È noto che nel 1960 lo Stato ebraico inviò un commando del Mossad in Argentina a prelevare (rapire secondo le leggi del diritto internazionale) Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della macchina organizzativa dello sterminio di milioni di ebrei, per intentargli un processo al termine del quale venne condannato a morte per impiccagione. Meno noto è invece che in Israele si tenne anche un altro processo molto particolare, questa volta contro un imputato contumace per forza di cose, essendo già morto da diciannove secoli.
Metaforicamente sul banco degli accusati si trovava lo storico, nonché politico e generale, Giuseppe figlio di Mattia, passato alla storia con il gentilizio romano di Flavio dopo l’adozione da parte dell’imperatore Vespasiano. Tutto questo per dire quanto la società israeliana fosse particolarmente sensibile, dopo la seconda guerra mondiale, al tema della colpa e della responsabilità: non solo degli altri, dei nemici, di coloro che era semplice e immediato identificare come aguzzini, ma anche di chi era sopravvissuto in qualche modo scendendo a compromessi col nemico, proprio come Giuseppe che nel momento più terribile e pericoloso della sua vita era passato dalla parte dei Romani, tradendo i connazionali (un altro storico ebreo, Pierre Vidal-Naquet, ha dedicato a Giuseppe un celebre libro intitolato Il buon uso del tradimento).
E proprio questo è il tema attorno a cui ruota lo spettacolo Il venditore di sigari che il regista Alberto Oliva ha tratto dall’opera The Flame Keeper di Amos Kamil e che gli attori Gaetano Callegaro e Francesco Paolo Cosenza replicheranno sul palco del Teatro Litta (Sala Cavallerizza) fino al prossimo 30 maggio.
Kamil ha fatto propria la lezione dei tragediografi greci, secondo cui il dramma nasce dal conflitto incomponibile tra due opposte verità o visioni del mondo. In questo caso: è più giusto – o preferibile – sacrificarsi e perire col proprio mondo che crolla o cercare di salvarsi a tutti i costi perché la vita è il sommo dei beni?
Un petulante cliente, il Doktor Reiter, snerva quotidianamente un venditore di sigari, il signor Gruber. Non lo fa per noia, ma sistematicamente e scientificamente per uno scopo ben preciso: rinfacciargli di aver rilevato il negozio durante il periodo nazista, a scapito del precedente proprietario ebreo. Il dramma è un serrato dialogo – con intense punte da sticomitia sofoclea – alla ricerca della propria e altrui identità, con sorprese e cambi di prospettiva. Callegaro e Cosenza sono bravi a dar vita a due personaggi che si urtano a vicenda e a calibrare con maestria il lento ribaltamento dei ruoli, tanto da arrivare a scambiarsi le battute refrain del dramma:
– La guerra è stata un periodo terribile.
– Terribile! Quanto abbiamo sofferto!
– È proprio così. Ma per alcuni è stato peggio che per altri.
– Ognuno ha la sua storia.
Il pubblico ha apprezzato e l’ha dimostrato con un caloroso applauso, a cui si è unito lo stesso autore presente in sala.
Saul Stucchi
Il venditore di sigari
di Amos Kamil
traduzione Flavia Tolnay con la collaborazione di Alberto Oliva
regia Alberto Oliva
assistente alla regia Francesca Prete
con Gaetano Callegaro, Francesco Paolo Cosenza
scene e costumi Francesca Pedrotti
realizzazione scenografia Ahmad Shalabi
disegno luci Fulvio Melli
datore luci Marco Meola
direzione di produzione Antonella Ferrari
Dall’11 al 30 maggio 2010
Teatro Litta
Sala La Cavallerizza
Corso Magenta 24
Milano
Repliche: dal martedì al sabato alle 21.00 – domenica alle 17.00 – lunedì riposo
Biglietto: intero 12 €; ridotto 9 €
Info e prenotazioni: tel. 0286454545 – promozione@teatrolitta.it