Il cartellone del Piccolo Teatro di Milano propone in questi giorni tre riletture / riscritture di altrettanti classici, una per ciascuna delle sue tre sale. Allo Studio Melato ha debuttato ieri sera e rimarrà in programma fino al 25 maggio La morte a Venezia. Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi ispirato alla celebre novella di Thomas Mann. Ne firma la drammaturgia e la regia Liv Ferracchiati che condivide la scena con Alice Raffaelli.
Dal 20 al 25 maggio allo Strehler si potrà invece assistere ad Anna Karenina nel nuovo adattamento che Luca De Fusco ha tratto dal capolavoro di Tolstoj, con Galatea Ranzi nel ruolo della protagonista.
Infine il Teatro Grassi per le stesse date propone i tre Lai di Giovanni Testori che ormai possiamo considerare un classico del teatro italiano del Novecento. La strepitosa Anna Della Rosa darà prova del suo talento interpretando le tre figure di Erodiade in Erodiàs, Maria in Mater strangosciàs e dell’ultima regina d’Egitto in Cleopatràs.

Ma torniamo alla prima di queste tre riletture / riscritture (tema a cui personalmente sono molto legato, indipendentemente dalla declinazione biblica a cui ho dedicato diversi incontri negli ultimi anni). Bene: come Ferracchiati si approccia alla novella – o romanzo breve – di Thomas Mann? È forse il caso di lasciargli direttamente la parola, riproducendo qui di seguito un brano dell’intervista pubblicata sul libretto di sala dello spettacolo.
Sei stato più influenzato dal romanzo o dal film di Luchino Visconti?
Abbiamo seguito in modo molto fedele il romanzo, l’andamento dei cinque capitoli. Non si tratta dell’adattamento di un romanzo per il teatro; di fatto, quella a cui si assiste è la messinscena di un testo originale, restando fedeli alla sua struttura tematica. Il film di Visconti è imprescindibile, ma è stato meno vivo nei nostri riferimenti: ci sembrava già esso stesso un’interpretazione del romanzo, mentre noi ne ricercavamo una ulteriore autonoma”.
Avendo molto recentemente riletto il libro e rivisto il film di Visconti (ne ho parlato giusto qualche giorno fa) sono entrato allo Studio Melato con una sola domanda in testa, quella che ho anticipato poco fa. Prima di entrare in sala – e di rispondere alla domanda – una piccola deviazione a latere.

Nel foyer del teatro sono esposti alcuni libri, scelti dai protagonisti della stagione. Sfogliando Lezioni americane di Italo Calvino mi sono imbattuto in un paio di passaggi che lo scrittore dedica a Mann e più specificamente al romanzo La montagna incantata, definita da Calvino “la più completa introduzione alla cultura del nostro secolo” (ossia del Novecento).
Lo prende come esempio di romanzo con finale indeterminato, visto che Mann non racconta se Hans Castorp sopravviverà alla Prima guerra mondiale per cui scende dal sanatorio Berghof oppure vi troverà la morte. E pensare che in origine Mann aveva pensato a quello che poi sarebbe diventato Der Zauberberg (La montagna incantata – o magica che si voglia) come contrappunto ironico a La morte a Venezia. Ma al posto di un’altra novella ci ha regalato un romanzo-fiume, anzi: montagna.
Come Ferracchiati affronta e come rende la scrittura così peculiare di Mann? Temo che la mia sia la risposta di un fan troppo innamorato (di Mann, intendo) per essere anche lontanamente considerata neutrale. Dunque prendetela con beneficio d’inventario. Non l’affronta e non cerca di renderla.
Compie un’altra operazione: si concentra sul tema dello sguardo. Lo spettacolo si articola in frammenti presi dall’opera (come il riferimento ai denti deboli di Tadzio, spia di una vita che non vedrà né maturità né vecchiaia), considerazioni dello stesso Ferracchiati e, appunto, giochi di sguardi con la versione femminile di Tadzio, quella Alice Raffaelli che si muove (e danza) non sulle note dell’Adagietto della Quinta sinfonia di Mahler come nella riscrittura viscontiana ma al ritmo di una musica sincopata e sulle note di una canzone di Mina.
Tra riflessioni di Brodskij su Venezia e la scabrosità di mordere la vita come mordere una fragola, tra una poltrona da barbiere (che a me ha ricordato una celebre copertina con K.D. Lang sbarbata da Cindy Crawford) e una telecamera che apertamente rimanda alla macchina fotografica che compare nella chiusura tanto del libro che del film, questa Morte a Venezia mi ha lasciato perplesso.
Saul Stucchi
La morte a Venezia
Libera interpretazione di un dialogo tra sguardiispirato a “La morte a Venezia” di Thomas Mann
drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati
con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
movimento Alice Raffaelli
dramaturg Michele De Vita Conti
aiuto regia Anna Zanetti / Piera Mungiguerra
assistente alla drammaturgia Eliana Rotella
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono spallarossa
voce di Tadzio Weronika Młódzik
consulenza letteraria Marco Castellari
produzione Spoleto Festival dei Due Mondi, Marche Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Informazioni sullo spettacolo
Dove
Piccolo Teatro Studio MelatoVia Rivoli 6, Milano
Quando
Dal 15 al 25 maggio 2025Orari e prezzi
Orari:martedì, giovedì e sabato 19.30
mercoledì e venerdì 20.30
domenica 16.00
lunedì riposo
Durata: 60 minuti senza intervallo
Biglietti: platea 33 €, balconata 26 €