I cavalieri d’oro
Immaginate immense distese erbose, ora piatte ora gradatamente ondulate, dove l’occhio non ha altri orizzonti che il cielo e le colline basse o le montagne che si profilano in lontananza.
Considerate che queste terre piatte si estendevano per circa 7000 chilometri, dalle pianure a oriente dei Carpazi (Romania orientale e Ucraina) fino al lago Baikal (Russia siberiana) e oltre, in un insieme paesaggistico che gli storici definiscono “fascia delle steppe eurasiatiche”. Proprio questo corridoio senza valichi, particolarmente adatto al pascolo, è stato fin dall’antichità il luogo privilegiato per il passaggio di tribù e popoli diretti sia a est che a ovest, i quali, nei loro incontri-scontri, hanno generato significative mescolanze antropologiche e interessanti fusioni culturali.
Gioielli, corredi e monili d’oro come unica testimonianza
Dai tempi di Omero le pianure oltre lo stretto dei Dardanelli sono state un luogo carico di mitologia, valgano per tutti le avventure degli Argonauti e il mito delle Amazzoni. Erodoto (484-425 a.C.) e altri storici greci ci hanno raccontato che in quelle terre vivevano popoli nomadi e selvaggi, dalle usanze decisamente cruente e ripugnanti: per esempio in occasione del funerale di un re “si tagliano un pezzo d’orecchio, si radono tuto intorno i capelli, si fanno incisioni intorno alle braccia, si graffiano la fronte e il naso e si trafiggono con frecce la mano sinistra. (…) Nel restante spazio libero della stanza funebre, seppelliscono, dopo averla strangolata, una delle concubine.” (Erodoto, Le Storie, IV, 72). I Greci fondatori della città-stato e portatori di una civiltà basata su un’economia che prevedeva innanzitutto la stanzialità, sentivano le popolazioni che si spostavano per sostentarsi economicamente come profondamente diverse, come barbare. Si trattava dei Cimmeri (I millennio a.C.) degli Sciti (VII secolo a.C.) e dei Sarmati discendenti dei Sauromati citati da Erodoto. Ma le steppe hanno visto il passaggio di molte altre popolazioni, come i Goti e gli Unni (IV secolo d.C.), gli Avari e i Khazari (VII secolo d.C.) fino ai Peceneghi e ai Polovzi (X secolo d.C) e infine ai Mongoli dell’Orda d’Oro capeggiati da Gengis Khan (XIII secolo d.C.).
Queste popolazioni, oltre a essere nomadi, avevano una cosa in comune: erano guerriere. Non ci hanno lasciato città, opere monumentali o testi scritti: gli oggetti d’oro rinvenuti nei sepolcri delle steppe dell’Ucraina a partire dai ritrovamenti archeologici del XIX secolo sono la loro unica mirabile testimonianza. Ecco perché i quattrocento oggetti in mostra al Castello del Buonconsiglio di Trento (vedi box), provenienti dai musei più prestigiosi delle città di Kiev, Odessa e Vinnitza, rappresentano un’occasione straordinaria per conoscere gli antichi popoli delle steppe.
I kurgan
Le testimonianze dei popoli che hanno abitato le steppe dell’Ucraina (soprattutto alto e basso Dnepr) a partire da tremila anni fa provengono dai kurgan, monumentali sepolture a tumulo nelle quali gli archeologi hanno rinvenuto “gli ori delle steppe”: statue, vasi, coppe, piatti, collane, diademi, girocollo, pendenti, orecchini, ornamenti, bracciali, anelli, spade, asce, pugnali, specchi, oggetti rituali, copricapo, coronamenti d’asta. I kurgan, a pianta circolare, sono denominati anche “piramidi delle steppe” e rappresentano l’unico elemento architettonico stabile delle tribù nomadi. Ogni kurgan conteneva diverse sepolture di principi e nobili, che – proprio come i faraoni – venivano tumulati assieme ai simboli del potere e del prestigio che li avevano contraddistinti. Nelle sue Storie, Erodoto racconta che gli Sciti dedicavano imponenti risorse ai funerali dei loro capi. I quali non solo venivano seppelliti con tutti gli onori e talvolta in compagnia delle loro concubine, dei coppieri, dei cuochi, degli scudieri, dei cavalli e del corredo di ori e argenti, ma i loro kurgan avevano dimensioni diverse secondo il rango, la ricchezza e il titolo del defunto; alcuni potevano raggiungere i 100 metri di diametro e l’altezza di un edificio a tre piani. Dalla costruzione funeraria centrale, si accedeva a diverse stanze per la sepoltura dei cavalli e dei guerrieri. Nella quarta sezione della mostra è ricostruito un kurgan con la camera funeraria di una principessa rinvenuta a Tolstaja Mogia, nel basso Dnepr. Si possono ammirare gli ornamenti in oro di cui era rivestita e il maestoso copricapo decorato. Di solito i kurgan si trovano raccolti in gruppi e molti sono stati edificati con mattoni alternati a manto erboso: per alcuni fu necessario un manto erboso di diverse decine di ettari.
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Cinzia Polino