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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Vacanze di Natale: un inno postumo a Carlo Vanzina

14 Gennaio 2020 Scritto da Simone Cozzi

Vacanze di Natale: un inno postumo a Carlo Vanzina

L’arte rispecchia la realtà o la influenza e modella?

Recentemente mi trovavo in un ristorante molto elegante, in una rinomata località turistica italiana. Al tavolo accanto al mio sedevano due giovani coppie: sufficientemente rumorose, con abiti mediamente pacchiani e gioielli in bella vista. Abbronzature lucide, labbra rifatte, capelli ossigenati componevano il campionario dei numerosi cliché tipici dell’arricchito.

Non era difficile origliare le loro conversazioni: parlavano a voce alta di viaggi alle Seychelles, di auto di lusso, di import-export; le mogli confrontavano i brillanti che avevano al dito e gli abiti presi a Forte dei Marmi, o nella recente escursione in via Montenapoleone.

Al momento delle ordinazioni, la scelta cadde su del vino bianco. Poco dopo, un cameriere dai modi sussiegosi ed affettati giunse al tavolo esclamando fiero “Chardonnay!”.

Uno dei due maschi, sistemandosi il colletto della camicia, rispose “Ehm, no, guardi: parli pure italiano,’semo de Roma”. 

Sembrerebbe una barzelletta; è semplicemente uno spaccato di vita reale.

"Vacanze di Natale" di Carlo Vanzina (1983)

Ogni epoca ha i suoi cantori e i suoi censori. Gli anni Cinquanta videro il Neorealismo di De Sica, Zavattini, Rossellini e anche Antonioni che descrivevano la misera purezza dell’Italia del dopoguerra, e i suoi patetici sforzi per rialzarsi.

Gli anni Sessanta e Settanta ebbero Bruno Corbucci, Luciano Salce, Comencini, Monicelli, Alberto Sordi e Ugo Tognazzi, eccellenti interpreti di un certo tipo di italiano un po’ cialtrone, malinconicamente mediocre e, tutto sommato, innocuo; pudico nel suo essere mariuolo, ancora preoccupato di mantenere la forma pur nell’evidenza della propria meschinità.

Dall’altra parte, registi come Pasolini e Bertolucci stigmatizzavano le contraddizioni della società e dell’individuo in esso diluito, cercando di comprendere o di indirizzare le dinamiche del pensiero attraverso un’epoca di transizione e di una trasformazione che preludeva alla burrasca che si concretizzò negli anni di piombo.

Rivalutare i Vanzina

Spesso mi sono chiesto se i fratelli Vanzina possano essere considerati alla stessa stregua dei grandi colleghi del passato, di coloro cioè che hanno documentato e, in un certo modo esecrato, i costumi dell’epoca in cui hanno vissuto.

Io dico di sì: la loro sfortuna risiede nel fatto che essi hanno dovuto cantare un’epoca, gli anni Ottanta, che cominciava ad impoverirsi, non tanto dal punto di vista economico, quanto invece da quello culturale e morale.

Credo, bandendo ogni forma di snobismo improduttivo, che un minimo di analisi sulle opere di questi due fratelli romani, padri del tanto fustigato cinepanettone, vada fatta; riconoscendo loro anche dei meriti. Senza pregiudizi stolti, figli di una supponenza che nulla ha portato al dibattito culturale; senza che si gridi alla blasfemia.

Se “I soliti ignoti” inaugura la gloriosa stagione della commedia all’italiana, “Vacanze di Natale” (quello del 1983, per intendersi) la conclude.

Non solo. Il film dei Vanzina, sorretto da un nutrito cast, composto dai più in voga fra gli attori comici dell’epoca, è il capostipite della lunga serie di film che sotto le feste invernali riempiono tuttora le sale cinematografiche, concedendo boccate di ossigeno finanziario all’agonizzante cinema italiano.

Christian De Sica e Karina Huff in una scena di “Vacanze di Natale” di Carlo Vanzina

Attenzione, però: se le pellicole successive (quelle infiltrate dall’impresentabile Boldi) hanno perso di efficacia, precipitando nel pecoreccio e dissolvendosi nella povertà di gesti plateali e di sceneggiature ridotte all’osso, “Vacanze di Natale” non è privo di spunti di interesse, sebbene esposti con la leggerezza che si conviene a opere di questo genere.

Questo film, infatti, è una carrellata di personaggi grotteschi, apparentemente caricaturali, girato con una modalità che non si discosta di molto da “America Today” di Altman: una investigazione (Altman mediante inseguimento con la steadycam, i Vanzina con inquadrature più statiche) della mediocre umanità italiana.

