Palazzo Loredan in Campo Santo Stefano a Venezia (da non confondere con l’omonimo edificio che affaccia sul Canal Grande nei pressi del Ponte di Rialto), sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, ospiterà fino al 20 gennaio 2019 la mostra “Idoli. Il potere dell’immagine”, una selezione di 100 idoli preistorici e protostorici. Diciamolo subito: sono uno più bello dell’altro!
Cento idoli da ammirare
Alla presentazione stampa che ne ha anticipato l’inaugurazione, lo scorso 14 settembre, il presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue, Inti Ligabue, ha confessato che la mostra è (anche) un omaggio a suo padre e tiene fede a una promessa affettiva.
Dei 100 reperti esposti, 12 provengono dalla stessa Collezione Ligabue, tra cui la celebre “Venere Ligabue”, il cui acquisto ispirò Giancarlo Ligabue a scrivere (con Sandro Salvatori) “Battriana, una antica civiltà delle oasi dalle sabbie dell’Afghanistan” e a impegnarsi in numerose spedizioni in Afghanistan e Turkmenistan.
16 pezzi arrivano invece da altre collezioni private europee. Poi ci sono i prestiti di musei come il Museo Archeologico Nazionale di Madrid, l’Ashmolean Museum of Art and Archaeology dell’Università di Oxford e il Dipartimento di Antichità di Cipro.
Nel suo intervento il giornalista e scrittore Alessandro Marzo Magno, direttore di “Ligabue Magazine”, si è soffermato in particolare su due aspetti. In primo luogo “Idoli. Il potere dell’immagine” è una mostra di prestiti, a differenza delle precedenti esposizioni organizzate dalla Fondazione Ligabue.
Poi ha sottolineato quanto sia errato il concetto secondo cui gli uomini primitivi stavano “al loro posto”. Esistevano al contrario vie commerciali già nei tempi remoti presi in esame dalla mostra, ovvero dal 4000 al 2000 a.C., corrispondenti a una lunghissima fase di transizione. A testimoniarle basterebbero da soli i manufatti in lapislazzuli ritrovati in Egitto, a oltre 3 mila chilometri di distanza dalla miniere afghane da cui provenivano.
A questo proposito mi è tornata in mente la potente descrizione con cui si apre il primo libro della tetralogia “Giuseppe e i suoi fratelli” di Thomas Mann, ovvero la rievocazione del tempo di Amenofi III, padre di Akhenaton,
quando Assur cresceva per la forza dei suoi dèi, e sulla grande strada litoranea da Gaza fino ai valichi della montagna dei Cedri carovane reali andavano e venivano fra le corti del paese dei fiumi e quella di Faraone, recando, quali tributi di cortesia, carichi di lapislazzuli e di oro bollato.
Dall’Atlantico all’Indo
La parola è passata alla curatrice Annie Caubet, conservatrice onoraria del Museo del Louvre, che ha definito la mostra un invito a imbarcarsi in un viaggio nel tempo e nello spazio, una lunga cavalcata da occidente a oriente, dalla costa atlantica della penisola iberica fino alla Valle dell’Indo. L’esposizione veneziana rende omaggio a Giancarlo Ligabue, pioniere della riscoperta delle culture dell’Asia centrale.
Legami materiali ed estetici tengono insieme i 100 pezzi selezionati, ha proseguito la studiosa francese, spiegando che si possono raggruppare secondo tre grandi stadi della civiltà. Durante il primo prevale la figura femminile ereditata dalla preistoria, dalle forme voluminose, da considerarsi non tanto dee madri, quanto piuttosto rappresentazioni della sessualità.
Nella seconda fase, caratterizzata dalla comparsa delle civiltà organizzate, le figure si fanno schematiche, dal corpo astratto.
La terza fase, quella delle prime città, vede la realizzazione di idoli dalla figurazione naturalistica e insieme idealizzata.
Infine ha preso la parola Stefano De Martino che insegna Ittitologia e Storia del Vicino Oriente antico all’Università di Torino. Giocando con il tema della mostra, il professore ha confessato che la curatrice Caubet è un “idolo” per lui. L’ha elogiata per il profilo scientifico straordinario e l’ampiezza di conoscenza e di vedute.
