
Una delle dicerie che circolano più spesso recita grosso modo così: “Non c’è nulla da vedere a Buenos Aires che non si sia già ammirato altrove. Parigi d’oltreatlantico o Atene del sud, è una città europea reinventata per l’America Latina e che sogna New York”. Ogni zona della città, in effetti, si caratterizza per ricordare remoti luoghi del vecchio continente o degli Usa. Barrio Norte diventa una piccola capitale francese, Avenida de Mayo sembra Madrid, il Bajo ha qualcosa di Manhattan e via dicendo. Eppure, nonostante il mutare degli angoli e delle prospettive, c’è un denominatore comune che lega i vari ambienti e che Luigi Einaudi riassume con il semplice termine “italianità”. Si avverte subito nei contatti umani con la popolazione indigena. La quale, non appena conosce un gringo, cerca subito di scoprire se esiste un qualche legame di parentela con il nuovo turista. Ma si vede anche cristallizzata nei monumenti disseminati qua e là a ornare le vie d’una metropoli che, stando agli ultimi sondaggi è oggi una meta preferita a San Paolo e Bogotà, a Santiago e Montevideo, a Lima e Caracas.
Plaza de Mayo
Il cuore “coloniale” è la Plaza de Mayo, dove svetta la piramide con incisa la data del 1810, a ricordo di quando viene disconosciuta l’autorità spagnola, allora nelle mani di Giuseppe Bonaparte, e si apre la strada alla completa indipendenza. Qui si erge in particolare la Casa Rosada, sede della presidenza della repubblica. Pochi però ricordano che l’edificio é ideato dall’ascolano Francesco Tamburini e riecheggia lo stile rinascimentale della sua terra d’origine. Dello stesso autore, del resto, sono molti villini sparsi nei dintorni e specialmente il celebre teatro Colon. Con l’enorme palcoscenico, la sala a ferro di cavallo disposta su sette livelli, i 2500 posti a sedere ed il fossato per l’orchestra in grado di contenere 120 strumentisti, figura tuttora come uno dei templi della musica più maestosi del mondo. L’architetto non riesce a vedere la creazione conclusa perché nel 1890 finisce ucciso in circostanze mai pienamente chiarite. L’identica sorte tocca al fedele allievo Angelo Ferrari ed i lavori proseguono con il piemontese Vittorio Meano, che a sua volta muore nel 1904 per un colpo di pistola sparato dal cameriere Carlo Passera. L’inaugurazione ufficiale ha luogo nel 1908 e qui, quattro anni dopo, Arturo Toscanini dirige ben 17 opere mentre la voce di Enrico Caruso interpreta nove personaggi. Basta spostarsi un centinaio di metri e si è dinnanzi al colossale monumento a Cristoforo Colombo, eretto ai primi del Novecento nell’omonima piazza. Il manufatto costituisce un dono del nostro Paese, realizzato in marmo bianco di Carrara. L’autore dei gruppi scultorei è il toscano Arnaldo Zocchi, che ritrae il navigatore genovese ed alcuni uomini della ciurma al momento della partenza da Palos per la straordinaria impresa destinata ad aprire le porte del Nuovo Mondo. Scendendo poi lungo l’arteria che conduce all’aeroporto internazionale di Ezeiza, si incontra uno dei più singolari lasciti italici.
E’ il palazzo voluto dall’imprenditore tessile Luigi Barolo e firmato dal progettista lombardo Mario Palanti. Risale al 1923 e per lunghi anni rimane il fabbricato più alto della ciudad. Assembla armonicamente tratti del gotico veneziano e linee dei sacrari indiani. Ma é principalmente un incredibile omaggio al padre di quell’idioma che una larga fetta di emigrati parla al momento dello sbarco sulle coste argentine: Dante Alighieri.
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Testo e foto di Lorenzo Iseppi