È una mostra spettacolare quella che chiuderà alla National Gallery di Londra il prossimo 22 maggio. S’intitola “Delacroix and the Rise of Modern Art” e squaderna una sessantina di opere, tutte di altissimo livello.
Omaggio a uno dei più importanti pittori francesi, l’esposizione ne racconta la carriera e la lunga influenza che ha avuto sugli artisti delle generazioni successive.
All’ingresso si legge questa citazione, tratta da una lettera di Cézanne a Gasquet: “la tavolozza di Delacroix è ancora la più bella di Francia”. Ed è sempre lo stesso pittore a riconoscere “ci puoi trovare tutti in Delacroix”: quale riconoscimento più essere più ambito da un artista?
Una mostra di confronti
Le opere esposte sono molto ravvicinate tra di loro a causa delle dimensioni ridotte delle sale, mentre l’illuminazione è mediamente “scenografica”, comunque più accentuata sui quadri rispetto a quella della mostra di Ingres, allestita nei mesi scorsi al Museo del Prado di Madrid (le due esposizioni, in qualche modo, potevano essere interpretate come un dialogo tra i due pittori, considerati avversari nel mondo dell’arte francese).
Delacroix ha imparato dai maestri e a sua volta ha insegnato a numerose generazioni di artisti. Ecco così una sua copia da Rubens: Enrico IV conferisce la reggenza a Maria de’ Medici. Da Rubens ha appreso due lezioni: l’esagerazione delle forme anatomiche per dare effetto emozionale e il modellare l’incarnato con pennellate di blu-grigio. Vicino c’è La barca di Dante che Manet ha copiato da Delacroix. Si è così creata la catena Rubens – Delacroix – Manet.
E poi l’Autoritratto datato attorno al 1837, quando Eugène aveva quasi quasi quarant’anni (era nato nel 1798 a Charenton-Saint-Maurice) e la versione ridotta della Morte di Sardanapalo. All’epoca l’opera fu un flop: criticata per supposta imperizia tecnica, non venne compresa dal pubblico francese che voleva soggetti storici ben identificabili. Ma ebbe vasta eco tra gli artisti, riconoscibile per esempio ne L’eterno femminino di Cézanne esposto accanto.
Il Marocco e l’antichità
Si tratta indubbiamente di una mostra didascalica, ma nel senso più nobile del termine. Dimostra infatti con le opere il legame tra Delacroix e gli altri pittori, in confronti diretti, tutti molto interessanti.
Nella seconda sala il tema è il Nord Africa come antichità vivente (potete approfondirlo leggendo la recensione della mostra sull’Orientalismo a Bruxelles). Delacroix trascorse sei mesi in Marocco e quel lungo periodo gli servì per guardare con nuovi occhi l’antichità classica. Mentre prima del viaggio aveva un approccio “freddo” verso la classicità, al ritorno il ghiaccio si era ormai sciolto, dissolto dal sole del Marocco e dall’acqua del Mediterraneo.
Molti sono i prestiti da collezioni e musei americani e dunque la mostra è anche un’occasione preziosa per ammirare opere ormai “lontane” (geograficamente, s’intende). Molto bella la tela intitolata Matrimonio ebraico in Marocco che Renoir ha copiato da Delacroix.
L’Ovidio in esilio del 1859, presentata all’ultimo Salone, ricevette una delle peggiori critiche della sua carriera. Interessante l’uso dei colori per rappresentare i corpi. Nella Nuda in piedi di Cézanne (prestata da una collezione privata) si nota un’esagerazione della tecnica di Delacroix che diventa quasi astratta. Picasso si ispirò a opere come questa di Cézanne, allungando ulteriormente la catena di influenze e debiti artistici.
Sfilata di fiori
Pericolosa e bellissima fu la vita di Delacroix, così come lo è la sua arte.
Lo si sarebbe detto un carattere vulcanico artisticamente nascosto da un bouquet di fiori
scrisse Baudelaire a proposito della personalità del pittore. Su una parete c’è una magnifica sfilata di opere che ritraggono fiori, firmate da Gauguin, Delacroix, Renoir (personalmente, la più bella) e Van Gogh.
Fondamentali gli studi sui colori (primari e secondari), i cui risultati si apprezzano per esempio nelle scene di cavalli, molto movimentate. L’ultima annotazione registrata nel suo diario, in data 22 giugno 1863, assomiglia a un testamento artistico: “La pittura dovrebbe essere primariamente una festa per gli occhi”.
Tra le opere più belle dell’intero percorso espositivo si segnalano quelle di Gustave Moreau, come il San Sebastiano. Una curiosità: il primo collezionista a possedere quest’opera, vantava anche tre tele dello stesso soggetto dipinte da Delacroix, compresa quella in mostra.
L’Apoteosi di Delacroix
L’influenza sugli Impressionisti fu molto amplificata dai suoi studi che vennero venduti subito dopo la sua morte, nel 1864. Nel quadretto di Cézanne, intitolato Apoteosi di Delacroix, si vedono i “colleghi” Choquet, Renoir, lo stesso Cézanne, Monet e Pissarro (nudo sulla nuvola) rendere culto all’immenso Delacroix, punto di riferimento per tutti i pittori di paesaggi impressionisti.
Trent’anni dopo, tra il 1893 e il 1895 vennero pubblicati i suoi diari, contenenti preziose annotazioni sulla teoria del colore, tanto da farlo considerare, da Paul Signac, “padre dell’uso scientifico” del colore. A quarant’anni dalla morte, la sua influenza era ancora fortissima.
L’ultima citazione di Delacroix è un’altra importantissima lezione: “O giovane artista, cerchi un soggetto? Tutto è soggetto, il soggetto sei tu stesso”.
Saul Stucchi
Delacroix And The Rise Of The Modern Art
Dal 17 febbraio al 22 maggio 2016
National Gallery
Londra
Informazioni: www.nationalgallery.org.uk
Didascalie:
- Eugène Delacroix
Ruggiero libera Angelica, 1856 circa
Olio su tela
© Museo di Grenoble (MG 455) - Eugène Delacroix
Autoritratto, 1837 circa
Olio su tela
Museo del Louvre, Parigi (RF 25)
© RMN-Grand Palais (Musée du Louvre) / Jean-Gilles Berizzi - Eugène Delacroix
I fanatici di Tangeri, 1837-8
Olio su tela
© The Minneapolis Institute of Art
Bequest of J. Jerome Hill 73.42.3 - Paul Cézanne
Apoteosi di Delacroix, 1890-4
Olio su tela
Parigi, Museo d’Orsay, in prestito al Museo Granet / Aix-en-Provence (RF 1982-38)
© RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski