Soltanto all’inizio del nono libro dell’Odissea il protagonista declina le sue generalità ad Alcinoo:
“Io sono Odisseo figlio di Laerte:
sono noto a tutti gli uomini per la mia astuzia,
e la mia fama giunge fino al cielo”.
Rievoca con parole d’amore la sua Itaca lontana e poi dà avvio al racconto delle sue sventure dopo la partenza da Troia. Nella terra dei Ciconi i compagni, dissennati, non vollero ascoltare il suo consiglio di affrettarsi e nella battaglia in cui vennero affrontati ebbero la peggio. I sopravvissuti ripresero il mare ma vennero colpiti da una tremenda tempesta; riuscirono a scampare anche a questa disavventura, ma solo per ritrovarsi nella terra dei Lotofagi. Qui gli uomini mandati in avanscoperta incontrarono i mangiatori di fiori che offrirono loro “il dolce frutto del loto”. Dopo che ne ebbero mangiato, si scordarono il ritorno e solo a forza Odisseo li imbarcò sulle navi.
La tappa successiva fu ancora più dolorosa. Giunsero infatti alla terra dei Ciclopi, selvaggi e violenti. Non coltivano la terra e non hanno leggi
“ma vivono sulla cima di alti monti, dentro grotte profonde,
e ciascuno dà gli ordini che vuole alla sua donna e ai suoi figli,
e non si interessano l’uno dell’altro”.
Un abominio per eroi civilizzati come Odisseo e i suoi compagni, abituati alla vita organizzata, in patria come in trasferta con l’esercito. Talmente organizzati e civili che appena approdarono, si divisero in schiere per cacciare le capre dei Ciclopi. Poi Odisseo col suo gruppo andò in perlustrazione e si imbatté nella grotta di Polifemo. Questa volta furono i compagni a consigliare a Odisseo di rubare i formaggi che vi erano immagazzinati e di scappare al volo, ma lui si lasciò vincere dalla curiosità.
Tornato nell’antro, Polifemo preparò il formaggio e accese il fuoco: solo allora si accorse degli intrusi. Odisseo gli raccontò in sintesi la loro storia, con la speranza di ottenere dal mostro doni ospitali, ma si sbagliava di grosso: i Ciclopi non temono gli dèi perché sono più forti di loro! L’ero non si lasciò però ingannare ed evitò accortamente di rivelare a Polifemo dove fosse ancorata la loro nave. Ma non potè impedire che il gigante si mangiasse per cena un paio dei suoi compagni dopo averli sfracellati a terra e l’indomani facesse colazione allo stesso modo, prima di uscire con le bestie. Odisseo pensò a un piano e preparò un lungo palo con cui avrebbe accecato Polifemo. Quando costui ritornò, gli offrì del vino puro (che per preveggenza aveva portato con sé): Polifemo lo apprezzò molto e ne chiese altro, domandando all’eroe il suo nome.
“Il mio nome è: Nessuno” rispose Odisseo al gigante, ospite malvagio, significativamente a metà dello stesso libro in cui aveva rivelato la sua vera identità ad Alcinoo, ospite generoso. Polifemo gli promise come dono ospitale la cortesia di mangiarlo per ultimo! Quando cadde addormentato Odisseo e i compagni gli trapanarono l’occhio con il palo acuminato: una scena orrenda!
“Come quando un fabbro immerge nell’acqua fredda, per temperarla,
una scure o un’ascia,
che manda un grande stridore,
perché questa è la forza del ferro,
così strideva l’occhio del Ciclope intorno al palo d’ulivo”.
I Ciclopi udirono le sue grida e gli domandarono se qualcuno gli stesse facendo violenza: Nessuno lo stava uccidendo con l’inganno, rispose Polifemo, ottenendo in cambio solo l’ira degli altri. Odisseo escogitò allora un altro espediente per uscire dalla grotta: fece legare ogni compagno a un montone, avendo cura di affiancare alla bestia un altro montone per lato, in modo che il mostro, tastandoli, non si accorgesse dell’uomo. Per sé invece scelse il montone più bello di tutto il gregge.
Riuscirono così a fuggire e a prendere il mare, ma Odisseo non trattenne l’orgoglio e dalla nave derise Polifemo, nonostante i compagni tentassero di dissuaderlo. Gli rivelò anche la sua vera identità e il mostro comprese che si era infine avverata la profezia che un tempo gli aveva fatto l’indovino Telemo. Ora che ne conosceva il nome, Polifemo maledisse Odisseo e pregò il padre Poseidone perché, se proprio era destino che tornasse a casa, avesse un viaggio travagliato e approdasse a Itaca su una nave straniera, senza più compagni.
Saul Stucchi
I versi più belli:
“I Ciclopi non hanno navi dalle fiancate rosse,
né operai che si affannino a costruire le navi dai forti remi,
capaci di raggiungere ogni città, viaggiando tra gli uomini,
come fanno, appunto, gli uomini che attraversano il mare
per incontrarsi tra loro”. (IX, vv. 125-129)
Didascalia:
Riproduzione di una oinochoe del V sec. a.C., acquistata a Delfi durante uno dei miei primi viaggi in Grecia.
L’ODISSEA a puntate: Indice dei libri e delle recensioni
Omero
ODISSEA
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Piero Boitani
La Lepre Edizioni
2012, pp. 630
16 €
www.lalepreedizioni.com