Con il ventiquattresimo libro si chiude il poema dell’Iliade, ma (forse) non ancora il nostro lungo viaggio – iniziato questa estate – in compagnia di Achille, Agamennone, Odisseo, Ettore e Priamo: magari ci sarà un’appendice… Chissà!
Le lacrime che avevano inondato il precedente libro non si placano in quest’ultimo “capitolo”, che anzi alza il sipario proprio sul pianto di Achille, ancora disperato per la morte dell’amato Patroclo pur avendolo finalmente vendicato. Non sa darsi pace il figlio di Peleo e si rigira nel letto, finché non sorge l’aurora e può così tornare a straziare la salma del nemico trascinandola tre volte attorno alla tomba di Patroclo. Gli dei si dividono di nuovo tra i favorevoli a concedere una pietosa sepoltura a Ettore e gli intransigenti partigiani di Achille. Tra i primi prende la parola Apollo che critica aspramente il Pelide perché
non ha né sentimenti giusti nel cuore, né una mente flessibile,
ma conosce solo la violenza selvaggia
come un leone.
Gli risponde a tono Era, ricordandogli la discendenza divina di Achille, poi Zeus cerca un compromesso tra le opposte fazioni inviando Iride da Teti. La messaggera trova la dea marina in pianto per l’imminente morte del figlio e la convoca sull’Olimpo, dove il padre degli dei le dice chiaro e tondo che dovrà convincere Achille a restituire a Priamo il cadavere di Ettore: è giusto che sia così! Teti si precipita nella tenda del figlio e le ripete il messaggio di Zeus. Sorprendentemente Achille non fa una piega e si dice pronto a obbedire alla volontà di Zeus Olimpio.
Intanto Zeus invia Iride a Troia perché solleciti Priamo a recarsi da solo presso Achille per chiedere il riscatto della salma del figlio. Anche in questa seconda missione la dea messaggera trova ad accoglierla una scena di pianto e disperazione. Il re è pronto ad obbedire, ma prima preferisce confrontarsi con la moglie che invece lo rimbrotta dandogli del folle. Priamo però non cambia idea, anzi predispone il ricco riscatto da offrire ad Achille. Se la prende coi Troiani e coi figli superstiti:
mi restano i vigliacchi, i bugiardi, i buffoni,
che sono bravi solo a danzare
e a rubare agnelli e capretti in casa loro!.
Ecuba consiglia al marito di libare a Zeus e di chiedergli l’invio dell’aquila come segnale di buon augurio per la missione. Così avviene e il vecchio esce da Troia per recarsi nell’accampamento nemico. Zeus però ordina ad Ermes di accompagnare Priamo perché non gli succeda nulla di male, se riconosciuto da qualcuno degli Achei. Il dio prende le sembianze di un figlio di Polictore e rincuora l’anziano re, accompagnandolo a destinazione e servendosi dei suoi poteri divini per indurre al sonno le guardie dell’accampamento. Quando è nella tenda di Achille, gli si rivela e prima di andarsene gli consiglia di gettarsi supplice ai piedi del Pelide. A vederlo, Achille si stupisce. Subito Priamo si lancia in una lunga perorazione che suscita in entrambi il pianto; seguono i versi più belli del libro, che riporto più sotto.
Per un momento la solidarietà tra i due rischia di svanire per lasciare di nuovo spazio all’ira di Achille, ma alla fine Priamo ottiene la restituzione del corpo del figlio, che viene lavato, unto d’olio e avvolto nel morbido lino. Poi Achille invita il vecchio a cenare, perché anche chi è oppresso dal dolore deve sostenersi col cibo. Infine Priamo chiede di poter dormire, ma prima Achille vuole sapere quanti giorni dureranno le esequie di Ettore, in modo che nel frattempo lui possa trattenere l’esercito greco. Mentre tutti dormono, Ermes sveglia Priamo e lo sollecita a tornare a Troia prima che gli Achei si accorgano della sua presenza tra loro.
È Cassandra ad accorgersi che il re sta riportando in città la salma di Ettore e desta i concittadini perché accorrano ad accogliere colui che tanto ha fatto per la difesa di Troia. Andromaca dà il via al lamento funebre, tornando a compiangere la propria sorte e quella del figlioletto, seguita dalla suocera Ecuba e dalla cognata Elena. Per nove giorni i Troiani raccolgono legna per la pira funebre e al decimo pongono il corpo di Ettore sul rogo e gli danno fuoco. Infine ne recuperano le ossa e le chiudono in un’urna d’oro che depongono in una fossa profonda. “Così resero gli onori funebri a Ettore domatore di cavalli” e così si chiude l’Iliade.
Saul Stucchi
I versi più belli:
Ambedue immersi nei ricordi,
uno piangeva Ettore sterminatore, rannicchiato ai piedi di Achille,
mentre Achille piangeva per suo padre e anche per Patroclo,
e il loro gemito saliva fino al tetto(XXIV, vv. 509-512).
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074
28 €
www.lalepreedizioni.com