Winnie – Willy, questo il titolo provvisorio dell’opera, vuole essere un dialogo-monologo borghese: la protagonista è conficcata nel terreno da tempo immemorabile ed i suoi giorni scorrono lenti e abulici tra una spazzolata ai capelli e un ritocco al trucco, eppure, nonostante la noia morbosa dello scorrere di un tempo assolutamente vuoto e inutile, Winnie è felice e continua a parlare con quel suo chiacchiericcio da salotto, nella speranza che il marito la ascolti, perchè “ancora non ha imparato, né vuole farlo, a parlare da sola”. Il personaggio di Willy compare raramente, anch’egli rinchiuso in una sorta di voragine sulla scena accanto ad un giornale economico, unica compagnia. I due protagonisti non si vedono, non comunicano ne’ condividono alcunché se non lo spazio e i giorni che si susseguono intervallati solo dal campanello assordante del mattino e quello della sera.
Ma la chiave di questo dramma è nella felicità che Winnie si ostina a decantare: “Ah che giorno felice sarà stato questo, Willy!”. Per tutto il tempo, la protagonista persevera nel proclamare l’immensa gioia che prova, la felicità di ogni singolo giorno che trascorre su questo fazzoletto di terra col suo parasole e una sporta con gli oggetti personali: una spazzola ed un pettine, il rossetto, uno specchietto…e una pistola che pur guardando con cupidigia si ostina a non usare mai in una rivendicazione del diritto di vivere quasi folle.
Il secondo atto della messinscena vede Winnie immersa nella sabbia fino al collo. Anche in questa condizione, se possibile ancora più infernale della precedente, le proclamazioni di gioia e di felicità non si risparmiano, sfiorando più che il parossismo, il ridicolo, quasi riprendendo quell’umorismo pirandelliano che sgomenta e lascia il sorriso morire in bocca. E quando l’ultimo campanello suona la sua desolazione, Winnie è ancora lì. Con il suo monologo torrenziale ad intonare l’aria di un’operetta con tutta la sua gioia, con la pistola ritta e inutile davanti a sé, con le parole di una vita da raccontare ormai a nessuno, con i pensieri, i ricordi ed i classici nella mente stanca…
Giulia Lazzarini che anche ieri ha ricevuto una formidabile dose di applausi, sul palcoscenico, anche se imbrigliata per metà nella sabbia, ha un carisma fuori dal comune: la sua voce sembra sgorgare non dallo stomaco, ma dal ventre stesso di quel deserto che ne imprigiona le carni. L’età che avanza sembra appena sfiorarla: gli occhi emozionati sono sempre gli stessi da anni, ricchi di gioia, di storie da raccontare, di personaggi da interpretare e la sua quasi timidezza nel raccogliere i meritati applausi la consacrano ancora un volta, come la regina del teatro milanese.
Silvia Greco