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Voi siete qui: Teatro & Cinema » La grande paura di Hitler. Processo all’arte degenerata

1 Novembre 2025

La grande paura di Hitler. Processo all’arte degenerata

Il nuovo documentario della serie La grande arte al cinema – intitolato La grande paura di Hitler. Processo all’arte degenerata – sarà proiettato nelle sale italiane soltanto nelle date di lunedì 3, martedì 4 e mercoledì 5 novembre (come sempre l’elenco è consultabile sul sito ufficiale del distributore nexostudios.it).

Prodotto da 3D Produzioni, porta la firma alla regia di Simona Risi, mentre il soggetto è di Didi Gnocchi che ha curato la sceneggiatura insieme a Sabina Fedeli e Arianna Marelli. Questa volta la voce narrante è quella di Claudia Catani, doppiatrice che ha prestato la voce ad attrici come Cate Blanchett, Juliette Binoche e Charlize Theron.

Per una volta (se la memoria non mi inganna) posso confrontare la visione del docufilm con quanto visto di persona, ovvero la mostra da cui prende le mosse. L’arte degenerata: Il processo all’arte moderna sotto il nazismo è stata allestita al Museo Picasso di Parigi da febbraio a maggio di quest’anno. Mentre il percorso espositivo si concentra sulle opere per approfondire il contesto storico in cui vennero messe sotto accusa, il documentario si sofferma soltanto su una piccola selezione di quanto esposto a Parigi per proporre una panoramica più ampia sul rapporto tra nazismo e arte (arti).

Centrale è il tema della Entartete Kunst, dell’arte degenerata. Ma Johan Popelard, curatore della mostra e responsabile delle collezioni del Musée National Picasso di Parigi, osserva che «la categoria dell’arte degenerata ha dei confini molto labili e porosi» e si domanda «come si stabilisce cosa è accettabile e cosa è inaccettabile? Come si traccia questa linea?». È il dubbio di noi visitatori moderni ma anche dei commissari nazisti che dovettero procedere per aggiustamenti di rotta nel loro criminale progetto di impostazione e di imposizione di un’arte ariana.

Fu purtroppo anche una guerra tra artisti, con diversi personaggi – tra cui si segnalò Adolf Ziegler, artista accademico, apprezzato da Hitler – che accettarono il compito di denunciare l’opera impura di colleghi non allineati alle direttive della nuova arte che era in realtà un ritorno a un’arte vecchia e sorpassata.

Se il Dadaismo subì pesanti critiche già negli anni Venti, fu la famigerata mostra del 1937 a Monaco a lasciare un segno indelebile. In quell’occasione furono esposti più di cento artisti con seicento opere, confiscate a musei e gallerie del Reich. Ma i risultati non furono quelli sperati dagli organizzatori perché la mostra sull’arte degenerata – con due milioni di visitatori in quattro mesi – ebbe molto più successo di quella sull’arte germanica.

I nazisti compresero ben presto il valore dell’arte che volevano cancellare, così soltanto una parte delle opere venne distrutta, mentre il più venne venduto. Ma anche l’asta organizzata in pompa magna a Lucerna nel 1939 si rivelò un boomerang per la propaganda, così si decise di procedere con vendite non pubblicizzate.

Intanto nel luglio del 1938 era stata allestita una “contro-mostra” a Londra che avrebbe dovuto intitolarsi Arte proibita, ma venne chiamata Arte tedesca del XX secolo su pressione di Chamberlain che non voleva inimicarsi la Germania. Vennero esposte 270 opere di 64 artisti delle avanguardie, nati in Germania e vittime delle persecuzioni naziste.

Come sempre nel viaggio alla scoperta del tema lo spettatore è accompagnato da una polifonia di guide, tra cui è il caso di segnalare almeno l’archistar lord Norman Foster (che si sofferma sull’architettura nazista); Antonella Ottai, storica dello spettacolo e scrittrice che definisce Berlino “città metamorfica”, anche basandosi sui ricordi di suo padre che in quegli anni frequentava l’università della capitale tedesca; lo scrittore Fabio Stassi che parla dei roghi di libri ricordando che venivano definiti “gli incantesimi del fuoco”.


La macchina da presa si sofferma su alcune opere, come la Famiglia Soler di Picasso (Soler era il sarto personale dell’artista); L’entrata di Cristo a Gerusalemme del danese Emil Nolde; La presa di tabacco (Rabbino) di Marc Chagall; Metropolis di George Grosz, espressione della fascinazione per la città, ma anche testimonianza che essa ha qualcosa di inquietante e minaccioso.

E intanto vengono rievocati i capitoli di questa storia tragica: le censure, le persecuzioni e le violenze. Anche nei confronti di artisti considerati eroi di guerra, come quel Franz Marc che era morto combattendo a Verdun ma le cui opere furono esposte a Monaco, suscitando la reazione di alcune associazioni di veterani che si sentirono offese per l’inclusione in quella mostra.

C’è ancora tanto altro: il collettivo de Il cavaliere azzurro che prendeva il nome da un dipinto di Kandinskij; la vibrante opposizione di Thomas Mann che cercava di riportare alla ragione i suoi connazionali tenendo una rubrica radiofonica alla BBC (la sua voce è risuonata l’anno scorso al Cimitero Militare Germanico al Passo della Futa al termine del ciclo che Archivio Zeta ha dedicato alla Montagna incantata); la meschinità degli zelanti bibliotecari che compilarono liste di proscrizione di scrittori odiati dal regime; gli anni della Repubblica di Weimar (sulla quale rimando alla recensione dedicata alla mostra Tiempos inciertos. Alemania entre guerras allestita al CaixaForum di Madrid); Berlino come capitale europea della trasgressione e città dove nel 1919 il dottor Magnus Hirschfeld fondava l’Istituto per la ricerca sessuale e, nel 1922, Murnau girava Nosferatu.

Il ciclo de La grande arte al cinema proseguirà all’inizio di dicembre (nelle date del primo, due e tre) con il docufilm Caravaggio a Roma. Il viaggio del Giubileo.

Saul Stucchi

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