In principio fu l’Erdapfel, la “mela terrestre”. Era il 1492, anno che potrebbe trarci in inganno: ché mentre il cartografo e navigatore tedesco Martin Behaim realizzava il primo mappamondo, un certo Cristoforo Colombo prendeva fischi per fiaschi che tali sarebbero rimasti ancora nella primavera dell’anno successivo, una volta tornato in Europa.
Il globo di Behaim ancora non contemplava nel suo disegno il continente americano. “Per ragioni di simmetria – scrive Emanuele Canzaniello nel suo bel libro Breviario delle Indie, (Wojtek Edizoni) – quattro erano le parti del mondo, le terre emerse, e quattro dovevano essere trovate (…) Pierre d’Ailly riporta questa idea, che i continenti debbano essere quattro. Europa e Africa erano note, l’Asia era la terza estensione, la quarta dimensione doveva essere trovata” – ma Colombo, com’è noto già ai bambini (e su questo torneremo), non la decifra correttamente.
Il Breviario (lavoro difficilmente etichettabile, e già questo è un merito del poeta, narratore e saggista napoletano) attraversa lo spazio e il tempo degli anni legati all’impresa di Colombo e alla scoperta di un mondo incognito, benché frainteso, talmente altro da apparire alla stregua di un’allucinazione.
Piccole storie, considerazioni saggistiche, appunti teorici, frammenti di sogni, visioni infiammate e deliranti, insomma un repertorio ibrido di brevi testi-tasselli di un mosaico molto mobile e immateriale in cui il lettore si trova, è il caso di dire, a navigare quasi come fosse egli stesso investito in un cronotopo onirico omologo a quello probabilmente esperito dai navigatori del tempo.
Perché è vero che l’esploratore degli esordi, testardo, perentorio, mitomane, “ha i suoi calcoli e le sue letture”, sa cosa vuole e crede di sapere dov’è diretto ma alla fine “sarà stordito dal profumo degli alberi, dal modo di accoppiarsi di uomini in altri mondi”. Mondi che oppongono una logica (se tale si può chiamare) diversa da quella di un uomo durissimo, che alla fine “non riuscirà ad enumerare tutti i generi e le specie, e ne soffrirà come un bambino.”
L’uomo a capo della spedizione che attraversa l’Atlantico e si sarebbe in futuro macchiato di numerose turpitudini, intanto, prima di approdare nella terra promessa che tale non è, resta a lungo “sospeso in una vastità oscura. Non dorme, veglia, fissa e registra stelle”. Euforia e angoscia emergono e s’inabissano con le onde intorno alle imbarcazioni di uomini che ne incontreranno altri la cui decifrazione evocherà a tratti alterni inferni o paradisi perduti.
Poi nell’Oceano si affaccia una massa di alghe la cui abbondanza e vibrante coloritura indizia che la meta non è lontanissima; più ancora può la vista di una balena – quella Colombo la sa, e sa che è questione davvero di pochissimo, ora è meno complicato tenere a bada il nervosismo dei suoi uomini; ma di tutto quello che vedrà dopo non sa nulla: “Le acque innumerevoli, le foglie innumerabili, i pesci inclassificabili, le analogie impossibili tra i profumi, i venti, i sapori, le piante, gli animali”, tutto lo abbaglia, compresi i pappagalli che poi porterà a Isabella di Castiglia assieme al poco oro reperito per mitigarne la sostanziale delusione per l’insuccesso della spedizione.
Tutto è abbaglio in questa storia – che sono diverse storie -, persino i massacri, la ferocia sanguinaria che di lì a poco e per troppo tempo riempirà di sangue foreste, accampamenti e nuove città, sangue misto a dire il vero, il grosso degli indigeni, le minute compagini di coloni refrattari agli ordini del Viceré – Canzaniello attraverso una prosa densissima e aerea insieme e l’andamento irregolare del narrato, rievoca non soltanto i fatti ma l’immaginario inquieto che l’accompagna fino a noi, immaginario potentissimo se è vero che non v’è maestra, libretto dei primi anni di scuola che non senta la necessità di tornarvi: l’incontro con i “selvaggi”, la meraviglia dell’altro, del paesaggi edenici che possono nascondere però il truce assalto di pratiche cannibaliche, ma anche il riemergere involontario nella psiche della specie di quel selvaggio seppellito in un qualche inconscio, l’angosciante e vanamente represso senso di colpa: un umore ansioso e uno sguardo vagamente allucinato attraversa il racconto.
