson.
Ho scritto non a caso straordinaria, dal momento che Chaplin è passato da un’infanzia molto povera a essere l’attore più pagato dei suoi tempi; ha vissuto sulla sua pelle momenti di gloria e momenti di profonda tristezza. Il tutto accompagnato dalla maschera (il vagabondo con bastone e bombetta) che lo ha reso unico.
“La vera felicità è qualcosa di molto vicino alla tristezza” (Chaplin)
Charles Spencer Chaplin nasce a Londra nel 1889 e muore in Svizzera nel 1977. La famiglia d’origine è ben presto ridotta alla sola madre che non riesce, per le precarie condizioni economiche ad accudire Charlie e il fratellastro Sydney (di quattro anni più anziano): entrambi trascorrono due anni fra collegi e istituti per orfani.
C’è, nel piccolo Chaplin, un talento innato e una predisposizione (derivata dai genitori, entrambi attori) verso il teatro, che lo portano giovanissimo (sette anni) a calcare le scene. Contemporaneamente, la madre, Hanna, entra una prima volta in ospedale in seguito a una grave forma depressiva.
Durante una tournée americana con la compagnia di Fred Karno, viene notato dal produttore cinematografico Mark Sennett che gli fa firmare un primo contratto con la Keystone. Accantonate ben presto le brevi comiche iniziali, inventa il personaggio di Charlot.
Mentre puntavo al guardaroba, pensai di mettermi un paio di calzoni sformati, due scarpe troppo grandi, senza dimenticare il bastone e la bombetta. Volevo che fosse tutto in contrasto: i pantaloni larghi e cascanti, la giacca attillata, il cappello troppo piccolo e le scarpe troppo grandi. Ero incerto se truccarmi da vecchio o da giovane, poi ricordai che Sennett mi aveva creduto un uomo assai più maturo e così aggiunsi i baffetti che, argomentai, mi avrebbero invecchiato senza nascondere la mia espressione. Non avevo la minima idea del personaggio. Ma come fui vestito, il costume e la truccatura mi fecero capire che tipo era. Cominciai a conoscerlo, e quando m’incamminai verso l’enorme pedana di legno era già venuto al mondo.”
L’ascesa di Chaplin è travolgente: nello spazio di cinque anni, dapprima si mette in proprio, quindi fonda insieme con alcuni colleghi, la “United Artists Corporation”. Al suo fianco c’è sempre il fratello Sydney, diventato suo procuratore. Cura da solo ogni fase della sua produzione cinematografica, circondato da un gruppo di fedelissimi collaboratori.
Inanella una serie di grandi successi, di critica e al botteghino: tra gli altri, Il monello (1921), La febbre dell’oro (1925), Luci della città (1931), Tempi moderni (1936) e Il grande dittatore (1940), primo suo film completamente sonoro.
Al successo nel campo del cinema, fa però da contraltare, un grosso problema in campo politico. Detto che – nonostante viva negli USA da quasi trent’anni, Chaplin non ha mai chiesto la cittadinanza americana – nel 1952 incappa nel cosiddetto “maccartismo”, cioè la caccia a tutti i presunti simpatizzanti per il comunismo o almeno per le idee progressiste. Mentre viaggia con la famiglia verso Londra, gli viene negato il permesso di rientro negli States. Si stabilisce quindi in Svizzera, sul lago di Ginevra, e lì rimane fino alla morte.
Viene riabilitato solo negli anni Settanta e ottiene due Oscar onorari (non per qualcuno dei suoi film) e un Oscar retroattivo nel 1973 per le musiche di Luci della ribalta del 1931.
Questo riconoscimento mi porta a spendere due parole su un aspetto forse poco conosciuto del nostro: è anche compositore musicale e Tempi moderni è stato restaurato con la colonna sonora originale appunto di Chaplin.
L’attore muore nella notte di Natale del 1977, a 88 anni e viene sepolto in Svizzera a Corsier-sur-Vevey.
Nel 2016 viene finalmente portato a termine il Chaplin’World, museo dedicato all’artista. Viene omaggiato da tantissime personalità del cinema e non. Riporto solo quanto scrive Federico Fellini: «È scomparso nella stessa atmosfera natalizia in cui lo vidi per la prima volta. A Rimini i suoi film erano i più importanti e venivano programmati immancabilmente nel periodo natalizio. Da bambino lo vedevamo come un omino cui dovere gratitudine e lo si accettava come un fatto naturale, come la neve d’inverno, il mare d’estate, Gesù Bambino. È una specie di “Adamo”, il progenitore da cui tutti si discende».
