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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Recensione di “Taxi Driver” di Martin Scorsese

17 Maggio 2021 Scritto da LSD

Recensione di “Taxi Driver” di Martin Scorsese

“La mia intera vita, ora, si basa sulla certezza che la solitudine, lungi dall’essere un fenomeno raro e curioso, è il fatto centrale ed inevitabile dell’esistenza umana”. (Thomas Wolfe)

Vedere “Taxi Driver” di Martin Scorsese (1976) è come tuffarsi in noi stessi e capire che ci siamo riempiti l’esistenza di ogni possibile sciocchezza pur di non affrontare la “prova dello specchio”, pur di non guardarci dentro.

Se lasciamo da parte l’evoluzione del protagonista e lo svolgimento della storia, ci rendiamo conto che la pellicola affronta solo questo sentimento: “la solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo” (Travis).

Robert De Niro in "Taxi Driver" di Martin Scorsese

Racconta Paul Schrader (autore del soggetto e della sceneggiatura) che stava attraversando un periodo molto difficile: erano settimane che non metteva il muso fuori di casa e che non parlava con nessuno. Così, prendendo ispirazione dall’Esistenzialismo europeo (Sartre e Camus, soprattutto), pensò alla metafora del tassista come la più giusta per raccontare della solitudine.

A proposito di solitudine

Sul tema della solitudine avrei anch’io qualcosa da dire.

“…qualche volta è una scelta, qualche volta un po’ meno…” (Giorgio Gaber)

Già: voluta o subita? Mettiamola così. Tutte le volte in cui non l’ho scelta, ho imparato a conviverci. In molte occasioni, credevo di non riuscirci. Poi mi dicevo che dedicare il tempo soltanto alla propria persona era meno difficile dello stare insieme con qualcuno. Meno difficile, perché – secondo me – ci vuole davvero molta tolleranza e molta comprensione per tirare avanti insieme.

Mi tornano alla mente i tanti anni passati in famiglia. Anni in cui sognavo di poter stare da solo e non dover rendere sempre conto di ogni minima cosa; anni in cui non pensavo ad altro che a scappare via, ma mi mancava il coraggio. Oppure mi ricordo di quelle poche volte in cui ho passato periodi più o meno lunghi (convivenze) con donne: periodi in cui sentivo dentro me crescere troppe volte un sentimento d’insofferenza o quasi d’odio per l’altra persona, e, sempre, a causa di piccole incomprensioni, di puntigli.

Ah, la memoria. Se c’è qualcosa che rappresenta un punto fermo nella mia vita, è il ricordo. Non ho dimenticato la mia triste adolescenza, i miei problemi con la scuola (da alunno, ovviamente)… ma questa è un’altra storia che magari racconterò una prossima volta. Meglio tornare al film.

Umanità fragile

Travis, il protagonista, si dice in continuazione che sta cercando (e che alla fine “avrebbe” trovato), un qualcosa che dia un senso alla sua vita. “Vai a farti una scopata. Ubriacati: Fai quello che vuoi. Non hai altra scelta, tanto: cioè, siamo tutti fottuti. Più o meno.” (Mago a Travis).

Gran parte della pellicola si dispiega nel mondo notturno che il taxista ha davanti agli occhi. In città “vengono fuori gli animali più strani la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre” (ancora parole di Travis).

Il fascino di “Taxi Driver” è qui: nella grande capacità di Martin Scorsese di farci penetrare in questa atmosfera. Una umanità fragile e disperata, illuminata dalla fotografia di Michael Chapman ed accompagnata dalla musica di Bernard Hermann.

A proposito di Hermann (1911-1975), considerato uno dei più celebri compositori di musica da film (ha lavorato tra gli altri con Alfred Hitchcock, Orson Welles, François Truffaut), anticipo una curiosità. Quando Scorsese gli propose la colonna sonora di “Taxi Driver”, dopo una piccola riluttanza iniziale, accettò e terminò di comporla proprio la notte (il 24 dicembre) in cui morì.

All’uscita nelle sale il film fu un successo commerciale, culminato poi con la consacrazione da parte della critica a Cannes, ove conquistò la Palma d’oro, nel 1976.

Martin Scorsese

Per Martin Scorsese, avrei bisogno di molto più spazio. Sintetizzo. Nasce a New York nel 1942, da famiglia di origini italiane (figlio di una coppia di italoamericani, a loro volta figli di emigrati dalla Sicilia ai primi del Novecento). Detto tra parentesi: il 26 settembre 2018 ha ottenuto la cittadinanza italiana.

Cresciuto a Little Italy, riceve una educazione cattolica e per un anno entra in seminario, in vista di una futura carriera ecclesiastica.

A causa di un’asma che non gli permette di praticare nessuno sport, fin da piccolo passa gran parte del suo tempo con il padre al cinema. Decide quindi di iscriversi alla scuola di cinema della New York University.

Il suo cinema spazia attraverso diversi generi, anche se restano fondamentali le sue prime esperienze nel quartiere italiano (“Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno”, “Quei bravi ragazzi”, “The Irishman”) o il suo rapporto con la religione, la colpa ed il peccato (“L’ultima tentazione di Cristo” o il sorprendente “Silence”).

Il suo stile, via via sempre più raffinato, prende ispirazione dalla Nouvelle Vague francese e dal cinema neorealista italiano, e porta avanti un percorso originale in cui si passa da vicende contemporanee a fasi storiche più remote.

Nella sua carriera ha ricevuto molti riconoscimenti, tra cui l’Oscar per la migliore regia nel 2007 (“The Departed – Il bene e il male”), la Palma d’oro di “Taxi Driver” e il Leone d’oro alla carriera a Venezia, nel 1995.

Note e curiosità

La scena più famosa del film, quella in cui Travis parla a se stesso davanti allo specchio (“You talkin’ to me?” “Ma dici a me?…”), fu totalmente improvvisata da Robert De Niro.

Per restare su De Niro, è rimasta proverbiale la cura maniacale con la quale si dedicava allo studio dei personaggi da interpretare. Questo gli derivava dai corsi di recitazione all’HB Studio e soprattutto all’Actors Studio di Lee Strasberg. Nel film di cui sto parlando, basti ricordare che aveva preso appositamente la patente per taxi e si era fatto assumere da una compagnia di auto pubbliche, per esercitarsi nel ruolo.

Per la parte del cliente di Travis che intende uccidere la moglie fedifraga, era stato scritturato un attore che non si presentò sul set: il ruolo venne quindi ricoperto dallo stesso Martin Scorsese.

Curiosità infine su Jodie Foster. Quando (la madre) accetta di partecipare al film, l’attrice è minorenne (tredici anni come la giovanissima prostituta che interpreta), per cui nei momenti più “spinti”, le fece da controfigura sua sorella Connie.

Più sconvolgente è quanto accadde il 30 marzo 1981 a Washington. John Hincley sparò al presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e motivò il suo gesto con l’ossessione che aveva per Jodie Foster e per il suo ruolo in “Taxi Driver”.

Chiudo tornando sulla solitudine.

… È vero, nessuno è saggio
se non conosce l’oscurità,
che ininterrotta e silente
da tutto lo separa.
Strano, camminare nella nebbia!
Vivere è essere soli.
Nessun uomo conosce l’altro,
ognuno è solo.”

(Hermann Hesse)

L S D

Taxi Driver

Regia: Martin Scorsese
Soggetto: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Interpreti: Robert De Niro, Jodie Foster, Albert Brooks, Harvey Keitel, Leonard Harris, Peter Boyle, Cybill Shepherd

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