Se andate a Londra, approfittatene per un affascinante viaggio nell’Egitto post-faraonico. Il British Museum ospita fino al 7 febbraio una spettacolare mostra intitolata Egypt: Faith After The Pharaohs, ovvero “Egitto: Fede dopo i faraoni”. Intensa, scenograficamente ben curata e scientificamente irreprensibile.
Il messaggio che intende veicolare è esplicitato fin dall’inizio, con l’esposizione l’uno accanto agli altri dei tre libri sacri alle tre principali religioni monoteiste: una Bibbia ebraica, una cristiana e un Corano. Ma lì vicino una piccola teca contiene tre stampi che riportano alla vita quotidiana delle tre comunità religiose, a dire che non soltanto di massimi sistemi ma anche, e soprattutto, di quotidianità era fatta e continua a essere fatta l’esistenza degli Egiziani.
E il video introduttivo ribadisce il concetto della coesistenza di religioni nel Paese del Nilo, dall’antichità a oggi, coesistenza a volte conflittuale, ma per lo più pacifica.
Nella prima sala l’attenzione è attirata dalla testa in bronzo di Augusto, detta di Meroe: apparteneva a una statua dedicata al primo imperatore romano, conquistatore dell’Egitto dopo la sconfitta di Cleopatra e Marcantonio ad Azio. Ma venne rinvenuta sotto il pavimento di un tempio di Meroe, dove era stata collocata con evidente intento spregiativo.
I DOCUMENTI PARLANO
La copia di una lettera di Claudio agli Alessandrini, conservata su papiro, datata al 10 novembre del 41 d.C., fa luce sui rapporti non idilliaci tra le comunità della megalopoli, mentre le statuette di Horus esposte fanno venire il dubbio: era il dio a essere rappresentato come imperatore o l’imperatore come dio?
Un’altra teca custodisce interessanti gemme magiche. Una reca Anubis su un lato e l’arcangelo Gabriele sull’altro. È solo una delle combinazioni sorprendenti che svelano la portata del sincretismo e la fluidità nelle credenze popolari.
Confesso che il ritratto di un sacerdote di Serapide, rinvenuto a Hawara, mi fa sempre pensare al mio professore di storia romana dell’università: stesso sguardo e stessa barba!
Secondo Filone nell’Egitto romano vivevano un milione di Ebrei, il cui statuto speciale venne revocato dopo le rivolte giudaiche del I e II d.C., mentre i Cristiani passarono dalle persecuzioni a una situazione di assoluto privilegio quando il Cristianesimo divenne religione di Stato.
I documenti sono fondamentali per raccontare quell’epoca di passaggio. Ecco frammenti del Vangelo di Tommaso e del cosiddetto Vangelo di Maria, ma anche un libellus ovvero certificato di sacrificio, reso obbligatorio da Decio, e una lettera di un tale chiamato Copres, in cui informa di aver trovato un sostituto che facesse il sacrificio al suo posto (datata 298 d.C.).
IL PAESAGGIO SACRO
I pendant pagani, giudaici e cristiani ora non recano più messaggi “ambigui”, ma diventano “specifici” di una sola fede. Non sappiamo però se il simbolo della croce inciso sulla fronte di Germanico sia stato fatto in segno di rivincita o come atto dal valore magico.
Citazioni alle pareti lasciano la parola ai testimoni del tempo, in dialogo con i pezzi esposti. La stele tombale di Besa, secoli prima era stata realizzata per un pagano, come rivela la raffigurazione del dio Horus con titoli espressi in geroglifico, mentre le fiaschette scoperte dall’Uzbekistan alla Britannia ci parlano del pellegrinaggio al santuario di San Mena, così rinomato che venne ricostruito varie volte per accogliere il numero sempre crescente dei fedeli. La scatoletta d’avorio con le scene del suo martirio è uno dei pezzi più belli della mostra.
Quando l’élite dell’impero divenne cristiana le donazioni dei suoi componenti arricchirono la chiesa, permettendole di realizzare nuovi edifici e di adattare quelli vecchi al nuovo credo, ridefinendo in questo modo il paesaggio sacro dell’Egitto.
Il tempio di Iside sull’isola di Philae fu l’ultimo tempio pagano a funzionare. Terribile fu l’atto finale della sua storia: il vescovo Macedonio decapitò il falco venerato dai pagani e poi li convertì con un battesimo forzato.
Di sala in sala cambia il profilo della porta per introdurre alla rispettiva religione predominante e ci si sofferma davanti a capitelli, papiri, tessuti, monete, statue, gioielli, oggetti sacri, ma anche riproduzioni fotografiche di edifici e di decorazioni parietali. Non è una copia ma l’originale la pittura parietale proveniente della regione di Asyut, risalente al VI-VII d.C. Rappresenta due scene dipinte in due distinti momenti. In una compaiono Anania, Azaria e Mishael, ebrei di Babilonia; nell’altra i Santi Cosma e Damiano, con tanto di borsetta da medico al braccio, e i loro tre fratelli martirizzati sotto Diocleziano.
CAMBIAMENTI E PERSISTENZE
Da una religione all’altra rimaneva potente il richiamo esercitato da magia, superstizione e incantesimi. Particolarmente interessanti i papiri magici, come quello in greco confezionato per vincolare Eufemia a Teone, le cui figurine in cera vennero trovate abbracciate in un vaso insieme al papiretto. Non sapremo mai se sortì l’effetto desiderato, così come ignoriamo se funzionò la maledizione messa a punto per separare Sipa da Ouarteihla.
Significativa la gigantografia di una foto scattata da Peter Svarce con la Moschea di Abu el-Haggag, costruita all’interno del tempio di Luxor con colonne tolte a una chiesa che sorgeva lì davanti: un vero e proprio palinsesto architettonico, culturale e religioso.
Incroci, sovrapposizioni, permanenze: questo racconta la mostra. Il dio Horus ritorna per esempio in un libro in arabo dell’inizio del XIV secolo. E quando guardiamo la rappresentazione di una battaglia tra Arabi ed Europei, forse quella di Ascalona dell’agosto 1099, attenzione a non confondersi: gli Europei sono quelli con il turbante!
Il percorso sta per chiudersi ma le sorprese ancora non sono finite, come dimostra una Bibbia ebraica scritta in arabo. Il pannello didattico racconta che dai tempi della dinastia Fatimide tre comunità ebraiche vivevano al Cairo. C’erano i seguaci della tradizione babilonese, di quella palestinese e i Koraiti che riconoscevano soltanto l’autorità della Bibbia e non gli insegnamenti compilati nei Talmud babilonese e palestinese. Soltanto questi ultimi redassero bibbie in arabo, anche se tutte e tre le comunità parlavano e scrivevano in questa lingua.
Ma ci sono anche testi scritti in ebraico con estratti dal Corano. Sono tra i tesori rinvenuti letteralmente nella spazzatura, nella Genizah del Cairo. Dovevano essere distrutti dalla comunità che li aveva prodotti, ma una dimenticanza che si è rivelata per noi preziosissima li ha fatti arrivare fino a noi. Una foto ricorda e rende omaggio a Solomon Schechter, lo studioso che per primo si occupò di questo materiale.
Paese talmente affascinante e ricco di storia, l’Egitto, da meritarsi di essere messo al centro del mondo, come appare in tre mappe derivate da geografi alessandrini. Furono realizzate rispettivamente in epoca tolemaica, cristiana e islamica nei secoli II, VI e XI. Uno spirito laico vi scorge anche una sempre minor precisione, frutto forse di un progressivo impoverimento scientifico…
La mostra si chiude con un messaggio di fratellanza. L’ultima teca custodisce infatti tre tuniche di bambino. Non sappiamo se siano state indossate da ebrei, cristiani o musulmani, ma siamo sicuri del fatto che i bambini fossero tutti egiziani!
Saul Stucchi
DIDASCALIE:
- Pisside d’avorio raffigurante Daniele in atto di preghiera tra due leoni
Egitto o Siria, V o inizio VI secolo d.C.
© The Trustees of the British Museum - Figura seduta dell’antico dio egizio Horus in veste militare romana
Granito, Egitto, I-II d.C.
© The Trustees of the British Museum - Busto di Germanico con croce incisa sulla fronte
Basalto, Egitto, 14–20 d.C. circa (ignota la data dell’incisione)
© The Trustees of the British Museum
EGYPT: FAITH AFTER THE PHARAOHS
Fino al 7 febbraio 2016
British Museum
Great Russell Street
Londra
Orari: da sabato a giovedì 10.00–17.30; venerdì 10.00–20.30
Biglietti: intero 10 £, ridotto 8 £
Informazioni:
www.britishmuseum.org