Eravamo come fratelli di Daniel Schulz (Bottega Errante Editore, traduzione di Federico Scarpin) racconta la fine della Repubblica Democratica Tedesca e l’unificazione della Germania. Il processo di trasformazione nella Germania dell’Est viene generalmente raccontato come una storia di successo: non si racconta, però, la disoccupazione di massa e l’emigrazione e il sentimento di svalutazione. Cosa che fa il romanzo di Daniel Schulz.
Il punto di vista del romanzo è quello di un bambino, che vede nel socialismo e nella DDR un sistema che funziona bene e non ha motivo di essere sostituito. Questo perché il protagonista e i suoi amici d’infanzia hanno paura dell’imperialismo occidentale e dell’appropriazione della DDR da parte dell’Occidente. Gli è stato inculcata dalla scuola, dalla famiglia e dalla società l’idea di diffidare di tutto ciò che viene dall’Occidente.
Il romanzo è diviso in capitoli brevi; gli episodi non sono necessariamente collegati tra loro, ma formano un insieme più ampio e descrivono un’infanzia e una giovinezza nella provincia del Brandeburgo. La storia è individuale ‒ ad esempio, nell’era della DDR era piuttosto insolito avere come padre un ufficiale di alto rango della NVA e come madre una protestante fermamente praticante ‒ ma il percorso di vita in sé rappresenta un po’ tutti quelli che hanno vissuto quel periodo.
Il narratore in prima persona non ama i nazisti: già da bambino, la sua più grande paura era che i fascisti dall’Occidente sarebbero entrati nella sua vita con la riunificazione. Rimane amico di giovani che si dimostrano chiaramente di destra per tutta la sua giovinezza e anche se, crescendo, cerca di prendere le distanze esteriormente, ad esempio portando i capelli lunghi, rimane loro vicino fino al diploma di scuola superiore.
Anche la sua vita sentimentale gli dà poco sostegno in questo senso. Il suo grande amore è Maria che non ha paura di nulla e con lei il protagonista si sente sempre a suo agio. Sarà lei a fargli capire che il suo posto non è lì, ma a Berlino, città per antonomasia liberale.
Il Brandeburgo, dove si svolge la storia, si trasforma sempre più in una zona ostile verso tutto ciò che è considerato estraneo. Anche per il fatto che le persone perdono il lavoro, devono riqualificarsi e spesso cadono in depressione, i prodotti occidentali sostituiscono quelli orientali. Un’amica della madre del protagonista si lamenta degli immigrati vietnamiti. I padri disoccupati di quasi tutti i suoi amici se ne stanno depressi nei loro garage, mentre le madri più pragmatiche si riqualificano. I compagni di classe diventano nazisti perché solo così possono dare la caccia a persone che la pensano diversamente e sembrano diverse, attaccano case e discoteche dei rifugiati.
Punto di forza del libro è che vengono raccontate le sfumature della miseria del periodo post-riunificazione di chi, dopo il ricongiungimento, è rimasto disoccupato e ha iniziato a bere fino a morire, lo sciopero operaio di Bischofferode, la disperazione di chi ha saputo salvarsi solo suicidandosi.
Altro tema che affronta il romanziere è la violenza. La violenza nella scuola (chi ha mai pensato che la scuola sia un luogo sicuro?), l’odio di classe tra i giovani studenti quando si tratta della questione di chi va al liceo e chi no, la competizione, la meschinità e le risse nel cortile della scuola. Ma anche l’uso di un vocabolario razzista e antisemita di cui gli adolescenti fanno uso senza sapere di cosa si tratti. Si tratta di un codice “esoterico” che usano perché sentito dagli adulti.
In tutto il libro vengono descritte scene isolate in cui diventa evidente il disprezzo per l’umanità degli “amici” del protagonista. Il protagonista assiste, non dice nulla. Forse per la mancanza di alternative. Forse ha paura di mostrarsi “diverso” anche lui. La sua stasi si rompe alla fine del libro come presa di coscienza. «Non c’è trasformazione senza tradimento», dice il protagonista alla fine (quando frequenta un egiziano a Berlino).
Poi c’è la violenza che sta fuori. Come, ad esempio, nella scena di un bambino umiliato, forse da un neo-nazista. La descrizione della persona è essenziale: «C’è qualcosa in scrittura antica sul suo braccio destro […]. Là c’è scritto ‘Tannenberg’.» La descrizione concreta dei neo-nazisti arriva relativamente tardi. Quando diventa chiaro che i neo-nazisti sono di una tale normalità che anche i bambini piccoli si adattano.
Daniel Schulz racconta l’amore più o meno corrisposto del protagonista per Maria, una ragazza che interpreta la tipa tosta che riesce a mettere al loro posto anche i ragazzi più duri; la misteriosa straniera che appare esotica dalle descrizioni del suo aspetto e del suo temperamento; l’oggetto del desiderio di un adolescente. E che forse gli permette di allontanarsi da una vita fatta di violenza e razzismo.
Il titolo del romanzo è una citazione di un brano dei Böhse Onkelz, un gruppo di estrema destra della Germania dell’Ovest, che più tardi ha preso le distanze dal suo passato in maniera poco credibile.
In un passaggio del romanzo di Schulz risuona dall’autoradio una cassetta con la loro canzone Danke für Nichts (Grazie di nulla), dove si trovano questi versi: “Non sai da dove vengo / e anche se lo sapessi / non sai che cosa provo / non sai cosa vuol dire / essere me.”
Questa è la politica identitaria di estrema destra degli anni Novanta. E sembra più attuale che mai.
Claudio Cherin
Daniel Schulz
Eravamo come fratelli
Traduzione di Federico Scarpin
Bottega Errante
Collana Radar
2024, 296 pagine
20 €