Nona puntata del reportage di Marco Grassano sul suo soggiorno pasquale a Creta.
Oggi il tempo è piovigginoso. Sullo spiazzo del Rosa Nera, un velo sottile d’acqua smalta le superfici lisce e scurisce quelle ruvide. Esco indossando il giubbino impermeabile giallo con lo stemma della Provincia di Alessandria. Passo in cattedrale, ormai bazzicata per lo più dai turisti: che d’altronde popolano, copiosi come a luglio malgrado la meteorologia sfavorevole, la Chálidon, la piazzetta della fonte e la Zampeliou.
Dalla viuzza del minareto imbocco la prima traversa di sinistra, addentrandomi nel rione che ieri ho solo guadato frettolosamente. A ridosso dei muri – scialbati in molteplici tonalità pastello: giallicci, rossastri, rosacei… – vasi e piccoli affioramenti di terreno ospitano un rigoglio di piante, in gran parte perenni. Lastrici a blocchetti di porfido sottili e oblunghi.
Mi imbatto nell’abside della chiesuola di Aghios Eleftherios, il cui intonaco, seppure abbastanza recente, si sta scrostando. Devono essere umidi, questi spazi così chiusi, penalizzati dalla carenza di sole. Proseguendo, un alberghetto di fronte al quale siedono e chiacchierano turisti americani. Pochi metri oltre, la Sífaka.
Rientro nel gomitolo dei passaggi. Una tricolorina mi precede avanzando tranquilla. Camere in affitto a ogni minimo slargo; dove le aperture si fanno più ampie, sorge qualche locale: taverna o vineria. Davanti a una bottega artigiana è esposta la riproduzione in ceramica della mappa Città della Canea A. D. MDCXLV – i tempi della cosiddetta “venetocrazia”. In uno dei compatti carruggi, un’abitazione snella, ben ristrutturata (molte, nel quartiere, avrebbero bisogno di esserlo, e altre sono ruderi…) esibisce, a monito degli scassinatori, il proprio sistema d’allarme; sull’ingresso, offre cuccia, cibo e acqua per i gatti: bel gesto, penso.
Una casa bianca con imposte azzurre all’unica finestra visibile; la massaia, in questo momento, scosta le tende, forse per far entrare più luce. Una costruzione dalla facciata giallo senape con porta e finestre orlate di blu elettrico. Subito dopo, la cappella di Aghía Irini, pur’essa smangiata dal tempo e dall’umidità. Entro a sedermi su una delle scarse panche, in fondo alla navata minuscola e pressoché spoglia. Accendo una candela. Prelevo tre tozzi di pane benedetto.
Continuo il mio itinerario casuale, avanzando verso nord. Un arco a sesto acuto sottopassa l’edificio color crema dagli infissi azzurri che spicca, in un angolo, per le sue buone condizioni, insolite. Rammento di averlo attraversato nel 2021. È l’ingresso dalla Daskaloghianni.
Mi riavvicino alla torre moresca. Finisco per raggiungere di nuovo la Sífaka alta. Prima di scendere, supero la vetrina di un negozio di coltelli (“Macherádiko“) che mi fa pensare al noto gruppo teatrale alessandrino “Coltelleria Einstein“.
Torno in camera a prendere le medicine. Mi fermo e osservo, incuriosito, l’interno dell’edicoletta votiva – simile a un piccolo forno per il pane – costruita a ridosso dell’area incolta retrostante le vestigia: immaginette sacre, incorniciate e no; iconcine; vasetti e coppette per le offerte, d’argento o almeno di peltro; pacchettini e scatoline di plastica dal contenuto indefinibile, forse alimentare. Non decifro la complessa simbologia, che sicuramente conserva elementi precristiani. Sull’altro lato della strada, negli interstizi tra i sampietrini è cresciuto un ciuffo di cicoria che presenta tre fiori dischiusi, di un celestino emozionante.
Risalgo tutta la Canevarou e svolto nella Daskaloghianni. I lavori alla chiesetta di San Rocco si sono finalmente conclusi, ma l’edificio non pare più adibito al culto, proprio come la moschea. Infatti, sul portone è affissa una locandina in cui si annuncia la Ikastikí ékthesi (mostra d’arte) di Nikos Ketsetzis “Pémpti epochí” (Quinta stagione), ston venetsiániko naó tu Aghíu Rokku (nella chiesa veneziana di San Rocco) apó tis 22 mechri tis 30 aprilíou (dal 22 fino al 30 di aprile – ho imparato a servirmi del traduttore automatico fotografando il testo da tradurre, e adesso non mi ferma più nessuno!).
Cerco in Rete notizie sul pittore: nato a Chaniá nel 1965, con nonni rifugiati da Smirne (come Seferis…) e dalla Cappadocia. Così viene riassunta l’esposizione: “In questo particolare sforzo visivo, dominano le forme di varie donne in momenti di riflessione e attività nella natura, insieme a nature morte, elementi dell’ambiente naturale e umano, tutti catturati con amore e cura” [Nota 1].
Varco l’alberata Platía 1821, detta anche Splantzia, ed entro a visitare Aghios Nikólaos, che mi aveva intrigato, già cinque anni fa, per l’inconsueta compresenza di minareto e campanile. Ricca di marmi intarsiati, di legni e di argenti dalle minuziose cesellature – cui si sono aggiunti, per l’occasione pasquale, due labari rossi crociati di bianco inneggianti alla Resurrezione -, la chiesa sembra respirare luminosità attraverso le vetrate policrome. Accendo anche qui, nell’atrio, la mia candela di cera grezza.