La mostra, dall’allestimento raffinato ed elegante, si presta a diversi livelli di lettura e si concentra su due macro aree: la Battriana e il Mediterraneo, con l’area mesopotamica e l’Egitto a fare da cerniera tra loro. Il fiume Oxus era una via di trasmissione di conoscenze e di tecniche, mentre il Mediterraneo era l’autostrada del mondo antico, non solo per le merci, ma anche per le culture.
Il percorso espositivo
Ed eccoci ad affrontare l’intenso percorso espositivo che si snoda nelle sale della Biblioteca dell’Istituto. Le teche che ospitano gli idoli sono piuttosto piccole e perfettamente illuminate, come in gioielleria. E in effetti quelli che custodiscono sono veri e propri gioielli, da ammirare con calma.
Attorniati da pareti ricoperte di libri che contengono milioni di parole, gli idoli a prima vista sembra che preferiscano mantenere un assoluto riserbo. Ma a ben vedere sono tutt’altro che silenziosi. Se si ha infatti la pazienza di interrogarli con curiosità, come hanno fatto gli studiosi ne hanno scritto le schede a catalogo, racconteranno ciascuno la propria storia.
La figura femminile stante a braccia conserte, in lapislazzuli, rinvenuta a Hierakonpolis, per esempio, aveva perduto letteralmente la testa… Per fortuna il capo venne ritrovato in una successiva campagna di scavi (1906), otto anni dopo il rinvenimento del corpo (1898).
E attenzione alle statue cicladiche: siamo abituati a vederle esposte in verticale, come anche qui a Palazzo Loredan, dove dondolano al passaggio dei visitatori (come tutti i palazzi veneziani, anche questo è costruito su dei pali!), ma in realtà “erano concepite per essere collocate in posizione supina”, spiega la curatrice Caubet nel saggio introduttivo del catalogo.
Aguzzando bene la vista si possono anche osservare i segni che rivelano le manipolazioni ripetute a cui questi oggetti venivano sottoposti, prova della loro importanza nella vita di chi li “maneggiava”.
Oltre alle chiare didascalie, ci sono dei tablet che consentono di approfondire le storie di questi 100 idoli, realizzati nei materiali più diversi: legno e argilla cotta, calcare e alabastro gessoso, clorite e lapislazzuli, lega di rame e marmo, terracotta e picolite.
Di vetrina in vetrina il viaggio lungo i millenni srotola davanti agli occhi dei visitatori un uomo toro della Mesopotamia; un idolo anatolico con corpo a disco; una figura antropomorfa schematica da Cipro; alcune dame della Battriana; gli “sfregiati” della Civiltà dell’Oxus (davvero spiazzanti: non sappiamo se considerarli inquietanti o simpatici…), per alcuni studiosi “raffigurazione antropomorfizzata di un serpente-drago, una personificazione forse dei serpenti domati dalla “Dama dell’Oxus”; una testa di statuetta maschile in cristallo di rocca e un’altra di statuetta regale in lapislazzuli…
Tanta roba in mostra! E non ci riferiamo (solo) alle immancabili figure steatopigie, ossia dai fianchi e glutei decisamente abbondanti.
Saul Stucchi
Didascalie:
© Fondazione Giancarlo Ligabue
Photo by:Hughes Dubois
- Una sala della mostra “Idoli. Il potere dell’immagine” a Venezia
- “Venere Ligabue”
Iran orientale, Asia centrale
Civiltà dell’Oxus (2200-1800 a.C. circa)
Clorite, calcare, alt. 11 cm, largh. 13,2 cm
Collezione Ligabue, Venezia - Suonatore di arpa cicladico
Thera (Santorini)
Antico Cicladico II (2600-2400 a.C.)
Marmo, alt. 16,5 cm, largh. 5,5 cm
Badisches Landesmuseum, Karlsruhe - “Sfregiato” con kilt bianco
Iran orientale, Asia centrale
Civiltà dell’Oxus (2200-1800 a.C. circa)
Clorite, calcare, alt. 11,5 cm
Collezione privata, Londra - Figura femminile stante a braccia conserte
Egitto, Hierakonpolis, “Deposito principale”, recinto del tempio
periodo predinastico Naqada III
(3300-3000 a.C.)
Lapislazzuli e legno, alt. 8,9 cm
Ashmolean Museum, Oxford
Idoli. Il potere dell’immagine
Dal 15 settembre 2018 al 20 gennaio 2019
Palazzo Loredan
Campo Santo Stefano 2945
Venezia
Informazioni: