Questa volta l’ho combinata proprio grossa. O forse ho semplicemente applicato una regola che spesso seguono i giornalisti. Mi spiego meglio. Sono partito per il mio solito reportage in occasione della manifestazione italiana dedicata a questa “strana” disciplina chiamata Iron Man. Solo che, ecco l’imprevisto: appena arrivato nella graziosa cittadina romagnola che la ospitava, sono caduto ammalato (Coronavirus).
Che fare quindi? Immaginarsi quel che è successo (come so che si comporta qualche giornalista poco serio) o parlare di quanto accade a latere di queste gare? Ho provato a mescolare insieme le due cose.
Tanto per chiarire, non sono stato a letto per due giorni interi. Così ho potuto vedere di persona i preparativi e – il giorno della competizione – ho anche fatto capolino sul terreno delle sfide per osservare alcuni concorrenti.

Cominciamo dai preparativi. L’Iron Man, sia nella sua forma intera, sia nella variante ridotta, è diventata, specialmente negli ultimi anni, un vero e proprio classico: si disputano queste gare un po’ ovunque nel mondo. Soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Europa (Germania, Svezia, Francia, ecc…). Nel nostro Paese, l’unico appuntamento, da qualche anno a questa parte, è fissato a Cervia.
Da qualche anno significa – per la precisione – quattro, perché, prima, la manifestazione si svolgeva a Pescara. Mi raccontava il mio amico che la cittadina abruzzese (o per meglio dire, i suoi amministratori) ha deciso che l’Iron Man fosse un impiccio per i “sani” abitanti del luogo. Il fatto di recintare alcune zone e chiuderle al traffico era un impedimento troppo oneroso per i gestori degli impianti balneari, per i negozianti di qualsiasi tipo, o, semplicemente, per chi volesse avere a disposizione la strada, il marciapiede e la spiaggia. Così, il carrozzone si è spostato a Cervia.

Questa lunga premessa è per sottolineare come, nel giorno che precedeva l’avvenimento, nella cittadina romagnola, quelli con cui ci è capitato di parlare, dal direttore dell’albergo ai gestori delle pizzerie alla gente comune, mostrassero un ben diverso approccio verso la manifestazione. Tutti, ma proprio tutti, sostenevano che fosse un ottimo veicolo per farsi pubblicità, per fare affari (l’albergo dove eravamo alloggiati era pieno come ogni altro nei dintorni; in pizzeria, lunghe attese, e così via) e anche per mettere in mostra il meglio di quanto avessero. Basti pensare che l’Iron Man si è svolto domenica 18 settembre e che dal giorno dopo, molti hotel avrebbero chiuso per la pausa autunnale.
Ovvio che la maggior parte degli atleti non è venuta da sola, ma accompagnata da familiari o amici e che tantissime auto avevano la targa di altri stati europei.
La gara, allora.
Per cominciare, l’organizzazione: perfetta. Tre le gare in programma: la più importante (l’Iron Man completo che consta di 3,8 Km di nuoto; 180 Km in bicicletta e la maratona di 42 km e rotti) era programmata per il sabato. Le altre due (un mini Iron Man ridotto per giovanissimi partecipanti e il mezzo Iron Man con le tre prove esattamente della metà delle prove del maggiore), la domenica.
Ma ci ha messo lo zampino il maltempo. Per cui la gara per i piccoli è stata annullata e la gara maggiore è stata spostata alla mattina successiva. Per questo motivo ho lodato l’organizzazione, perché, nonostante il disguido e i tempi più contingentati, è andato tutto per il meglio.
E, per quel poco che ho potuto vedere, anche il pubblico (inteso pure come esercenti o semplici frequentatori delle spiagge), ha risposto con calore e partecipazione allo sforzo dei concorrenti.
Cosa dire in conclusione? Sicuramente, tra i tanti sport che esistono al mondo, il triathlon non è uno dei più “facili”. Però, l’entusiasmo che anima chi lo pratica, la compartecipazione che arriva dai tifosi, l’idea di ritrovarsi con una passione comune, ripagano in gran parte degli sforzi e degli allenamenti sostenuti per mesi e mesi prima di scendere in campo.
L S D