Ritrovo i brevi vicoli perpendicolari che dal tempio si dispiegano verso sud, e la cappella di Aghía Ekaterini: costeggiandola da destra – e proseguendo sempre diritto fra casine chiare, ben tenute, spesso abbellite da piante in vaso – si giunge al bastione orientale.
A nord della piazza, ripercorro l’angusta Gerasimou. Lungo questo primo tratto, le abitazioni sono in fase avanzata di recupero. Persino negli ancor più ridotti passaggi laterali, archi di accesso e facciate presentano un aspetto salubre. Gli intonaci fatiscenti e i muri scrostati riappaiono solo più in là. Incrocio comitive di stranieri al seguito di una guida.
Avanzando oltre la malconcia breccia dischiusa sugli esigui giardini alla cui altezza si conclude la Sífaka, mi adesca l’aiuola che riempie di colori lo slargo occhieggiante in fondo a un corto vico rettilineo. Un’anziana signora in giacca rossa vi sta togliendo dallo stendibiancheria i panni asciutti. In pochi passi, raggiungo lo spiazzo alberato ove solevano sostare qualche macchina e qualche gatto, e proseguo nella Dedalou. Un’immensa buganvillea rende tollerabile alla vista, con la mascheratura delle sue fitte foglie e dei suoi petali accesi, uno squallido cumulo di macerie.
Attraverso un collegamento interno, dritto fra case scialbate, passo al carruggio parallelo e gemello (anzi: “figlio”!) Ikarou. Anche qui, man mano che – volti alla parte finale della Gerasimou – ci si inoltra, gli edifici divengono viepiù malandati. Insomma, c’è ancora parecchio lavoro edilizio da fare.
Esco dal groviglio viario e mi incammino sull’ariosa Epimenidou. Mi dirigo verso il porto, lasciando alle spalle l’incrocio per la baia di Koym Kapi. Ho l’improvviso sfizio di rivedere la Radamanthos, seguita cinque anni fa fino alla merceria Salty Drop per poi imboccare la Dedalou. Tanti i vasi gonfi di verde: probabile caratteristica del quartiere.
Appena prima del caffè Antigone, sulla destra, il Somatío Erasitéchnon Alieon (Associazione Pesca Amatoriale: e vai, Google Traduttore!) del Vecchio Porto di Chaniá “San Nicola”, sotto la cui tettoia, ornata da un salvagente e da un tramaglio, siedono rilassati ai tavolini diversi pescatori (o presunti tali) di non più tenera età.
La Mostra di Architettura Navale Antica e Tradizionale, nella prima campata della “Neória dei Mori”, è stata riallestita e riaperta. Torno a vederla volentieri. Qui, la volta dell’ex deposito è a botte. Alla cassa, subito a destra, acquisto il biglietto e un piccolo opuscolo bilingue anglo-greco illustrato (“Modello rappresentativo di una nave del periodo minoico“: ormai mi risulta facilissimo).
La gialla, incongrua bombola di acetilene appare di nuovo posizionata all’inizio; seguono un modellino in legno grezzo della nave minoica e uno schema illustrativo su come – senza usare chiodi! – si assemblavano, per costruire lo scafo, telaio (frame) e assi (planks); poi l’imbarcazione vera e propria, effettivamente realizzata (compresi i delfini arcobaleno dipinti sulla prua) e fatta navigare in occasione delle Olimpiadi 2004.
Salendo su una piattaforma laterale, a ridosso del muro ove sono esposte le foto scattate durante l’impresa di vent’anni fa, è possibile osservare l’interno: banchi, lunghi remi, albero esile, vela quadrata. Ed ecco ancora, come ricordavo, le due barche di pescatori, le complesse lenti del faro, altre lanterne più o meno grandi, le riproduzioni in scala di velieri ottocenteschi e delle loro strutture portanti, gli esempi di nodi marinari e di attrezzi per la carpenteria e il calafataggio.
In fondo, l’angolo riservato alla proiezione di audiovisivi. Mi siedo a guardare un servizio sulle antiche torri di segnalazione greche ancora funzionanti. Di fianco, l’ingresso al deposito materiali, in cui si trovano i bagni: del tipo prefabbricato da cantiere, ma puliti e luminosi.
Sulla banchina, una gatta tricolore a pelo lungo sta rosicchiando con voracità il pesciolino che qualcuno le ha buttato; continua imperturbabile anche quando le transita, a non più di due metri, una delle carrozzelle. Evidentemente, a differenza della nostra Siami, non la intimoriscono i cavalli.
Malgrado abbia fatto tantissime cose, non è ancor giunta l’ora di pranzo. Mi stupisce sempre la grande elasticità che in Grecia caratterizza il Tempo. Prima della sosta da Vassilikós, qui a un passo, vado a ozieggiare lungo la Chálidon. Getto l’offerta al mio amico coniglio, pisolante fra un bicchierone d’acqua e due pezzi di pane secco (come ne davamo ai suoi simili in casa mia…) conditi da un pugno di fiorellini.
Disteso sul rialzo piastrellato davanti alla taverna, un micio mascherone, forse lo stesso che l’altra sera beveva dalla pozzanghera. Ordino dolmadakia e saganaki, ossia tortino di formaggio. Mi accudisce – con elastiche movenze, come di chi ha praticato ginnastica artistica o ritmica – l’attillata cameriera.
Mentre attendo, leggo qualche verso nella Sinfonia di Ritsos: “Come può aprirsi questo portale di luce per me che non ho conosciuto nemmeno l’ombra di uno scintillio?” – malinconica realtà di una vita.
Marco Grassano
Nona puntata. Segue
Note:
- Su YouTube si trova un breve video che dà conto dell’esposizione.
Didascalie:
- La chiesetta di Sant’Eleuterio
- L’edicoletta votiva vicino a casa
- La Gerasimou
- La mostra della nave minoica