Quando una storia funziona, continua a produrre molto frutto anche dopo che cala il sipario o si chiude il libro. È il caso dei miti, delle storie archetipiche e delle grandi invenzioni. Un po’ tutte queste cose insieme è la vicenda di Riccardo III come l’ha riplasmata William Shakespeare, tanto che il suo dramma storico non cessa di gemmare ininterrottamente da oltre quattro secoli.
Una chiara dimostrazione della sua straordinaria vitalità è uno spettacolo altrettanto straordinario che va in scena in questi giorni – in prima nazionale – al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano. Si tratta di Storia di un cinghiale. Qualcosa su Riccardo III, scritto e diretto da Gabriel Calderón e interpretato da Francesco Montanari che dopo un tour de force di settantacinque minuti si merita tutti i calorosissimi applausi a cui ho partecipato ieri pomeriggio.

Se ancora non l’avete visto, non perdete l’occasione di andarci (avete tempo fino al 6 aprile), magari abbinandolo a una delle iniziative collaterali, come l’incontro Variazioni Shakespeariane: da Riccardo al “cinghiale” che si terrà mercoledì 26 marzo alle 18.00 al Chiostro Nina Vinchi del Piccolo Teatro Grassi.
Non tragga in inganno il “qualcosa” del sottotitolo. Va preso come prova di understatement: in realtà in questa Storia di un cinghiale c’è il cuore pulsante del Riccardo III, il nucleo attivo da cui si sprigiona la sua energia. Montanari non sta fermo un attimo, nemmeno quando è seduto, sui gradini o sul trono d’Inghilterra. Si agita e si sbraccia; declama; invita, sollecita e provoca il pubblico (soprattutto alla lettura!); salta da un registro all’altro più velocemente di quanto a voi occorra per passare alla riga successiva di questa recensione.
Calderón ha realizzato uno spettacolo puramente shakespeariano, in cui alto e basso sono sapientemente mescolati, in cui si ride della grossa e un attimo dopo si è immobilizzati, stupiti dalle invenzioni sceniche e tutti presi dalla forza della parola del Bardo. Svettano su tutto i monologhi femminili della regina spodestata e della duchessa di York (la madre di Riccardo), ma non svelerò nulla delle trovate – le scene sono di Paolo Di Benedetto – se non che la macchina teatrale è uno dei motivi di stupore per lo spettatore (replicato con la versione in miniatura, vero teatro nel teatro).

Spettacolari i costumi di Gianluca Sbicca, ma anche in questo caso vi lascio il piacere della sorpresa. Fa tanto anche la precisa illuminazione che, per esempio, proietta sul fondo l’ombra del deforme manipolatore quando l’attore piega la spalla per imitarne la gobba.
Montanari parte in tromba e tiene il ritmo fino alla fine, senza mostrare il minimo segno di fatica in uno spettacolo molto corporeo (se lo può permettere, grazie al suo – invidiabile! – fisico). Proprio il ritmo, è uno dei fili che tessono la trama del monologo. Ci sono i temi della riscrittura, della traduzione – a cui è dedicato uno dei momenti più spassosi -, della rima, del lavoro in teatro…
Storia di un cinghiale è anzi prima di tutto uno spettacolo SUL teatro, tanto che Riccardo può essere interpretato come metafora del primattore, disposto a tutto per dominare, per prevalere su tutti e contro tutti, lui come l’aspirante monarca infido, losco e subdolo.
“Non siamo qui per cose facili”, stuzzica gli spettatori, invitandoli a “masticare” le perle e le lezioni di teatro impartite con sovrana generosità che a stento nasconde il regale disprezzo. Come Riccardo, il primattore non sa lavorare in squadra, tanto meno PER la squadra. E quando perde la pazienza e s’infuria, si trascina via – letteralmente – il teatro, come fanno i ragazzini con la palla che hanno portato, quando il gioco non va come vogliono loro.
Accennavo poco sopra al tema della riscrittura. Noti il lettore che la versione in scena a Milano è essa stessa una riscrittura della riscrittura, essendo un adattamento con diverse “personalizzazioni” sulla biografia dell’attore: non è la “traduzione” della versione originale uruguaiana né di quella, successiva, catalana.
Nel libretto di sala si leggono queste parole dell’autore e regista:
Lo spettacolo racconta la storia di un attore che non ha mai avuto la possibilità di essere Riccardo III e finalmente l’ha ottenuta. Me lo sono immaginato come uno che sta ai lati del palcoscenico, ignorato, uno che guarda gli altri interpretare grandi ruoli e deve sforzarsi di mantenere alto il livello delle particine che gli toccano; vede il pubblico andare a complimentarsi con i protagonisti, legge recensioni che non lo menzionano mai…”.
Be’, Montanari non corre di certo questo rischio!
Intanto, là fuori, volge al termine l’inverno del nostro malcontento. Sia chiaro: l’inverno, non il nostro malcontento.
Saul Stucchi
Foto di Masiar Pasquali
Storia di un cinghiale
Qualcosa su Riccardo III
liberamente ispirato a “Riccardo III” di William Shakespearescritto e diretto da Gabriel Calderón
traduzione Teresa Vila
scene Paolo Di Benedetto
costumi Gianluca Sbicca
luci Manuel Frenda
con Francesco Montanari
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Carnezzeria
Informazioni sullo spettacolo
Dove
Piccolo Teatro Studio MelatoVia Rivoli 6, Milano
Quando
Dal 14 marzo al 6 aprile 2025Orari e prezzi
Orari:martedì, giovedì e sabato 19.30
mercoledì e venerdì 20.30
domenica 16.00
Durata: 75 minuti senza intervallo
Biglietti: intero 40 €; balconata 32 €