Forse un vero scrittore si vede da subito? Perché se (ril)leggi i Racconti di Sebastopoli ricordandoti che Tolstoj aveva sui 25-26 anni e fino ad allora aveva scritto pochissimo, emergono ancor più nitide, limpide, la sicurezza dello stile, la potenza dell’immagine, lo spessore del tono con cui il giovane ufficiale d’artiglieria (prima volontario), pur partecipando al conflitto devastante in Crimea con intransigente senso del dovere, nulla risparmia alla demistificazione della retorica bellica che il potere russo stava vendendo al suo popolo.
Sono tre racconti scritti in presa diretta sul fronte del 1855 – il terzo in realtà appena successivo – nei quali le virtù millantate dall’epica eroica che anche lo scrittore aveva subìto, via via si rivelano storie in cui la forza morale e il coraggio lasciano il posto a vicende e uomini miserabili e grotteschi o semplicemente impauriti – accade per lo più nelle guerre volute da un potere spregiudicato che mitizzando “la patria” e i suoi sacri valori invia i soldati al massacro.

Tolstoj lo scopre sul campo, combattendo e scrivendo insieme, e dell’essere onesti e veri nel raccontare ciò che vede fa subito un punto dirimente della sua scrittura. Se qua e là c’è spazio nel racconto per l’anima schiva ma fiera del russo che ama la sua terra e non tentenna davanti al proiettile che gli bucherà il petto, questa esaltazione presto si muta in qualcosa d’altro.
Tra il fuoco, il sangue, i corpi smembrati, mutilati, i cadaveri sparsi nei campi, agli ufficiali generosi se ne contrappongo altri decisamente vigliacchi, altri ancora che usano qualsiasi mezzo per eccellere e salire di grado, o soldati che si arrabattano senza scopo tranne quello di sfangarla alla meno peggio.
E allora chi sono gli eroi? “L’eroe del mio racconto – scrive Tolstoj – è la verità”. Che gli impedisce di tacere come la presunta unità dell’anima russa s’infranga banalmente nelle dinamiche interne alle truppe, che sono dinamiche di classe, e sfacciate: ove l’aristocratico mantiene nette le distanze con l’ultimo disgraziato mandato a difendere una patria che gli riserva solo le briciole.
Non casualmente, di lì a poco il giovane scrittore dovrà affrontare l’ostilità della censura che mal digerì il resoconto icasticamente spietato di quanto davvero avveniva sul campo di battaglia. Sarà proprio la guerra di Crimea a far capire al futuro autore di Anna Karenina che la carriera militare non sarebbe stata la sua strada.
Ora, una nuova traduzione da poco uscita per Voland, firmata da Leonardo Marcello Pignataro, ci consente di osservare un punto non secondario dell’arte tolstojana. Per lo più nell’immaginario che si è sedimentato sull’arte dell’immenso inventore di romanzi fra i maggiori della storia mondiale sta il pathos dei grandi destini, individuali e collettivi, ricezione tanto ovvia quanto condivisibile e che per questo tende però a dimenticare ciò che si dà per scontato, o implicito, o viceversa secondario: lo sfondo descrittivo che molti, nella lettura dei grandi romanzi tendono a saltare e che invece determina quell’effetto di realtà nel quale i destini di cui sopra si giocano.
Nei Racconti di Sebastopoli è possibile accorgersi meglio di quanto fosse già allora esatta, plastica l’arte descrittiva di Tolstoj (che anche nella più rigorosa vocazione realista è sempre anche reinvenzione).
Centinaia di corpi freschi insanguinati di uomini che solo due ore prime erano pieni di speranze e di aspirazioni di ogni genere nobili e meschine, giacevano con le membra irrigidite nella rugiadosa valle fiorita che separava il bastione della trincea, e sul pavimento liscio della cappella dei defunti a Sebastopoli; centinaia di uomini con imprecazioni e preghiere sulle labbra disseccate, strisciavano, si rivoltavano e gemevano, alcuni in mezzo ai cadaveri della valle fiorita, altri sulle barelle, sulle brande e sul pavimento insanguinato del posto di medicazione; si accese un bagliore al di sopra della Sapungora, impallidirono le stelle tremolanti, cominciò a stendersi una foschia bianca sul mare scuro mugghiante (…)”.
Questa nuova edizione è preceduta da una prefazione di Alessandro Barbero, utile a inquadrare gli elementi basilari della guerra di Crimea – un po’ tendenziosa, invero, nel paragonare la propaganda russofobica dell’epoca con quella maturata negli ultimi anni a causa di una tutt’altro che immaginaria invasione dei Russi in Ucraina. E peccato che la bellissima Crimea, ancora oggi, sia sulla scena per le ragioni sbagliate.
Michele Lupo
Lev Tolstoj
Racconti di Sebastopoli
Traduzione di Leonardo Marcello Pignataro
Prefazione di Alessandro Barbero
Voland
Collana Sírin
2024, 184 pagine
18 €