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Voi siete qui: Senza categoria » Giovanni Carrada spiega come un museo si deve raccontare

19 Maggio 2025

Giovanni Carrada spiega come un museo si deve raccontare

Nel corso del 2024 sono entrato per novantuno volte in un museo, in Italia e in Europa, per visitare una settantina di musei diversi (la differenza tra le due cifre è data dalle visite ripetute: su tutte quelle alla Pinacoteca di Brera). L’obiettivo di quest’anno è arrivare a quota 100 musei diversi. A metà del mese di maggio sono a quarantuno, in linea con le mie aspettative.

Indipendentemente dal fatto che riesca o meno a centrare l’obiettivo, è cambiato in modo radicale il mio approccio all’istituzione che per comodità chiamiamo museo: un termine “ombrello” sotto il quale trovano accoglienza luoghi e allestimenti, oggetti e opere, percorsi ed esperienze molto diversi tra di loro. Il merito va al libro Perché non parli? Come raccontare il patrimonio culturale di Giovanni Carrada, pubblicato da Johan & Levi.

Raramente mi è capitato di prendere, durante la lettura di un saggio, un numero altrettanto cospicuo di appunti: praticamente per ogni pagina, a cominciare dalla preziosa prefazione di James Bradburne, direttore di Brera tra il 2015 e il 2023.

Le considerazioni dell’autore, le informazioni, gli spunti di riflessione, gli aneddoti riguardanti le sue visite a mostre e musei ottengono (o almeno su di me hanno ottenuto) l’effetto di rivoluzionare l’approccio alla visita. Posso dunque confessare che ci sono musei che ho visitato prima di aver letto Perché non parli? e musei visitati dopo. E anche nel caso adesso torni a un museo visitato prima, ora mi appare diverso perché mi domando – all’uscita – se quanto ho visto sia riuscito a parlarmi, a raccontarmi qualcosa, a lasciare il segno.

Condividendo con Carrada il background scientifico e buona parte delle considerazioni che questi dissemina nei quindici capitoli del volume, Bradburne ne sintetizza i punti chiave presentandoli come cardini di un “manifesto”.

  1. nulla in un museo parla da sé
  2. il museo non equivale alla sua collezione – è l’istituzione che fa qualcosa con la sua collezione
  3. gli esperti non sono necessariamente quelli che dovrebbero parlare
  4. l’unico vero patrimonio di un museo sono gli oggetti reali – tutto il resto si può ottenere in altri modi
  5. i musei non sono scuole – hanno il compito di suscitare emozioni legate alle cose, non di insegnare fatti
  6. più che di curatori, abbiamo bisogno di “registi” – professionisti che sappiano ascoltare la loro comunità e raccontare storie che lascino il segno.

La parola chiave più volte ripetuta nel corso delle duecento pagine lungo le quali si articola l’opera è interpretazione. Un oggetto – che sia un dipinto impressionista o una macchina a vapore non fa alcuna differenza – non è in grado di comunicare in modo autonomo, se non a un ristrettissimo numero di visitatori, esperti di quel particolare tema. Deve quindi essere accompagnato da informazioni che ne illustrino contesto, funzione, materiale, epoca, significato…

E quali sono gli strumenti per farlo? Si è tentati di rispondere le didascalie e i pannelli di sala, ma anche questi restano “muti” se non vengono realizzati con cognizione di causa. Tutto – dal disegno del percorso espositivo ai colori dell’allestimento, senza tralasciare la comodità delle sedie, troppo spesso sacrificate se non dimenticate! – deve essere pensato con attenzione e cura perché il visitatore viva un’esperienza gratificante dal punto di vista culturale ed emozionale.

James M. Bradburne, Daniela Bruno e Giovanni Carrada alla Fondazione Rovati di Milano

Quante volte vi capita di provare un vero e proprio godimento visitando un museo? Poche o pochissime, vero? Carrada ne individua le ragioni in alcune pratiche figlie di convinzioni dure a morire, la prima delle quali è l’idea che un museo debba veicolare conoscenza e verità impartendole dall’alto. Questo atteggiamento “top-down” – che sa di paternalismo – non risponde ai desideri e alle legittime aspettative di chi si muove per le sale in cerca di emozioni capaci di fissare informazioni e ricordi. Così, spesso la visita risulta improduttiva e non fa che scoraggiare il visitatore a ripetere l’esperienza, con quello o con un altro museo.

E invece il mondo dei musei – anche per limitarci a quelli di casa nostra – è incredibilmente variegato e riserva infinite sorprese. Numerose quelle positive. Di capitolo in capitolo, da una regione all’altra, da un museo di archeologia a uno di scienza, Carrada propone esempi cattivi (ovvero scenari che non comunicano) ma anche virtuosi. Musei che cadono nella trappola dell’autoreferenzialità e altri che si sono lasciati alle spalle i retaggi delle istituzioni settecentesche di stampo illuministico, a cui dobbiamo peraltro la nostra riconoscenza, sia chiaro.

Perché non parli? è anche, implicitamente, un invito a scoprire musei al di fuori della propria “mappa culturale” di riferimento. Io, per esempio, sono stato recentemente al Museo della Natura e dell’Uomo di Padova, dove probabilmente non avrei mai messo piede se non ne avessi letto in queste pagine. Lì ho potuto approfondire il tema del “nanismo insulare” e riflettere sull’ipotesi che questo fenomeno può essere interpretato come metafora valida per ogni forma di isolazionismo.

Quando poi capita di imbattersi nella descrizione di musei già visitati, il lettore / visitatore ha la preziosa occasione di confrontare le considerazioni di Carrada con le proprie e vedere se coincidono o in quali aspetti differiscono.

Se è vero che un museo non è un libro (non basta trascrivere sui pannelli di sala le informazioni riportate su un manuale), i testi hanno una funzione fondamentale – e qui non posso che rimandare al prezioso volume di Ilaria Bollati e Marta Spanevello DI-DA. Non solo una didascalia, pubblicato da Corraini – nella missione di far parlare le opere. Confesso una mia deformazione “professionale”: spesso dedico più attenzione alle didascalie che alle opere. Questi brevi – o prolissi – testi raccontano molto di chi li realizza e li espone, partendo dall’età e dalla formazione.

Carrada segnala quanto ci manca – i centri visita; i musei dedicati alle città italiane, ciascuna con la propria storia peculiare; la figura dell’interpretation editor, cui ricorrono molti musei in altri Paesi… -, elogia e addita a modello i casi virtuosi e, qua e là, racconta delle proprie esperienze professionali.

Chiudo con un’ultima considerazione personale: quanto scritto in questo libro da Carrada mi sembra possa funzionare come prezioso strumento di interpretazione in altri contesti, al di fuori dei musei. Mi sono ritrovato, per esempio, a pormi alcune delle domande dell’autore mentre assistevo a un concerto di musica classica.

Saul Stucchi

Giovanni Carrada
Perché non parli?
Come raccontare il patrimonio culturale

Prefazione di James M. Bradburne
Johan & Levi
Collana Non solo Saggi
2025, 206 pagine
21 €

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