Nel romanzo di Lydie Salvayre Non piangere (Prehistorica Editore, 2024, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala) due sono i punti di vista, due le visioni dello stesso evento. La prima è quella di una donna, di nome Montse, che nel 1936 ha 15 anni, è figlia di contadini che vivono in un piccolo villaggio dell’Alta Catalogna.
L’altra è quella di Georges Bernanos, scrittore e fervente cattolico, che osserva, a Palma di Maiorca, la repressione franchista, sotto l’occhio compiacente della Chiesa. Lo scrittore denuncerà, dopo qualche esitazione, le barbarie dei Franchisti ne Il grande cimitero sotto la luna, un pamphlet fortemente antifranchista. Questo episodio lo allontanerà dalle idee dell’estrema destra dell’Action Française.
Montse è una signora di novant’anni; il morbo di Alzheimer sta cancellando tutta la sua vita, ma rimane, nella sua memoria, radioso il ricordo dell’estate del 1936, «la più bella, vivida come una ferita», come dice. Quella in cui la quindicenne d’allora, trascinata dal fervore libertario, lascia il villaggio di famiglia insieme al fratello Josep. I due si uniscono ai rivoluzionari di mezz’Europa a Barcellona per sostenere il campo di coloro che vogliono cambiare il mondo.
La giovane Montse scopre la vita e l’amore. Il nome del ragazzo, che le fa scoprire cosa significhi amore, è André e la rende madre prima di darsi alla macchia. Così la ragazza è costretta a ritornare al villaggio. Prima dell’esilio in Linguadoca, dove «ha dovuto imparare una nuova lingua e nuovi modi di vivere e di comportarsi, senza piangere».
Lydie Salvayre racconta come le idee rivoluzionarie, arrivate nel villaggio dell’Alta Catalogna, portino scompiglio. Perché si scontrano con un mondo in cui «le cose si ripetono all’infinito e identiche, i ricchi nel loro splendore, i poveri nel loro fardello», un mondo «lento, lento, lento come il passo dei muli», un mondo dove i padri impongono la loro autorità «con la cintura».
Queste idee sconvolgono un ordine, muovono gli animi di alcuni, terrorizzano quello dei più. Il villaggio è sconvolto e il fervore generale dei primi momenti si trasforma gradualmente in aperto conflitto. Tra i giovani e le nuove idee e i vecchi e i controrivoluzionari. Lydie Salvayre mostra tutta la complessità della guerra civile spagnola attraverso le vicende di un piccolo villaggio arroccato sulle alture. Un microcosmo che rimanda a un macrocosmo, quello fuori del paese.
Lydie Salvayre ha tratto spunto dalla propria storia di figlia di repubblicani spagnoli, rifugiatisi in Francia, per questo romanzo che trascende l’autobiografia con una scrittura esplosiva; con frasi che raccontano l’entusiasmo continuo dei giovani del paese; con frasi lasciano intravedere i sussulti della Storia.
Sussurri che Bernanos declina con sapienza e con crudo realismo, che la scrittrice riporta alle volte nel testo. Come monito o come contraltare dall’entusiasmo della stessa Montse, di suo fratello e degli altri giovani.
Ma la forza del libro si trova anche nella lingua della donna. Montse racconta in un francese limpido, ma a volte, ha bisogno del “brio” dello spagnolo o della più sincera lingua madre, per rendere un particolare o un sentimento.
Lydie Salvayre usa questi difetti linguistici, per raccontare la carica emotiva che può far emergere un determinato ricordo in un momento e farne scomparire un altro. La scrittrice ha insistito su questo francese “mal parlato”, per dare senso anche a una vita semplice che non avrebbe altre parole per raccontare questa storia. Oltre che mostrare come nel francese siano esistite “parlate” meno nobili, ma non per questo meno importanti, come hanno fatto scrittori come Raphaël Confiant o Patrick Chamoiseau.
Non piangere si rivela così un viaggio nella storia e nel linguaggio alla ricerca di un’identità personale e collettiva di una minoranza linguistica, comunque francese. Viaggio che, forse, le è valso il Premio Goncourt 2014.
Claudio Cherin
Lydie Salvayre
Non piangere
Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala
Prehistorica Editore
Collana: Ombre lunghe
2024, 256 pagine
18 €