Tanto è cambiato dall’Ottantanove. E potete scegliere, tra gli ultimi tre secoli, quello che preferite: il diciottesimo con la Rivoluzione Francese, il diciannovesimo con il suo centenario, per celebrare il quale venne eretta la Tour Eiffel, il ventesimo con la caduta del Muro di Berlino, ma anche la morte di Leonardo Sciascia. Proprio nel giorno della sua scomparsa usciva in libreria “Una storia semplice”. Che semplice era solo in parte.
Così solo in parte è semplice quella attorno a cui ruota “Nuvole barocche”, il primo romanzo a quattro mani di Paola Ronco e Antonio Paolacci, edito da Piemme con il sottotitolo “La prima indagine di Paolo Nigra” che già avvisa il lettore: il vicequestore aggiunto (e “aggiunto” ha il suo perché) è arrivato per rimanere. Ne leggeremo ancora delle belle.

Cominciamo col dire che della coppia di penna e di vita “Paolacci & Ronco” diamo qui la precedenza a Paola per cavalleria e perché almeno un poco la conosciamo (giusto dieci anni fa – come corre il tempo! – scrivevamo del suo libro “Corpi estranei”). Quanto e cosa si debba a lei e quanto invece a lui potrebbe interessare solo come curiosità – e non è detto che un giorno non glielo si chieda, magari davanti a un piatto di trofie al pesto – ma poco importa all’economia del libro. Lo stile è infatti unitario, curato e scorrevole, tanto che la lettura ne risulta più che godibile.
Il vicequestore Nigra
Ma veniamo al protagonista. Possiamo tracciarne un profilo, un dossier, raccogliendo gli elementi che emergono, qua e là, tra le pagine di questa sua prima inchiesta. Paolo Nigra ha una gatta che si chiama Calpurnia, come l’ultima moglie di Giulio Cesare. Ha un caso irrisolto alle spalle, un’ossessione che ritornerà a galla, ne siamo certi. Quando è nervoso cucina le melanzane, ama preparare il Ti’ Punch e un’amica gli ha affibbiato il soprannome di Nigredo (siamo contenti di dire che non siamo dovuti arrivare a pagine 146 per capire la citazione. Che, magari, il Nostro abbia una qualche somiglianza con Gian Maria Volonté…?).
Nigra, poi, ha una spalla che ogni tanto gli duole…
Era una spalla che doleva ancora in modo sordo e distante al cambiare del tempo; era un meccanismo così simile alla rabbia, quel grumo primitivo tenuto a freno e ammaestrato da un istinto più forte, quello che lo spingeva alla reazione, che gli faceva inventare sfide sempre più complesse, solo per il gusto di vincerle”.
Ma probabilmente la caratteristica più peculiare di Nigra è che ha un compagno, Rocco. Vive infatti una storia d’amore (tormentata come quella di tutti) con un attore che recita la parte dello “sbirro coi capelli perfetti e la simpatica parlata napoletana che salva il mondo ‘na vota ‘a semana”.
E “più peculiare” solo perché siamo in Italia, nell’anno Domini 2019, dove si fa confusione tra “outing” e “coming out” e in troppi ancora la storia tra due persone dello stesso sesso crea disagio, fastidio, ribrezzo o rifiuto. Dunque, per tornare all’inizio, molto è cambiato, ma in fondo neppure tanto. Barricate c’erano e barricate ci sono.

Genova
Genova, la città dove vivono non solo i personaggi ma anche i loro autori, non è solo la cornice della storia. È una sorta di banco di prova, di cartina tornasole: l’atteggiamento – nelle opere, nelle considerazioni e nella memoria – verso i “fatti del G8” a Genova rivela di ciascuno il proprio posto, al di qua o al di là della barricata. Il vicequestore aggiunto, per esempio, si ferma in piazza Alimonda “per il tempo di un pensiero complicato e feroce”.
Nigra si muove in una ragnatela di rapporti con colleghi e superiori: la vulcanica assistente capo Marta Santamaria, il filosofico sostituto procuratore Evangelisti, l’ipocondriaco ispettore capo Caccialepori, Fabio Virdis, primo dirigente della Squadra Mobile, l’agente Paolin (quanti nomi parlanti!)… Tutti impegnati a risolvere il caso dell’omicidio di un ragazzo ammazzato di botte al Porto Antico, di cui non diremo altro per non spoilerare.
Ma torniamo, in conclusione, a Sciascia. Lo scrittore siciliano ci è venuto alla mente per il suo amore per Friedrich Dürrenmatt, autore più volte menzionato tra le pagine di “Nuvole barocche”. Anche in questo caso non aggiungeremo altro per non rovinare il piacere al lettore, se non che “Una storia semplice” aveva in epigrafe questa citazione da “Giustizia” di Dürrenmatt:
“Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”.
Un giorno, forse, vedremo “Nuvole barocche” sul grande o sul piccolo schermo (pur se è vero: “Dottore, a noi ci hanno rovinato le serie tv”). Ma potrebbe andare anche meglio: potrebbe leggerlo, ad alta voce, Toni Servillo. Proprio come “Una storia semplice”.
Saul Stucchi
La foto degli autori è pubblicata con il loro consenso
Antonio Paolacci e Paola Ronco
Nuvole barocche
Piemme
2019, 333 pagine, 17,90 €