La nostra società postmoderna, sazia e disperata, ha inventato l’infanticidio? Medea ci dice di no: al massimo abbiamo inventato il plastico della villetta. Non c’è nulla da inventare e neppure la consapevolezza che non ci può più essere nulla di nuovo è nostra. Almeno ventitré secoli fa l’aveva già detto un anonimo che noi conosciamo con il nome di Qohelet (ovvero l’Ecclesiaste). Allora possiamo “vantarci” di aver inventato la spasmodica ricerca della celebrità a tutti i costi? Eh no, neppure questo. Ci ha preceduti Erostrato. Erostrato?! Chi era costui? Come, chi era? Gli facciamo peggio di un torto ignorando l’impresa a cui ha legato per sempre il suo nome. Dimenticandoci di lui lo respingiamo infatti nel buio da cui ha voluto con tutte le sue forze uscire, illuminando per un istante la sua esistenza avvolgendo nel fuoco il tempio di Artemide ad Efeso, una delle sette meraviglie dell’antichità.
Erostrato è tornato. Lo incarna sul palcoscenico del Teatro Litta (Sala La Cavallerizza) di Milano uno scoppiettante Francesco Paolo Cosenza, diretto da Alberto Oliva (mentre il testo è opera di Tommaso Urselli).
Ci racconta la sua frustrazione di uomo qualunque che cerca con tutti i mezzi di primeggiare, di distinguersi dalla massa anonima, di diventare famoso. Bravo in molti campi, in nessuno raggiunge quel grado di genialità che gli permetta di avere in premio la fama. E allora vaga con un libricino su cui si appunta le brillanti idee che gli frullano per la testa. L’ultima che gli è balenata è appiccare fuoco al mondo: un’impresa a cui si appresta non per vendetta, ma perché lo si veda, finalmente, uscito dall’anonimato grazie al chiarore delle fiamme. Proprio come l’Erostrato di Efeso.
Perchè tutti sono famosi e io no. L’importanza di chiamarsi Erostrato è uno spettacolo ricco di citazioni, da Rimbaud a Pessoa, senza tralasciare quelle cinematografiche, prima su tutte quella di 2001 Odissea nello spazio di Kubrick (spassosissimo il siparietto iniziale con il pittore performer Gian Marco Capraro. Non ve lo svelo: dovete vederlo).
E quando il protagonista prende a inveire contro una palla come se stesse imprecando contro il pianeta viene automatico il richiamo alla celeberrima scena di Chaplin-Hitler che gioca con il mondo. Intanto sulla parete di fondo scorrono fotomontaggi assai buffi (Erostrato-Che Guevara, Erostrato-Bob Marley, ma anche Erostrato-Marilyn e un inguardabile Erostrato-Elisabetta II…). Ci si aspetterebbe di vedere il suo viso incollato sull’inconfondibile icona di Andy Warhol, ma il gioco sarebbe stato troppo evidente. L’artista americano invece non viene mai citato, anche se è sempre presente con la sua previsione (azzeccata) del quarto d’ora di celebrità a cui possiamo democraticamente (o populisticamente) aspirare tutti.
Ma la fama non si acquisisce tanto facilmente, neppure oggi. E occorre comunque un mezzo per propagarla. Erostrato esorta i giornalisi in sala: “scrivete, scrivete, prendete appunti!”. Si compiace di essere stato il primo artista contemporaneo, il primo artista concettuale; tutti gli altri non sono che suoi epigoni. Armato di una lattina di birra ha tentato di sabotare un esperimento nel Centro di Ricerca Nucleare di Ginevra, ma per beffarda ironia della sorte (o un complotto della solita cricca di giornalisti?) non ha ottenuto altro che due righe in cronaca: “uno sconosciuto ha rovinato l’esperimento…”. Sconosciuto a lui che ha rischiato la vita pur di ottenere la fama!! Erostrato è curioso di sapere da Dio qual è il segreto per rimanere famosi pur non facendosi vedere da milioni di anni. Il nome è il logo di Dio, è il suo marchio, e come sa qualsiasi esperto di marketing, è importante, anzi fondamentale, far conoscere il proprio nome. E se nessuno sa che lui è Erostrato, a che scopo accendere il fiammifero?
PS: un antichista in sala (come il modesto giornalista che scrive) noterebbe che tra gli oggetti che Erostrato estrae dalla valigetta c’è un piccolo busto di un imperatore romano. Pur essendo disposto con le spalle al pubblico, io l’ho identificato in Augusto. Mi permetto di suggerire che sarebbe stato più appropriato quello di Nerone. Un altro passato alla storia per merito (colpa) del fuoco…
Saul Stucchi
Perché sono tutti famosi e io no
L’importanza di chiamarsi Erostrato
di Tommaso Urselli
regia di Alberto Oliva
con Francesco Paolo Cosenza
azione pittorica di Gian Marco Capraro
Dal 23 ottobre al 1° novembre 2009
Teatro Litta
Corso Magenta 24 Milano
Repliche: dal lunedì al sabato alle 21.00; domenica alle 17.00; lunedì riposo
Biglietto: intero 12 €; ridotto 9 €
Info e prenotazioni:
Tel. 02.86454545
promozione@teatrolitta.it
Le foto sono di Nadia Ciraulo