Semplicemente ha avuto molto fortuna: “un grande culo”, ha ammesso lui stesso con un largo sorriso a Merate nel corso della presentazione del suo ultimo libro, Scintille. Una storia di anime vagabonde (Feltrinelli).
Gad Lerner non nasconde la consapevolezza di essere un privilegiato, figlio di una coppia di ebrei che hanno avuto la buona sorte di lasciare i rispettivi paesi di origine prima che fosse troppo tardi, prima delle tragedie che li hanno sconvolti, ridisegnando (per sempre?) l’alchimia etnica che li caratterizzava.
Ma Scintille, intimo ed emozionante racconto delle traversie parallele vissute dai due rami della sua famiglia, fa i conti con il passato, a cominciare dai lati oscuri. Prende le mosse dal comandamento biblico di onorare il padre e la madre, nella sua concezione più filologicamente corretta, ovvero quella di dare ai genitori il loro giusto peso, quindi neppure uno eccessivo.
E per farlo il giornalista ha dovuto prenderne le distanze, allontanandosi dalla casa del padre (“Vattene” è il primo, severo, monito rivolto da Dio ad Abramo e Lerner fa notare quanto quel verbo imperativo sia molto prossimo al nostro “Vaffa”, solo appena più sfumato) e intraprendendo un viaggio lungo il doppio binario della memoria e dei luoghi legati alla storia delle famiglie Lerner e Taragan.
Ne è risultato un libro che è l’opera di un figlio, di un ebreo della Diaspora, di un giornalista, ma soprattutto di un intellettuale che dispone degli strumenti (e li usa con sapienza) per analizzare il groviglio – intricatissimo – di vicende nelle quali la sua famiglia si è trovata coinvolta nel secolo breve, e con lei mezzo mondo, dai Carpazi alla Liguria.
Scintille è un libro onesto e dunque può risultare fastidioso e scomodo in qualche pagina, in qualche giudizio che però non si concede mai la frettolosa superficialità di rimanere un pregiudizio. Come nei passaggi dedicati al confronto tra ebraismo e islam sul tema della morte: l’esaltazione del martirio come fondamento dell’ideologia di Hezbollah (il “partito di Dio” che tiene in mano la sorte del “suo” Libano) non solo è una scelta con conseguenze tragiche per tutti gli abitanti di quell’angolo di mondo, ma è anche un’auto-condanna alla sconfitta.
Lerner non fa nulla per celare al lettore la sua passione per il Paese dei cedri ed è consapevole del rischio di scivolare nell’elogio di un Libano da cartolina, con l’aggravante che quelle immagini che si porta dentro come eredità materna, sono virate a seppia, dunque documenti di un mondo che non c’è più (e che comunque sarebbe scomparso, indipendentemente dalle guerre che l’hanno martoriato).
Il rapporto conflittuale con e tra i genitori; la gelosia del vero Lerner, il padre Moshé, che accusa il suo Dadone di non saperlo apprezzare perché non è mai riuscito a comprenderlo; i parenti inopportuni e incombenti e quelli invece scomparsi nell’oblio più totale, senza nemmeno lasciare traccia del nome; ma anche il fascino delle donne dell’est europeo che stregò Bruno Schulz – senza lasciare indifferente il nostro Lerner -; le tragedie familiari di David Grossman e Manuela Dviri; i viaggi dei turisti della memoria; le storie parallele dell’eroe della rivolta del ghetto di Varsavia Marek Edelman, che non ha mai nascosto il suo disinteresse per il progetto sionista, e Primo Levi che in un’intervista concessa a Lerner per L’Espresso “contestava la visione tolemaica dell’ebraismo – con Israele al centro e le comunità della Diaspora che gli ruotavano intorno – che era stata assunta come un dogma dopo la Shoah”; quel marpione di Jumblatt che ha concluso (per ora?) il valzer delle sue alleanze stringendo un patto con gli assassini del padre (a suo modo, dunque, anche lui ha abbandonato la casa paterna); i soldati italiani dell’Unifil e lo speciale rapporto instaurato con il generale Fioravanti; la banalità del male che prende anche l’orripilante forma della strage dei bambini di Boryslaw, gettati vivi nelle fosse per evitare sprechi, e della natura che “parla” attraverso gli umori dei corpi ammassati uno sull’altro; insieme a confessioni privatissime, come l’auto-indulgenza verso la carne di maiale, l’infatuazione giovanile per i successi di Tsahal, l’esercito israeliano, il crogiolarsi nel privilegio di poter guardare “dall’altra parte” i luoghi della sua vita familiare.
Queste e molte altre storie girano come un vortice tra le pagine di Scintille, con un ritmo che rapisce, perfettamente in sintonia con la teoria cabbalistica del gilgul, il movimento rotatorio delle anime dei morti che non se ne stanno in un luogo a parte, separate dai vivi, ma al contrario vagabondano in cerca di pace e quando cozzano tra di loro, sono, appunto, scintille.
Saul Stucchi
Didascalie:
– Il nonno e il padre (a destra) di Gad Lerner, ad Aleppo.
– Libano del Sud, giugno 2007: Lerner con il generale Maurizio Fioravanti
Per le immagini:
(c) Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
Prima edizione in “Serie bianca” novembre 2009
Gad Lerner
Scintille
Una storia di anime vagabonde
Feltrinelli
2009, 221 pp., 15 €
www.feltrinellieditore.it