Come mi farebbe piacere se, fra i miei soliti venticinque lettori, qualcuno (compreso naturalmente l’esimio direttore di ALIBI Online) si prendesse la briga di andare a cercare il film “Koyaanisqatsi” di Godfrey Reggio (1982) e rendesse in tal modo giustizia al mio lavoro!
Soprattutto per “Koyaanisqatsi” che – cito le parole dell’autore stesso – “è un lavoro che deve provocare il pubblico, deve fargli vivere un’esperienza. Sta allo spettatore decidere quale sia il significato: dare un significato è una reazione puramente soggettiva. Se cerchi di capire perché guardi questo film, forse non ti piacerà. È come quando si intraprende un viaggio: il vero obiettivo è il viaggio, non la meta che vogliamo raggiungere“.

Introduzione necessaria, perché, se le mie notarelle non vogliono essere altro che uno spunto per chi ama il cinema (ed è stanco di vederlo maltrattato come avviene in questi tempi grami), il lavoro di Reggio presenta diverse opportunità di riflessione.
Un film senza parole
Dopo “Pulp Fiction” di Tarantino, in cui abbondavano i discorsi, spesso vuoti o poco pertinenti con la storia, in “Koyaanisqatsi” non viene pronunciata neppure una parola.
Apro una parentesi. È molto divertente (e non volutamente ironico) che, quando si inserisce il DVD nel lettore, per prima cosa, appaia: scegli la lingua…
Cos’è, dunque, “Koyaanisqatsi”? Un connubio perfetto tra immagini e musica. Non si potrebbe dire se e quale dei due aspetti prevalga sull’altro.
Le immagini (ricordo che siamo nel lontano 1982) al loro apparire fecero scalpore: poteva sembrare un documentario, ma la macchina da presa si muoveva con una logica tutta sua, con inquadrature particolari e un senso del tempo – ora accelerato, ora rallentato – che avrebbero nel giro di pochi anni influenzato il cinema successivo come anche la televisione e, soprattutto, la pubblicità.
Secondo Godfrey Reggio, il risultato è frutto di un lavoro di équipe e anzi Godfrey si profonde in lodi nei confronti di Glass e di Ron Fricke. “Sono come un cieco o un analfabeta o un sordo che lavora con persone con un talento straordinario. Io suggerisco gli esterni, dico come vorrei le riprese, come vorrei lo sfondo, quale approccio adottare: quelle sono idee mie. Ma, persone come Fricke e Glass mi danno risposte artistiche”.
La fotografia e le musiche
Fricke, regista e direttore della fotografia statunitense, viene considerato un maestro nella fotografia con tecnica “time-lapse” (una tecnica particolare in cui vengono proiettati fotogrammi a intervalli di tempo superiori alla norma). Oltre che “Koyaanisqatsi”, ha firmato come regista altri tre lavori (Chronos, Baraka e Samsara).
E poi, c’è la musica. Philip Glass meriterebbe da solo molte righe, vista la sua attività come compositore, performer e autore di colonne sonore. Con solide basi nello studio della musica classica, all’inizio della sua carriera, viene etichettato come uno dei capofila della musica minimalista (vedi più avanti).
Ma, dall’inizio degli anni Ottanta, a partire dalla collaborazione con il compositore indiano Ravi Shankar, si apre alle suggestioni culturali extraeuropee e da questo momento la sua scrittura musicale tende ad abbracciare i più diversi ambiti, con una predilezione per le forme sceniche (teatro, danza, oltre che cinema). Oltre a lavorare come compositore classico, Glass ha avuto molti contatti con artisti provenienti dal rock, dall’ambient, dalla musica elettronica e della World Music.
Il Minimalismo
Due parole sul “Minimalismo”: alla fine degli anni Sessanta, a New York, poiché ricevevano poca attenzione dagli esecutori e dagli spazi di esecuzione tradizionali, un gruppo di musicisti (Philip Glass, Steve Reich, Jon Gibson e altri) iniziarono ad esibirsi all’interno di gallerie d’arte: in questo modo si assistette a un interessante contatto fra il Minimalismo musicale e il Minimalismo nelle arti visive.
Alcuni hanno parlato, a proposito di questo film, di un’opera ecologista ante litteram e lo stesso Reggio ha affermato che il suo “documentario” voleva testimoniare come il nostro mondo stesse passando “dalla natura come habitat dell’uomo, a un ambiente tecnologico, alla tecnologia di massa come ambiente di vita dell’uomo”.
“Koyaanisqatsi” è il primo di una trilogia: seguiranno “Powaqqatsi”, nel 1988 e “Naqoyqatsi” nel 2002.
In origine Reggio non pensava alla distribuzione della pellicola nelle sale. Ma, dopo che Francis Ford Coppola vide il film, decise di promuoverlo. Grazie ad un tale sponsor, alla fine del 1991 i ricavi totali ammontarono a più di 3,2 milioni di dollari.
Note e curiosità
Riprendendo la parentesi che avevo aperto diverse righe più su, una scelta nella lingua è necessaria al termine del film. Infatti lo stesso Godfrey Reggio ha indicato quelli che, secondo lui, sono i più probabili significati del titolo ( e quindi c’è bisogno della trascrizione in italiano).
Koyaanisqatsi significato
Riguardo al titolo, la parola Koyaanisqatsi viene direttamente dalla lingua degli indiani Hopi. La cosa curiosa è data dal fatto che la lingua degli Hopi è una lingua orale, non scritta e questo apre diverse possibilità di interpretazione.
Chi è Godfrey Reggio
L’ultima curiosità riguarda Godfrey Reggio. Poche le notizie su di lui. Nasce nel 1940 a New Orleans e l’origine della sua famiglia è italiana. Nel 1750 il nobile Francesco De Reggio lascia la nostra penisola e si stabilisce prima in Francia e poi, nella Louisiana francese.
P.S.: non l’ho ancora detto, ma Koyaanisqatsi potrebbe essere tradotto con: “uno stato di cose che richiede un mutamento di vita”.
L S D
Koyaanisqatsi: Life Out of Balance
Regia: Godfrey Reggio
Musiche: Philip Glass