Italiani medi a Cortina

I protagonisti convergono, per pochi giorni delle loro vite, nell’iconica Cortina d’Ampezzo, durante le festività natalizie del 1983. C’è il macellaio romano che ostenta con rozzezza il proprio Rolex, e la famiglia finto aristocratica-altoborghese che sistematicamente muove dalla Capitale fino alla villa di famiglia, per celebrare il Natale. Ironizzano sui torpigna (gli abitanti del quartiere di Torpignattara) senza accorgersi che, lusso a parte, sono altrettanto sguaiati, se non peggio.

C’è il cumenda milanese, che alla bella moglie (un’ancora piacente Stefania Sandrelli) preferisce le disquisizioni sulle automobili, e l’animatore piacione dalle tecniche seduttive abborracciate e schematiche.

È l’impietosa fotografia di un’Italia che sta cambiando sotto la nefasta influenza della seducente sottocultura artatamente (lo si vedrà dopo) diffusa dalla nascente stella di Canale5, spesso citato come strumento divulgativo del neo-pop, all’interno di un disegno che dieci anni dopo procurerà milioni di voti a Forza Italia.

Sanzionare i difetti dell’essere umano mettendone in ridicolo i caratteri distintivi, esaltandoli al punto da farne diventare una sineddoche vivente, era tecnica comune dai tempi di Plauto. I Vanzina hanno estremizzato tale tecnica mescolandola al vaudeville, virando quindi verso la farsa, perché la farsa è il genere che, purtroppo, meglio si addice alla nostra Nazione. I Covelli, i Billo, i Donato esistono davvero e li incrociamo ogni giorno.

Per rappresentarli, Carlo ed Enrico Vanzina hanno opportunamente utilizzato i volti e i gesti di Christian De Sica, di Gerry Calà, del compianto Guido Nicheli, di Claudio Amendola.

Macchiette, si diceva. O forse, tipi.

Proprio qui sta il nocciolo della questione: se oggi (a circa 40 anni di distanza) si accostano i personaggi di “Vacanze di Natale” a ciò che la società italiana propone quotidianamente (qualsiasi sia lo strato sociale dal quale partire per approfondire l’esplorazione) viene da chiedersi se i Vanzina abbiano giocato ad affermare che i protagonisti dei loro film non sono frutto di fantasia, oppure se essi abbiano fatto emergere certi aspetti che covavano sotto la cenere formale dei comportamenti socialmente accettabili e che adesso sono conclamati senza pudore alcuno.

Quindi i Vanzina come lente d’ingrandimento o come fonte d’influenza di costume, e non solo autori di sberleffi cinematografici.

Un differente materiale umano, per un differente genere cinematografico.

Neoverismo impietoso

Quando vedo i miei amici quarantenni che si sfiniscono di fantacalcio e di calcetto, non riesco a non pensare alla scena romantica in cui Antonellina Interlenghi si avvicina al fidanzato, romano e romanista, per fargli gli auguri di buon anno e trovare in lui gesti di romanticismo.

“Di’ un po’ – le chiede lui, abbracciandola – secondo te dove lo festeggia il Capodanno Toninho Cerezo? Secondo me dorme, perché è un professionista”.

Quindi la presunta deriva cinematografica da Vittorio De Sica ad Enrico Vanzina rappresenta fedelmente il percorso seguito dall’italiano medio lungo gli ultimi sessant’anni, senza che ciò voglia esprimere un giudizio di carattere morale: da eroe della resistenza e della ricostruzione a bamboccio irrimediabilmente immaturo.

Un neoverismo impietoso che trascende gli snobismi schizzinosi da cineteca, su un’Italia ipocrita, omofoba, macha, sessista, e parvenue, chiosata alla perfezione dal monologo che Roberto (Christian De Sica), trovato a letto con il maestro di sci, rivolge ai genitori: “Papà a te t’ha fregato il benessere. Tu facevi il capomastro. Invece adesso c’hai soldi e ti scandalizzi”.

Simone Cozzi

Vacanze di Natale

Regia: Carlo Vanzina
Interpreti: Jerry Calà, Christian De Sica, Claudio Amendola, Antonella Interlenghi, Karina Huff, Riccardo Garrone, Rossella Como, Guido Nicheli

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Info Simone Cozzi

Una laurea in Economia e Commercio, una passione per la scrittura, la fotografia, la musica. Ha pubblicato con Panda Edizioni: La pace inquieta, Doppio strato, Lo spazio torbido e Il buio è prossimo. Informazioni sull'autore Simone Cozzi.

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