Anno nuovo. Quindi è il momento di aprire un nuovo reparto nel mio emporio cinematografico. Sto parlando dei film della “vecchia” Hollywood, dei classici, dei mélo di qualche anno fa. Come Lo specchio della vita di Douglas Sirk (in originale Imitation of Life).
Per parlare di Sirk, mi riallaccio alla mia ultima fatica (Il tamburo di latta) e a tutto il discorso sul nuovo cinema tedesco. Un autore in particolare (Reiner Werner Fassbinder) durante una retrospettiva organizzata al Museo del Cinema di Monaco nel 1971, resta folgorato dal maestro amburghese e ne diviene entusiasta ammiratore. È davvero curioso come due cineasti così differenti abbiano potuto trovarsi d’accordo.
“Il cinema è sangue, lacrime, violenza, odio, amore e morte.” (Douglas Sirk)
E Fassbinder condivide con il suo maestro la formula, secondo la quale “non si possono girare film sulle cose, ma solamente con le cose, con la gente, le luci e i fiori, con gli specchi e con il sangue, e con tutte le cose fantastiche che rendono la vita degna di essere vissuta”.

Dopo questo cappello, la vita di Hans Detlef Sierck (vero nome del regista tedesco): nasce ad Amburgo nel 1897 e muore a Lugano nel 1987. Nel 1922 esordisce nella regia teatrale; nel 1934 diventa regista cinematografico, realizzando una serie di film nei quali rilegge la tradizione melodrammatica.
Nel 1937, però, lascia la Germania nazista e, dopo aver soggiornato in altri paesi europei, approda negli Stati Uniti, assumendo anche il nome con cui lo conosciamo.
Nei primi tempi si cimenta in generi diversi, dalla commedia al noir, fino a che, nel 1950, firma un contratto con la Universal Pictures, dando una svolta definitiva alla sua carriera. Si consacra quasi esclusivamente al melodramma e realizza diversi capolavori: Magnifica ossessione (1953), Come le foglie al vento (1956) e appunto Lo specchio della vita (1959).
Dopo questo ultimo successo, Sirk lascia l’America e il cinema: tornato in Europa, si stabilisce vicino Lugano e, ripreso il suo vero nome, per dieci anni torna alla regia teatrale.
Provo ora a esaminare il cinema di Sirk. Premesso che Lo specchio della vita è l’unica sua pellicola che ho visto, risulta egualmente utile per comprendere le caratteristiche dei suoi lavori.
In primo luogo, l’esperienza teatrale (all’inizio della carriera in Germania e alla fine in Svizzera) è alla base anche del modo di fare film. L’arte è imitazione o specchio della vita: per l’intera durata dell’opera, i rapporti tra vita e arte, cinema, teatro e fotografia si confondono e si intersecano. Siamo tutti su un palcoscenico e ciascuno di noi interpreta un ruolo. Fatto salvo il finale: quello che l’autore tedesco definiva l’unhappy end.
“Un brindisi alla bellezza… e alla verità, che invece è tutt’altro che bella” (tratto da Come le foglie al vento).
Dal punto di vista tecnico, è interessante l’uso antinaturalistico del colore e la grande importanza della colonna sonora.
“In tutte le mie foto mi avvalgo di una illuminazione che non è naturalistica.” (Sirk)
Lo specchio della vita inizia con un campo lungo (una spiaggia affollata) e si conclude con un altro campo lungo (il funerale di Annie): nel mezzo predomina la passione di Sirk per l’aspetto descrittivo. Ci sono pochissimi primi piani e anche nelle sequenze di campo/controcampo, il partner è sempre visibile nell’inquadratura. Allo spettatore le emozioni arrivano grazie alla musica e al montaggio, proprio l’ultima caratteristica che ho notato: Sirk è estremamente abile nel troncare una scena quando sta per diventare piuttosto melensa o quando un dialogo diventa troppo lungo.
La parte melodrammatica è data dall’evolversi delle situazioni intorno alle quattro protagoniste, ma – più ancora dell’analisi dei loro caratteri e delle loro aspirazioni – quello che risalta è l’analisi impietosa che il regista tedesco fa della società americana. Non c’è solo un quadro feroce del mondo dello spettacolo, ma pure un attacco verso un paese segregazionista, razzista e classista: in definitiva, una distruzione dell’american way of life, dipinto, però, con tinte leggere e sfumate.
Annie: “Ma non si ferma mai quell’uomo?”
Lora: “Non può. Se lo facesse, si renderebbe conto di quanto è triste!”
Gli esseri umani, secondo Sirk, non possono stare da soli, ma non possono nemmeno stare insieme. Sono pieni di disperazione.
La storia del film è tratta dal romanzo omonimo di Fannie Hurst (1933) ed è un remake della pellicola di John M. Stahl del 1934, con lo stesso titolo. Mi limito a citare solo alcuni dei collaboratori di Sirk: la sceneggiatura è di Eleanor Griffin e Allan Scott; la fotografia, di Russel Metty; il montaggio, di Milton Carruth e la musica di Frank Skinner (collaborazione non accreditata, di Henry Mancini).
Note e curiosità
Tornando al discorso che facevo all’inizio, Reiner Werner Fassbinder non si è limitato a studiare i lavori di Sirk, ma ha anche realizzato una insolita collaborazione in Burbon Street Blues, con Sirk regista e Fassbinder attore.
Inoltre ha realizzato una curiosa rivisitazione di Secondo Amore (1955): La paura mangia l’anima (1974). Nella nuova pellicola cambiano i sobborghi di lusso, i giardini ben curati e le raffinatezze del cinema hollywoodiano, per lasciare il posto a realtà tristi e squallide, ad ambienti poveri e a protagonisti dimessi, ma vengono conservati i sentimenti e le emozioni che erano alla base del lavoro di Sirk.
E, visto che sto parlando dell’influenza del maestro amburghese sul cinema successivo, non posso tralasciare Pedro Almodóvar che in Donne sull’orlo di una crisi di nervi e in altre sue opere utilizza allo stesso modo il colore.
Tra i vari estimatori contemporanei, un posto speciale spetta poi all’ipercinefilo Quentin Tarantino che in Pulp Fiction, nella scena al Jack Rabbit Slim’s, fa ordinare a Vincent una bistecca Douglas Sirk.
Chiudo con un aneddoto divertente raccontato dallo stesso regista tedesco. «Ricordo che una volta partecipai a una vendita di libri a casa di un emigrato tedesco che era appena morto a Hollywood. Nessuno a Hollywood si interessava di libri. L’atteggiamento tipico era: “Se se ne può trarre un film, ok, altrimenti…”. Naturalmente non c’era quasi nessuno. Ero praticamente solo in una stanza piena di libri; c’era soltanto una ragazza molto bella che non conoscevo e che stava guardando i libri. A un certo punto sentii la sua voce che mi chiedeva: “Questo Bertolt Brecht è uno scrittore interessante?”. Era Marilyn Monroe. Era una domanda alla quale era difficile rispondere.»
L S D
Lo screenshot è preso da Wikimedia
Lo specchio della vita
- Regia: Douglas Sirk
- Soggetto: dal romanzo di Fannie Hurst
- Sceneggiatura: Eleanor Griffin, Allan Scott
- Interpreti: Lana Turner, John Gavin, Sandra Dee, Susan Kohner, Robert Alda, Dan O’Herlihy, Juanita Moore