Tempi moderni
Mi sono dilungato anche troppo sulla vita, ma credo fosse doveroso.
Tempi moderni, dunque. Dico subito che dopo tantissimi film tra corti e lungometraggi, questo è l’ultimo con protagonista Charlot. E apro una parentesi anche sulla natura di questa maschera contemporanea. Il personaggio rappresenta la piccola rivolta dell’uomo qualunque contro una società che sta diventando sempre più disumana. Sono in particolar modo le classi sociali più in basso a pagare il prezzo dell’avvento della società capitalistica e l’omino di Chaplin cerca nel suo piccolo uno spazio di sopravvivenza, per non farsi travolgere nel mare dell’alienazione.
Tempi moderni esce nel 1936, quando il cinema sonoro è già affermato. Eppure Chaplin rifiuta il dialogo. Aveva registrato negli anni moltissimi test, senza mai esserne soddisfatto. Le uniche voci umane nel film sono trasmesse dalla tecnologia in un processo di filtro, come il capo che parla ai lavoratori o il distributore automatico. Una sola eccezione: Charlot che canta in grammelot al ristorante e per la prima volta il pubblico può ascoltare la sua voce.
“Era il tramonto del cinema muto. Fu un peccato, perché cominciava a perfezionarsi proprio allora.” (Chaplin)
Il film, ovviamente, si schiera contro la civiltà dei consumi e contro il grigiore di una vita disumanizzata: a esse oppone la speranza e il sogno di un diverso futuro (vedi la scena finale). Come in molti altri lavori del maestro inglese, abbiamo un mix perfetto di generi cinematografici, una giusta miscela di comico e drammatico.
Chaplin si congeda da Charlot dicendo: “Non potrebbe parlare, non saprei che voce usare. Come riuscirebbe a mettere insieme una frase? Per questo motivo Charlot ha dovuto darsela a gambe…”.
Note e osservazioni
Parlavo della straordinaria vita di Chaplin, ma non avevo ancora preso in considerazione le sue storie sentimentali. Sintetizzando dirò che, per molto tempo non è stato molto fortunato (sembra avesse un debole per le donne molto più giovani di lui); tuttavia, quando conobbe Oona O’Neill, figlia del famoso drammaturgo Eugene, nonostante la grande differenza d’età (circa 36 anni), la sposò nel 1943 e quest’ultima gli restò accanto fino alla fine, rendendolo padre di otto figli.
Quello che noi conosciamo come Charlot, in origine non aveva nome e in inglese veniva designato come “the tramp” (vagabondo, straccione). Viene poi ribattezzato Charlot nel 1915 da un distributore francese.
“Siamo tutti vagabondi, ma alcuni di noi guardano le stelle” (Chaplin)
Una vera curiosità è che, per Tempi moderni, Chaplin, all’inizio delle riprese, avesse scritto e diretto un finale diverso. La scena che venne girata ma non montata, prevedeva che Monella diventasse suora.
La pellicola, una volta arrivata in Europa, trovò ostacoli nella censura in Germania e in Italia. Nel nostro paese l’ufficio rilasciò il nullaosta solo un anno più tardi: sembra che fosse segnalato come “incline al bolscevismo” e, dopo l’uscita nelle sale, venne criticato dalla stampa fascista (il “Popolo d’Italia” scrisse che il genio chapliniano presentava indubbi segni di agonia).
Chiudo in bellezza, con le varie onorificenze attribuite a Chaplin. Nel 1975 la regina Elisabetta II lo nomina “Cavaliere di Sua Maestà”; nel 1952 era stato nominato “Grande Ufficiale Ordine al Merito della repubblica italiana” e nel 1971 “Commendatore dell’Ordine della Legion d’Onore” in Francia.
Chaplin ha ricevuto anche una Laurea “Honoris Causa” dall’università di Oxford nel 1962.
L S D
Immagine presa da Wikipedia
Tempi moderni
- Regia, soggetto e sceneggiatura: Charlie Chaplin
- Interpreti: Charlie Chaplin, Paulette Goddard, Henry Bergman, Tiny Sandford, Chester Conklin, Hank Mann, Stanley Blystone, Al Ernest Garcia