Palafox (cura e traduzione di Gianmaria Finardi, Prehistorica Editore, 2024) è un romanzo di Éric Chevillard. La storia si apre una mattina, mentre Algernon siede, con la figlia Maureen e il suo futuro genero Chancelade, a fare colazione.
Tra le cose da mangiare e le chiacchiere che riguardano la giornata, un uovo si schiude e da questo viene fuori una creatura, che scombina la vita di tutti quelli che si trova davanti. E che subisce, nel corso della storia, molteplici metamorfosi. Dopo qualche riflessione e il lancio di una moneta, i commensali decidono di chiamarlo Palafox per rendere omaggio al Duca di Saragozza, che difese la città nel 1806.

Per capire cosa sia questa creatura, si convocano a raccolta diversi esperti. Così vengono chiamati per esaminarlo: l’entomologo Pierpont, l’erpetologo Baruglio, lo zoologo Zeigler (che fa diverse apparizioni successive nei romanzi di Chevillard) e l’ittiologo Cambrelin. Pur conoscendosi bene, questi studiosi non sempre sembrano avere le idee molto chiare. Ognuno ha teorie o fa riflessioni contrastanti.
Tutto sembra andare bene: Palafox non crea problemi. Poi all’improvviso scappa nel giardino e non solo uccide Merlino, un martin pescatore che la famiglia alleva, ma ferisce Chancelade. Così gli uomini della casa decidono di prendere provvedimenti, perché Palafox si rivela pericoloso.
Algernon decide di castrarlo, sperando di calmare la sua rabbia, ma questa azione non ha alcun tipo di effetto sperato. Dopo poco, Palafox (trasformatosi in un felino) morde la testa del cane di un illustre ospite e distrugge tutta la preziosa collezione dell’esperto di porcellane Algernon. Cosa che non gli permette di vivere più in quel piccolo mondo tollerante che lo ha visto nascere.
Questa a grandi linee la trama.
Éric Chevillard sfida il lettore in tanti modi: con il suo stile, con il suo Palafox, con l’uso di un tempo non lineare, con l’uso di luoghi e di tempi indefiniti, come quelli delle fiabe. Cosa questa, che lo avvicina a Jonathan Swift, a Sterne o all’Ovidio delle Metamorfosi. Perché Palafox è indefinibile, indescrivibile e imprevedibile. Palafox ha la coda (in alcuni momenti); ha (molto spesso) un becco; ha persino le mani (forse più di due). E sa, sicuramente, volare.
Non c’è una categoria che possa ‘contenere’ Palafox. Palafox è e rimarrà un mistero. È e sarà un mistero per tutti; anche per Olympie, la donna che lo nutre e con la quale il misterioso essere vivente sembra sentirsi in armonia. Palafox si adatta al mondo e si trasforma. In continuazione. Cosa che non sorprende il lettore di Chevillard abituato, com’è, alla presenza di parassiti e alle più svariate forme di vita, che, nate nel laboratorio di carta dello scrittore, prendono vita e sembrano entrare nel (nostro) mondo e nella (nostra) immaginazione.
Leggere Chevillard significa visitare un mondo ‘altro’. O un mondo molto lontano. O uno troppo vicino, che, con occhi miopi e quotidiani, spesso si dimentica di osservare. Le opere di Chevillard non sono provocazioni, né sperimentazioni, né pura evasione. Assomigliano ai romanzi francesi del Settecento dove si riflette sul mondo, su un’idea, su una società migliore.
In Palafox, velatamente, si percepisce una critica al mondo globale, al tempo della tecnica e della scienza. Alla sua precisione e alla sua esattezza. Oltre che alla (tanto sospirata e decantata) fine dell’Antropocene. Proprio per questo lo scrittore francese mette l’immaginazione al centro di molte delle sue opere. L’obiettivo è riflettere sul bisogno di osservare meglio ciò che esiste nel mondo. La sua bellezza e la sua complessità. Semplicemente la sua unicità (come unico è Palafox).
Chevillard chiede uno sforzo in più rispetto a ogni altro scrittore: quello di lasciarsi penetrare dal sogno, cedere ogni fibra del nostro corpo all’irrazionale, all’emozione. Ma anche di sperare in un miracolo, di danzare per la pioggia feconda, per il grano abbondante, «mentre la nostra millenaria esperienza dell’informazione smentisce [la possibilità che esista] la provvidenza», quella vecchia «illusione che non ha fatto altro che aggiungere sfortuna a sfortuna e non ha fatto altro che provocare catena di insulti e conflitti sanguinosi e crimini abominevole», come sostiene a un certo punto Albert Moindre, il narratore. L’unico personaggio del romanzo che vorrebbe mettere un punto a tutto questo caos calmo smosso dalla coda di Palafox.
Palafox è la raffigurazione di una ‘nostalgia dell’ordine’, quell’ordine a cui ambiva il Calvino delle Lezioni americane. E che proprio in un mondo ordinato e ipertecnologico sembra venire meno. E sui limiti di questo mondo ipertecnologico Umberto Eco riflette nel saggio Kant e l’ornitorinco. Saggio nel quale il semiologo mostra come le certezze ontologiche di Kant sarebbero entrate in crisi se solo il filosofo fosse stato a conoscenza dell’esistenza di un ornitorinco, che ‒ con il suo becco, con il suo stare tra terra e acqua, con il suo essere mammifero e il suo deporre le uova ‒ veniva a interferire e a distruggere tutte le ontologicamente perfette categorie kantiane.
Così Palafox mette in dubbio la scienza di oggi. Distrugge, con la sua esistenza, secoli di metodo scientifico e il rigore logico matematico. Con un semplice ghigno, perché a un certo punto è lecito immaginare che il becco di Palafox sia diventato un muso.
Claudio Cherin
Éric Chevillard
Palafox
Traduzione di Gianmaria Finardi
Prehistorica Editore
Collana Chevillardiana
2024, 200 pagine
17 €