Leggendo le mie noterelle, qualcuno potrebbe pensare che a me piaccia solo il cinema di qualche decennio fa. È vero; ma è anche vero che continuo a frequentare le sale e – a volte – mi imbatto in qualche piacevole sorpresa. È il caso di questo delizioso Drive my car di Ryūsuke Hamaguchi (2021).
Il soggetto del film non è originale: si basa su un racconto di Haruki Murakami, contenuto nella raccolta Uomini senza donne del 2014. Quello che fa la differenza, però, è la sceneggiatura (Ryūsuke Hamaguchi e Takamasa Oe) e in modo preponderante, la regia.
Credo sia sufficiente dire che partendo dalle quaranta pagine di Murakami, la pellicola arriva a sfiorare le tre ore (179 minuti) e, più che con le parole, la storia si dipana attraverso silenzi e sguardi.
Lo script non è complesso: sembra concedere poco spazio agli eventi, poiché vuole focalizzare dettagliatamente l’evoluzione interiore dei due protagonisti. Per fare questo, Hamaguchi prende per mano lo spettatore e, con un ritmo lento e impercettibile, lo porta a comprendere il difficile passaggio che avviene nell’animo di Kafuku e di Misaki.
La vicenda, infatti, ruota attorno alla lunga elaborazione del lutto, per l’uno e l’altra protagonista. C’è bisogno di tempo (vedi la lunghezza del film) e di passaggi lievi e misurati per superare la perdita che ognuno di loro si porta dentro e per mettere a tacere i sensi di colpa.
Secondo me, possiamo considerare questo film come una risposta a tanto cinema mainstream (inteso come fenomeno creato per le masse) che inonda le sale. Anziché azione, ritmo e movimento, con Hamaguchi è necessario disporsi come a un rito, con serietà e attenzione.
Prima di arrivare allo scioglimento finale, Drive my car si compone anche di altri elementi. C’è una storia nella storia, dal momento che tutto ruota intorno alla messa in scena di Zio Vanja di Anton Čechov. Il protagonista (Kafuku) è il regista che amalgama un cast di attori asiatici molto disparato, giacché ognuno di loro interpreta il testo nella sua lingua (oltre al giapponese, il mandarino, il coreano, il filippino) fino a Sonja che si esprime nella lingua dei segni.
“Che vuoi farci, bisogna vivere! Noi, zio Vanja, comunque vivremo. Vivremo una lunga, lunga serie di giorni, di lunghe serate… “ (Sonja, da Zio Vanja)
Trattandosi di una pellicola che lascia molto spazio al silenzio, anche questa miscela di lingue, unita al fatto che sempre Kafuku ascolta in auto una cassetta registrata della pièce teatrale, incisa con la voce della moglie, fa riflettere sul senso che, per il regista, abbia la parola (senza contare che il film è tratto da un racconto, quindi necessariamente un insieme di parole).
Un altro elemento importante penso sia la scelta della location. Hamaguchi decide di spostarla da Busan, in Corea del Sud, a Hiroshima, a causa dell’epidemia di Covid e, a mio modesto parere, il film ne guadagna, trovando luoghi che meglio si adattano al carattere dei personaggi e ne evidenziano gli stati d’animo.
Navigando nel web, a questo proposito mi sono imbattuto anche in una interessante riflessione: l’acqua dell’isola in cui risiede Kafuku durante lo prove dello spettacolo, verso la conclusione del film lascia il posto alla neve dell’Hokkaido in cui Misaki ha perduto la madre. Come a dire che la forma liquida dell’acqua si è trasformata nel ghiaccio e quindi nella neve, quando i due raggiungono la loro catarsi.
“- Misaki: Tutto quello che possiamo fare è cercare di sopravvivere, mandare giù e andare avanti.
– Kafuku: Allora tutti dobbiamo recitare?
– Misaki: Sì, più o meno è così.”
Prima di questo, avevo visto altri film di Hamaguchi, ma Drive my car è sicuramente (finora) il suo capolavoro. E, per una volta, sono persino d’accordo con la commissione che ha deciso di conferire a questa pellicola il premio Oscar come Miglior Film Internazionale.
Hamaguchi viene considerato in patria come l’esponente più interessante dell’ultima generazione di cineasti giapponesi. Considerando la sua giovane età (è nato il 16 dicembre del 1978) e il fatto che abbia girato solo cinque lungometraggi, è lecito attendersi altre meraviglie in futuro.
Il film di cui parlo non è stato l’unico premiato a livello internazionale: Il gioco del destino e della fantasia (2021) ha vinto l’Orso d’argento al festival di Berlino e Il male non esiste (2023) si è aggiudicato il Leone d’argento a Venezia.
Note e curiosità
Nella storia originale, la vettura di Kafuku è una Saab 900 cabrio; nel film è stata cambiata con una Saab 900 rosso ciliegia con tetto chiuso.
Il racconto e il film prendono il titolo da un brano dei Beatles, che non è stata introdotto nella pellicola per difficoltà legate ai permessi di utilizzo. Sono andato a cercare il brano in questione e ne riporto qualche riga: “Ho chiesto a una ragazza cosa voleva diventare / Lei ha detto ‘tesoro, non lo vedi? / Voglio essere famosa, una star del grande schermo / Ma puoi fare qualcosa nel frattempo’ / Tesoro puoi guidare la mia macchina / Sì diventerò una star / Tesoro, puoi guidare la mia macchina / E forse ti amerò…”.
La canzone contiene chiari riferimenti sessuali: infatti drive my car era un noto eufemismo utilizzato nel blues per parlare di rapporti intimi.
Un’ultima notazione è squisitamente personale. Anche se non entra direttamente nel mio commento, mi piace ricordare che – per senso del dovere – sono andato nella biblioteca sotto casa e ho fatto arrivare Zio Vanja, visto che non l’avevo ancora letto.
P. S.: per quei pochi tra i miei lettori che amano ancora le sale cinematografiche e che appezzano i film in questi luoghi mistici, vorrei segnalare che da alcuni mesi, ritornano in sala grandi pellicole di grandi autori, per un breve periodo. Molte di queste opere le ho segnalate in queste mie noterelle, a cominciare dalla mia prima (Viaggio a Tokyo), e poi I pugni in tasca, ecc…
L S D
Drive my car
- Regia: Ryūsuke Hamaguchi
- Soggetto: Haruki Murakami
- Sceneggiatura: Ryūsuke Hamaguchi, Takamasa Oe
- Interpreti: Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura, Masaki Okada, Reika Kirishima