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Voi siete qui: Biblioteca » ODISSEA Libro 21: Ulisse mette la freccia al suo arco e supera i pretendenti

9 Dicembre 2013

ODISSEA Libro 21: Ulisse mette la freccia al suo arco e supera i pretendenti

Il libro XXI dell’Odissea si apre sullo strumento che porterà la morte ai pretendenti di Penelope, l’arma della vendetta di Ulisse: il suo arco. È talmente importante – il vero protagonista delle prossime scene – da meritarsi un ampio spazio che il poeta impiega per raccontarne la storia.

Penelope_arco_656

Odisseo lo aveva avuto in dono da Ifito, figlio di Eurito, incontrato a Messene. In cambio Ifito aveva ricevuto dall’eroe una spada e una lancia, ma era destinato a incontrare sulla sua strada niente meno che Eracle, il quale prima gli rubò due cavalle e poi gli tolse la vita quando questi venne a cercarle. Ulisse teneva in gran conto il regalo di Ifito e non lo portava mai con sé quando andava in guerra; lo usava soltanto a Itaca.

La gara con l’arco

Su suggerimento di Atena, Penelope va a prendere l’arco e la faretra “piena di frecce dolorose”, nella stanza più interna del palazzo, quella che custodisce il tesoro e lo mostra ai rivali, invitandoli a una gara con l’arco che avrà per premio lei stessa. Seguirà infatti chi sarà in grado di scoccare la freccia che attraversi senza intoppi le dodici scuri predisposte per la sfida. Il porcaro e il bovaro piangono alla vista dell’arco, ottenendo in cambio il solito rimprovero da parte di Antinoo, mentre Telemaco esorta i pretendenti alla prova, a cui vorrà partecipare egli stesso. Anzi, per primo tenta di tendere l’arco per ben tre volte, senza però mai riuscirci. Ci sta provando una quarta volta quando uno sguardo del padre lo convince a desistere.

Antinoo detta l’ordine della gara, da destra verso sinistra, “come quando si mesce il vino”. Si cimenta per primo l’aruspice Leode che fallisce miseramente e invita gli altri, quando lo seguiranno nella figuraccia, ad andarsene da un’altra parte a chiedere in sposa un’altra donna. Antinoo rimprovera anche lui (insopportabile quest’Antinoo, nevvero?!) e ordina a Melanzio di portare del grasso da spalmare sull’arco per renderlo più flessibile. Inutilmente però i giovani cercano di avere la meglio sull’arma. Restano soltanto i due capi, Antinoo ed Eurimaco.

Il finto mendico intanto chiede al porcaro e al bovaro se sarebbero disposti ad aiutare Ulisse qualora questi tornasse a casa. I due pregano gli dei che questa eventualità si avveri e lui si rivela loro mostrando la famosa cicatrice. Segue una scena di pianto e commozione che l’eroe deve interrompere per non rischiare di farsi riconoscere dai rivali.

È ora il turno di Eurimaco che fa cilecca “e ne soffriva il suo cuore orgoglioso“. Il poeta conosce bene il suo mestiere e dosa con sapienza gli ingredienti del dramma per mantenere alta l’emozione dei lettori (che alla sua epoca, ricordiamolo, erano ascoltatori).

Antinoo non afferra l’arco dalle mani del compagno di gozzoviglie; propone invece di prendere tempo da passare ovviamente a bere. Quando sarà giorno, faranno un sacrificio ad Apollo “arciere glorioso” e riprenderanno la sfida. Dopo che tutti hanno abbondantemente bevuto, il mendico chiede di poter provare a tendere l’arco.

Riceve come risposta insulti e minacce da parte dei rivali, timorosi che riesca dove loro hanno fallito. Penelope però insiste perché lui possa provare, anche se nel suo caso modifica il premio in palio: se dovesse riuscirci, vincerebbe infatti armi e vestiti. Telemaco riprende la parola per mandarla a letto, mentre il porcaro Eumeo consegna l’arco nelle mani del mendico, tra gli strepiti degli astanti. I servi fedeli predispongono la trappola, serrando le porte della sala.

Ulisse osserva con cura l’arco per assicurarsi che durante la sua assenza non si sia rovinato e quelli che gli stanno vicini capiscono che lui se ne intende. Ed ecco i versi più belli del libro, i più intensi:

Così dicevano i rivali,
e l’ingegnoso Odisseo, dopo aver osservato e toccato l’arco da ogni parte,
come un esperto di cetra tende facilmente la corda
intorno a un puntello nuovo,
fissando alle due estremità quel budello di pecora ritorto,
con la stessa facilità, e senza sforzo, tese il grande arco,
poi, stringendolo con la mano destra, provò il nervo,
che risuonò come il grido di una rondine.
I rivali ne furono angosciati, e impallidirono tutti,
mentre Zeus mandò il suo segnale, facendo sentire un gran tuono,
e il paziente glorioso Odisseo fu felice
che il figlio dell’oscuro Crono gli mandasse un segnale.

Adesso per i pretendenti si mette proprio male.
Saul Stucchi

Immagine:
Francis Chantrey
Penelope, seduta, con le armi di Ulisse (da WikiMedia)

L’ODISSEA a puntate: Indice dei libri e delle recensioni

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