Dentro la scena insomma v’è tutto, la bellezza e il terrore, qualcosa che, scrive Canzaniello, “assomiglia alle terre dipinte dai Cranach, dell’età dell’oro dell’umanità, in cui si era nudi prima della Caduta, e si era umani o forse più che umani (…) ma anche ai dipinti di Brueghel, quelli in cui è possibile vedere come si andava a caccia di esseri di natura inferiore all’umano, selvaggi, nudi o coperti di pelliccia, inseguiti e trafitti dalla lancia di chi aveva dimora, di chi abitava dentro le mura”.
La poesia, termine oggi tremebondo, si dà in questi brevi capitoli riallacciando i fatti e la duratura, variabile ma sempre intensa impressione che hanno prodotto fino a noi: l’esperienza del navigatore per eccellenza, non più sicuro della sua attrezzatura cartografica, quella materiale e quella psichica, con lo stupore del lettore.
“Risalendo il fiume, erano davvero cosa meravigliosa a vedersi gli alberi, la vegetazione, l’acqua limpidissima e gli uccelli, di tale bellezza che, come dice, non avrebbe voluto staccarsene”, scriveva Colombo il 27 novembre del 1492. Un uomo siffatto è ovviamente forte e temerario, le sue conoscenze geografiche (nonostante l’errore capitale) e astronomiche restano intatte: sarà la previsione di un’eclissi lunare la notte del 29 febbraio 1504 a garantirgli la sopravvivenza a fronte degli indigeni riottosi, subito terrorizzati dalla capacità dell’uomo di sottrarre loro la luna.
Si diceva, non è solo racconto quello di Canzaniello ma pure ricostruzione puntuale delle premesse storico-teoriche del massacro – perché, ricordiamolo, il resto fu solo un massacro. “Il genocidio più esteso e profondo della storia è avvenuto su influenza preponderante di Aristotele – scrive l’autore.
“È colpa di Aristotele il modo in cui gli europei hanno trattato gli indigeni delle Americhe.” Perché l’ipse dixit dell’epoca riguardava anche la teoria del filosofo sui diversi gradi di umanità. Per cui “gli indigeni sembrarono agli europei come il grado più basso dell’appartenenza all’umano, vicini agli schiavi per natura”, i quali “erano bruciati in branchi, impiccati in mandrie, scuoiati, vissuti come strumenti parlanti anche per la soddisfazione sessuale, dovevano essere corretti dalla loro barbarie, dai banchetti di carne umana, dai crani sfondati da cui bevevano. E sfondati furono i loro crani, dati ai cani i loro corpi, mentre i guerrieri con le calze di seta li guardavano spaventati di doverli ricondurre a un ordine divino.”
Se contano le storie, esatte anche quando turbinose, ma pure lo sguardo che noi occidentali vi abbiamo posato, il materiale psichico che ne risulta rinvia ad altro che a una mera rivisitazione storica: luoghi, racconti, figure inventariate da Canzaniello non solo eludono la successione lineare del tempo ma ondeggiano in una filigrana di cronache coeve (o di sogni, incubi, deliri? e certo molti errori) e quanto si stratifica nella memoria storica, sempre spostata però sul piano letterario.
Vale pure l’inverso, ciò che credono di scoprire i dominatori europei è un deposito di conoscenze e suggestioni incistato in qualche angolo della loro mente, non solo mappe, distanze, mere determinanti geografiche ma presenze, apparizioni più o meno umane trovano un nome, un significato nel repertorio acquisito in un passato di studi, quando addestrati quando sommari, per cui un Francisco de Orellana si convince di aver incontrato le Amazzoni del mito, per esempio.
Gli aztechi, dal canto loro, videro in Cortés un dio – non essendo il dio buono dei monoteismi, nella logica altra dell’assurdo (che tanto può assomigliare a quella letteraria, più vera del vero) ci sta che fosse lo stesso dio che li avrebbe cancellati dalla faccia della terra.
Ci sono molte ragioni per cui queste restano le storie più affascinanti a disposizione dell’umanità: ce ne sono non poche per considerare il Breviario delle Indie uno dei migliori libri italiani dell’anno.
Michele Lupo
Emanuele Canzaniello
Breviario delle Indie
Wojtek Edizioni
Collana Orso bruno
2024, 270 pagine
16 €