È un libro a due facce “Nefertiti” di Philipp Vandenberg, pubblicato nel 1975. Io l’ho letto nella traduzione italiana della casa editrice SugarCo.

Cominciamo proprio dalla traduzione: mi pare tutt’altro che impeccabile, con cadute di stile che precipitano nel registro più basso se non addirittura colloquiale/gergale (“E Nefertiti, un tempo così orgogliosa, chiedeva di unirsi in matrimonio con uno dei figli del nemico, uno che manco conosceva?” da pag. 273 valga come esempio).
Le due facce che affrontano – e a volte sovrappongono nella stessa pagina – sono rispettivamente quelle della rievocazione con piglio giornalistico (nel senso migliore del termine) delle scoperte archeologiche, su tutte quella del celeberrimo busto di Nefertiti, vanto dei musei berlinesi, e quella della ricostruzione “psicologica” delle azioni dei protagonisti: da Amenofi III a sua moglie Teje (Tiy), da Amenofi IV poi Akhenaton alla stessa Nefertiti.

Se interessanti sono i racconti dell’impresa dei due Smith (l’ex diplomatico Ray Winfield Smith e l’egittologo di Boston William Stevenson Smith) alle prese con i talatat, ovvero i mattoni con cui venne costruita la nuova capitale Akhetaton e la spedizione di Richard Lepsius, imbarazzanti sono i tentativi di “scavare” nella personalità della coppia Akhenaton – Nefertiti.

Anticipate da titoletti tra lo scandalistico e il pruriginoso (“Nefertiti amò una donna?”, “La forza dell’odio”, “L’ultimo sorriso della bella regina”…), le pagine in cui Vandenberg si avventura in ipotesi ardite (e ardenti) strappano a volte un sorriso, mentre altre provocano disappunto.
È un libro di storia o un lungo feuilleton, un romanzo d’appendice che mescola i piani temporali, andando avanti e indietro dalla XVIII dinastia al XIX secolo d.C.? Entrambe le cose, purtroppo.
L’origine di Nefertiti (veniva da Mitanni: ne è certo Vandenberg), la natura del suo rapporto con Amenofi III, il ruolo di Smenkhara (“Si può affermare che Smenkhara sia il personaggio più enigmatico della storia egizia. Fu lui a decidere il destino della Bella. Nessuna donna aveva mai osato far concorrenza a Nefertiti; venne un uomo e le prese il marito”), l’evoluzione della politica religiosa di Akhenaton sono tutti argomenti che ancora presentano molti punti oscuri. L’autore invece completa un puzzle dal disegno perfettamente chiaro, dove tutti i pezzi finiscono al proprio posto. Ma per farlo sembra forzare i pezzi che esistono e “inventarsi” quelli che gli servono al per la sua ricostruzione.
Durante la lettura mi sono state a cuore le citazioni e i riferimenti all’archeologo britannico John Pendlebury e ho apprezzato la sintetica esposizione delle opinioni di valenti egittologi come Cyril Aldred e Christiane Desroches Noblecourt.
Spunti per un approfondimento personale? Per esempio il complotto contro Ramses III (la cosiddetta “Congiura dell’harem”) e l’attività di Howard Carter come ispettore alle antichità, prima della campagna di scavo che lo portò a scoprire la tomba di Tutankhamon.
Saul Stucchi
Didascalie:
- La foto del busto di Nefertiti al Neues Museum di Berlino è di Philip Pikart (da Wikipedia).
- La Stele 17813 di Berlino: “Trenta centimetri di pietra che hanno ridato coraggio agli egittologi. La seconda persona a sinistra è la Bella o è il rivale di lei, Smenkhara?”: recita la didascalia del disegno a pagina 250… (foto di Saul Stucchi).