Dopo tredici anni Manuela Sedmach espone nuovamente le sue grandi tele nello spazio della Galleria Studio G7 con la personale Tornare a casa. Il titolo fa riferimento alla dimensione soggettiva da cui prende avvio il suo lavoro e di cui vuole sottolineare l’importanza come condizione di conoscenza. Manuela Sedmach esprime tutta la complessità della propria ricerca attraverso l’uso della pittura,realizzando suggestive immagini monocrome, variate dai diversi effetti che i suoi tre colori di base,nero, bianco e terra di Siena, producono sulla tela.
Gli strati di velatura con cui l’artista interviene sul supporto, coperto inizialmente da uno strato dinero, ne mutano gradualmente le sembianze generando serie di quadri molto simili tra loro. Ilrapporto reciproco dei suoi tre colori, tuttavia, assieme alla loro quantità, produce sulle tele differenti risultati come diverse variazioni di un unico brano musicale.
Forme, trasparenze e bagliori di luce ottenuti nell’immagine finale, non fanno mai riferimento a elementi della realtà anche se concedono ampio margine alla fantasia di chi guarda.

Per quanto affascinanti, le opere di Manuela Sedmach sono in realtà il prodotto di un lungo e infaticabile lavoro che coinvolge per intero la vita dell’artista e si presenta come una produzione documentaria costantemente “in itinere” volta a testimoniarne il percorso. L’importanza che assume il momento esecutivo, nella loro realizzazione, coincide con la volontà di raggiungere, da parte dell’artista, il lavoro perfetto, la soluzione ideale. L’opera di Manuela Sedmach pure nel momento in cui appare compiuta, durante l’esposizione al pubblico, lascia intuire la possibilità che si tratti di un lavoro ancora aperto come sembra provare il ripetersi degli stessi temi che, rimanendo costanti per lunghi periodi, danno vita di volta in volta a cicli di tele con il medesimo titolo e soggetto. Il largo numero di variazioni di cui si compone ciascuna serie, richiama alla altrettanto ampia possibilità di nuove soluzioni, in chiave temporale per il suo compimento. Sta proprio in questa molteplicità di virtuali casi probabili la difficoltà a percepire lo stato definitivo nel lavoro
di questa artista, che si muove verso l’immutabilità di ciò che è perfetto ma deve confrontarsi con la precarietà di tutte le cose soggette al trascorrere del tempo.
Lorenza Lucchi Basili usa la fotografia come spazio dell’apparizione. Nei suoi scorci di architetture contemporanee realtà e irrealtà dell’immagine si equilibrano in un’unità fantomatica: l’architettura, fotografata dall’artista seguendo visuali del tutto insolite, mostra il suo carattere di metafisica dello spazio rivelando aspetti concettuali che riflettono sull’estetica della forma, sull’anima dei luoghi, sulla luce, e non ultimo, sul valore di contemporaneità della fotografia.
Le fotografie di Lorenza Lucchi Basili hanno origine nella pratica della ricerca sul campo, determinata da variabili come il caso, l’incontro, la rivelazione. L’artista si reca nelle città di continenti diversi senza avere un progetto o un’immagine a priori: saranno i luoghi e le loro tante identità a suggerirle il lavoro. L’attraversamento dei luoghi, il perdersi tra le architetture, l’incontro casuale e la scoperta di una “visione nella visione” nelle opere degli architetti, vanno a comporre una pratica dello sguardo che sottende ogni sua fotografia. Dal suo incontro con i corpi delle architetture, con le loro forme simboliche, e con aspetti meno visibili del loro divenire, l’artista coglie tramite il carattere di simultaneità della fotografia qualcosa dello spazio e del tempo che erano rimasti latenti.

Nella personale Five Portraits Lorenza Lucchi Basili presenta una serie di “ritratti” a quattro architetture contemporanee e a un monumento neoclassico. Gli edifici sono il Museo della Scienza e della Tecnica di Santiago Calatrava (Valencia), la Fondation Cartier di Jean Nouvel (Parigi), il Walt Disney Concert Hall di Frank O.Gehry (Los Angeles), la Biblioteca Nazionale di Francia di Dominique Perrault (Parigi) e il Pantheon dell’architetto neoclassico Jacques-Germain Soufflot (Parigi). Questi lavori sono uno sviluppo dell’artista sul tema del ritratto: da genere biografico e psicologico, sempre e solo in relazione alla figura umana, il ritratto all’architettura diventa un topos di analisi della contemporaneità, contribuendo alla ricerca fotografica inaugurata con le tassonomie dei coniugi Becker. L’approccio concettuale è lo stesso che l’artista rivolgerebbe ad un volto o ad un corpo umano, cogliere l’identità nel suo “divenire sempre, diventare mai” (Gilles Deleuze).
Manuela Sedmach
Tornare a casa
Lorenza Lucchi Basili
Five Portraits
Dal 4 aprile al 4 maggio 2009
Informazioni:
Galleria Studio G7 di Ginevra Grigolo
Via Val D’Aposa 7/g
Bologna
www.galleriastudiog7.it
Orari di visita: 15.30-19.30; lunedì e festivi per appuntamento