Sur rimanda in libreria con l’aggiunta di due inediti un libro che meno di un decennio fa ebbe un impatto clamoroso, e sul pubblico, e sul suo autore, Colson Whithead, vincitore nell’occasione del Pulitzer e del National Book Award.
L’opera, La ferrovia sotterranea – traduzione di Martina Testa – nel 2021 ha poi conosciuto un nuovo momento di gloria grazie alla serie omonima, adattamento più che dignitoso del romanzo. Un romanzo-romanzo si direbbe. La storia è nota: durante i primi anni dell’Ottocento, Cora, una giovane schiava della Georgia, nera va da sé, per sottrarsi alla sua condizione intraprende un viaggio-fuga in alcuni Stati degli USA meridionali attraverso la ferrovia sotterranea del titolo.

L’impresa sfiora l’epopea – il singolo destino si intreccia con le vicende del tempo, storia e geografia non sono mero sfondo come in un romanzo d’avventura ma sono il cronotopo vivente, sensibile, pulsante di una sanguinosa (sanguinaria) tragedia, quella dello sfruttamento razziale nei campi di lavoro americani.
Attraverso gli uomini e le donne che racconta, Whitehead sonda in profondità il cuore nero di un’epoca criminale: schiavi e padroni hanno la consistenza rotonda di anime “vere”, in cui la carne e il sangue, il potere e il flagello dominano il campo d’azione e nulla viene risparmiato al lettore. Fiere, aste, mercati che fossero, al netto delle differenze storiche nella configurazione dei diversi Stati attraversati, “Le persone erano oggetti, meglio non spendere troppo per un vecchio, un giovane maschio proveniente da un buon ceppo tribale, invece, faceva venire la bava alla bocca agli acquirenti”.
Da scrittore non avventizio, (di quelli assai diffusi in Italia di questi tempi in cui alla letteratura spesso si sostituisce il catechismo edificante di storielle vittimistiche) Whithead, mentre squaderna sulla pagina l’orrore del razzismo, non lascia intentato il racconto della pervicace ricerca da parte di molti schiavi, donne o uomini, non solo di riuscire a fuggire, com’è della protagonista, ma di salvare il salvabile, di crearsi un cantuccio riparato per qualche ora dalla violenza, un infimo spazio di sopravvivenza, tre metri quadri, lottandoselo però con gli stessi compagni di sventura.
Nel libro di Whitehead il lettore può ritrovare meccanismi analoghi fra i lager e gli accampamenti dei neri: alcuni dei quali dovranno pure accettare di trasformarsi, come i kapò, in supersorveglianti di ausilio ai carnefici.
Uomini e donne emergono plasticamente dalla pagina, i corpi forti e sudati, o martoriati e frustati a sangue pare di vederli in rilievo fra le capanne, il fango, le piantagioni. E il viaggio di Cora nel suo treno segreto (nella realtà storica una rete di fughe pensata da abolizionisti ed ex schiavi impegnati a offrisi aiuto reciproco) diventa un racconto dell’America, della sua anima nera, quella di chi l’ha sofferta per il colore della pelle e quella del potere bianco che in molti momenti della storia – il presente inquieta assai – l’ha sfacciatamente coltivata e tradotta in brutale violenza.
Varie le forme in cui essa si dispiega negli Stati che Cora (dopo anni di stupri, angherie e frustate, abituata a doversi difendere già da bambina, figlia e nipote di schiave, consapevole che “i bianchi ti mangiano viva ma a volte ti mangiano viva pure i neri”) attraversa assieme all’amico Caesar, ma mai meno feroci, mentre la ragazza cresce, a modo suo, tutt’altro che una mera figurina vittima della storia (ciò che è inevitabile) ma un personaggio con un suo carattere e un suo sviluppo.
Romanzo-romanzo dunque anche perché, e lo ricorda lo stesso scrittore americano nell’intervista in appendice, piega la sua creatività a un controllo deciso sul materiale grazie a una scrittura lineare, al servizio della storia. Che è anche un romanzo di avventura, secondo consolidata tradizione americana, con il feroce cacciatore di schiavi in agguato.
Ma l’avventura di Cora non ha nulla di ilare, perché che vita è quella di una fuggiasca? “Che razza di mondo è – pensa difatti – quello in cui una prigionia perenne è il tuo unico rifugio?”. L’avventura allora è un’altra, è il processo di umanizzazione che la protagonista scopre in sé stessa, nata schiava, abituata a pensarsi come tale, interscambiabile con qualsiasi oggetto, e da oggetto divenire un essere umano.
Michele Lupo
Colson Whithead
La ferrovia sotterranea
Traduzione di Martina Testa
Edizioni Sur
2024, 376 pagine
20 €